Di ritorno dalla sessione parlamentare di Strasburgo, con Massimiliano Smeriglio commentiamo il voto del Parlamento europeo che – con 518 favorevoli, 59 contrari e 31 astenuti – ha dato il via al ricorso alla procedura d’urgenza per arrivare alla rapida approvazione di un provvedimento che consenta agli Stati membri di poter utilizzare i fondi europei per l’acquisto di armi.

Una decisione senza precedenti sia nella procedura che nel contenuto.

Iniziando dalla forma, Smeriglio ricorda che la “procedura d’urgenza”, inesistente nel regolamento del Parlamento, fu introdotta durante la pandemia, in via del tutto eccezionale, per consentire alla Commissione la centralizzazione dell’acquisto dei vaccini e la distribuzione ai diversi Paesi, il tutto giustificato dalla necessità di arginare i contagi e di salvare quante più vite possibili.

Il paradosso odierno è che si sia deciso di invocare la stessa urgenza per dotarsi di strumenti di morte. Particolarmente cinico, poi, il gioco sull’acronimo ASAP rimasto invariato, ma che nell’uso comune corrisponde a As Soon As Possible (il più presto possibile), cambiato in Act in Support of Ammonition Production (Atto a sostegno della produzione di munizioni).

Altrettanto interessante e degna di attenzione è stata la dinamica politica che ha determinato questa decisione, scaturita dall’accordo iniziale tra il Gruppo dei Popolari (PPE) e dei Conservatori (ECR) – quest’ultimo è il Gruppo cui partecipa Fratelli d’Italia. I Socialisti e Democratici europei (SD), messi con le spalle al muro, nella loro maggioranza hanno pensato che il male minore fosse accodarsi, come dimostra l’esito del voto.

Quanto al merito, è senza precedenti la decisione che fondi dedicati alla riconversione ecologica, al superamento dei divari territoriali, alla formazione e alle politiche sociali, possano essere riconvertiti per l’acquisto di munizioni e di missili. Addirittura grottesco che per lo stesso scopo, da parte della Commissione, si sia già ricorsi all’uso del “Strumento Europeo per la Pace” (European Peace Facility).

Si sappia, per inciso, che si tratta di fondi importanti: solo per il Lazio il Fondo sociale ha una dotazione di un miliardo di euro dedicati alla formazione, alle borse di studio ecc; una bella risposta al movimento degli studenti che è in piazza per denunciare l’assenza di politiche a sostegno del diritto allo studio.

Su tutto ciò, Massimiliano Smeriglio annuncia che è in atto un approfondimento circa la compatibilità con l’art. 41 del Trattato, con l’obiettivo di formalizzare un ricorso alla Corte di Giustizia Europea.

La conversazione è servita anche a chiarire il nesso tra la procedura e il merito del provvedimento nel senso che, la procedura adottata, comporta una limitazione sostanziale delle prerogative legislative del Parlamento- Infatti, quando nella prossima sessione parlamentare la proposta di Regolamento arriverà in discussione, eventuali emendamenti potranno essere posti al voto solo se la Commissione europea darà parere favorevole.

Ciò rende debole l’argomento di chi ha motivato il proprio voto favorevole spiegando che si trattava soltanto di un voto sulla procedura.

Infine abbiamo approfondito l’esito del voto notando che solo due gruppi politici non hanno registrato alcuna defezione tra coloro la cui lista di voto era favorevole: si tratta dei liberali di Renew Europe e dei Conservatori (ECR); piccolissime defezioni nel PPE (3 astenuti) e nei Verdi (2 contrari e 10 astenuti); più numerose nel Gruppo ID (Identità e Democrazia), cui aderisce la Lega (13 contrari e 4 astenuti, ma nessun italiano); infine, nel Gruppo SD, di cui fa parte il Partito Democratico (9 contrari – tra cui Massimiliano Smeriglio – e 9 astenuti).

Il Gruppo dei non iscritti (NI, composto da parlamentari che non aderiscono ad alcun gruppo politico) si è diviso quasi a metà (20 favorevoli tra cui l’italiano Giarrusso, 17 contrari – di cui 6 dei Cinque Stelle – e due astenuti).

Qualche sorpresa è venuta dal Gruppo della Sinistra Europea (Left) che aveva l’indicazione di votare contro e che ha visto, in effetti, la maggioranza contraria (21) ma anche 9 favorevoli e 3 astenuti.

Tra i favorevoli vi sono stati i cinque voti di France Insoumise, a cominciare da quello di Manon Aubry, che hanno destato in me molto stupore e che Massimiliano Smeriglio ha interpretato prevalentemente come posizionamento interno alla dinamica politica tutta francese.

Innanzitutto, le difficoltà del Presidente Macron e del suo partito indicano che le prossime elezioni europee del 2024 in Francia vedranno Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen contendersi l’obiettivo di divenire leader del primo partito e, poiché la posizione contro la guerra è egemonizzata dal partito della signora Le Pen in chiave apertamente filo-russa, Mélencon cerca spazio politico nell’elettorato liberale.

In secondo luogo, il Commissario europeo al mercato interno Thierry Breton, francese, è uno dei protagonisti della politica di riarmo europeo, con il chiaro intento di affermare una egemonia della Francia in un campo in cui gli interessi economici sono già giganteschi e potrebbero divenirlo ancor di più in prospettiva.

Tutto ciò porta anche forze così dette “radicali” e antagoniste a essere sensibili agli interessi economici del proprio Paese, anche perché spesso questi ultimi vengono presentati come utili per il mondo del lavoro.

Infine, il dibattito in Francia è particolarmente feroce e qualsiasi posizione non allineata sulla prospettiva della vittoria militare come unico sbocco a questa situazione, viene assimilata a quella della destra fascista e xenofoba.

Detto tutto questo, con Smeriglio, ci siamo trovati d’accordo nel dire che ogni sforzo va tentato nell’aprire, anche in questa situazione difficile, tutti gli spazi possibili per posizioni che assumano come prioritario l’obiettivo di raggiungere la fine di questa guerra attraverso l’iniziativa diplomatica.

Vi sono, infatti, un certo numero di parlamentari, che non hanno inserito la loro scheda di voto scegliendo di non partecipare alla votazione; c’è ancora del lavoro da fare, quindi, in vista del voto definitivo.

A questo proposito, mi è capitato di leggere un lungo articolo dell’ex ministro degli esteri ceco, Jan Kavan. Socialdemocratico e già Presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, all’epoca dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia fu espulso dall’università e costretto all’esilio in UK dove animò la campagna per il disarmo nucleare e contro l’istallazione dei missili in Europa. Oggi , nonostante il boicottaggio feroce dei media nel suo Paese, è riuscito a raccogliere in poco tempo 20.000 firme in favore di una iniziativa diplomatica tendente al cessate il fuoco e a negoziati per una pace giusta in Ucraina. Tanto è bastato a farlo divenire l’obiettivo di una campagna denigratoria tendente a presentarlo come “collaborazionista”, sostenitore del Presidente Putin, in favore della capitolazione dell’Ucraina. A ogni modo, questa storia segnala che in Europa esiste, ed è diffuso, anche un altro punto di vista che può e deve affermarsi nonostante le censure e gli attacchi violenti. Il Parlamento europeo deve poter divenire un interlocutore anche di queste posizioni.

L’indignazione del Presidente Conte in seguito al voto del Parlamento europeo che ha dato via libera alla procedura d’urgenza merita sostegno, tuttavia, riprendendo il titolo di un prezioso libretto che contiene riflessioni di Pietro Ingrao sul tema dell’impegno politico, dico che questo è il caso in cui “Indignarsi non basta”!

Infine, due considerazioni politiche.

La prima è che una maggioranza parlamentare che escluda i socialisti europei o comunque li marginalizzi, si va già delineando e in questa occasione è venuta platealmente alla luce. Giorgia Meloni e il suo partito sono tutt’altro che isolati in Europa, e questa guerra ne sta rilanciando il ruolo in un’alleanza sempre più organica con la parte più conservatrice del Partito Popolare Europeo di Manfred Weber e attraverso relazioni privilegiate con paesi, quali la Polonia, sempre più influenti e organici alla funzione che gli USA vorrebbero assegnare all’Europa (non è un caso che per ben due volte il Presidente Biden abbia parlato da Varsavia e non da Bruxelles). Per contro, non vi è alcun ruolo delle forze socialiste e progressiste, praticamente inesistenti nella dimensione europea, alle prese con le proprie politiche domestiche, incapaci di darsi una politica e una fisionomia europea, di corrispondere alla sfida che si prepara in occasione delle elezioni del 2024.

La seconda è che quello del commissario Thierry Breton è un programma di lunga durata che si articola su più tappe e che ha come obiettivo tendenziale quello di costruire anche in Europa quel complesso militare-industriale che domina la politica USA (come spiega Matteo Bortolon sul Manifesto del 13/5/2023).

Lo smantellamento dello Stato sociale e l’investimento sull’industria militare, come trainante dello sviluppo comune, rischia di far somigliare sempre più la “Nuova Europa” alla “Vecchia America”.

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Un commento a “Europa all’armi”

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