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Firmare per non lasciare fuori l’ “Altra Europa”

Un intervento di Mario Tronti pubblicato sull’Unità del 25 marzo 2014
Pubblicato il 28 Marzo 2014
Materiali, Officine Tronti, Scritti

Ho letto l’intervento di Chiara Ingrao, su «L’Unità» di giovedì scorso. Ne condivido l’appassionata indicazione. Anche chi esprime oggi un’intenzione di voto per il Pd dovrebbe mobilitarsi – ripeto, mobilitarsi – perché la lista «L’Altra Europa con Tzipras» possa raggiungere le 150mila firme necessarie per partecipare alla campagna elettorale delle elezioni europee. Mi convince la frase conclusiva. Si competa con gli argomenti e non con gli sbarramenti.

Non solo. C’è un nemico comune da battere: e sono i populismi, i nazionalismi, i localismi, che minacciano, non questa Europa, ma l’idea di Europa in quanto tale. Hanno dalla loro parte il disagio, il malessere, e il malumore e la rabbia, che la lunga crisi economica ha depositato nelle case, nelle famiglie, nella vita quotidiane delle persone. Da lì il bisogno di scaricare su un nemico visibile, palpabile, un risentimento di massa, che potrebbe coagularsi questa volta in un antieuropeismo viscerale. Abbiamo già avuto esperienza di questi improvvisi spostamenti emotivi, a livello di moltitudine, che la nostra razionalità politica non sa spiegare. E proprio perché non sa spiegare, non riesce a prevedere, con la conseguenza di subirli, nei risultati sugli equilibri politici, marcati da quasi inspiegabili vuoti di consenso. Questa idea che la sinistra parla alla testa dell’elettore, perché alla pancia parla la destra, è un’idea forse da rivedere: in base alla testa dura dei fatti. Non si combattono i populismi, privandosi del popolo, ma strappando il popolo al populismo: riorientando l’opinione, con la politica, con il partito, con il governo, in una sinergia di programmi e di azioni, dall’alto e dal basso.

Allora la proposta va articolata, con l’intento di aderire, con l’offerta pratica alla domanda di vari strati sociali. Quando Chiara Ingrao elenca il tipo di persone in carne ed ossa che si impegnano, e si candidano, nella lista dell’Altra Europa, «delegate e delegati metalmeccanici, compagne di strada di don Gallo e di Zanotelli, giornalisti, intellettuali, voci autorevoli del pacifismo e del femminismo, dell’Arci e dei Forum sociali», c’è da domandarsi a chi giova lasciar fuori dalla rappresentanza questo multiverso di posizioni alternative. E il problema si pone adesso per le Europee, si porrà per le politiche, viste le assurde soglie di sbarramento previste nell’ultima invenzione di legge elettorale. C’è una governabilità politica, data dai numeri in Parlamento, ma attenzione, c’è anche una governabilità sociale, data dai movimenti presenti nel Paese reale. Se non li esprimi, non governi, soprattutto quando chiedi governo dalla parte sinistra dello schieramento politico. E non c’è da pensare che se impedisci i canali di rappresentanza diretta a quelle posizioni, ne guadagna, ad esempio, il consenso del Pd. L’abbiamo visto: l’astensionismo pesca da quelle parti, e il grillismo proprio lì ha gettato in gran parte le reti, riempiendole di pesci. Siccome tutti ormai parliamo non di «più Europa», ma di «un’altra Europa», approfittiamo della prossima campagna elettorale per mettere a confronto le diverse altre Europa che immaginiamo.

E il problema, lì come qui, è sempre quello: chi comanda? Dov’è l’effettivo punto di direzione dei processi? Si fa adesso un passo avanti, con la indicazione almeno del premier della Commissione. Ma il problema è se il livello della decisione rimane nella Commissione o si sposta effettivamente nel Parlamento. È se e quando il Parlamento europeo riuscirà ad esprimere un governo, politico, europeo. Va bene dall’austerità alla crescita e giusto discutere sulle diverse ricette per operare il passaggio dall’una all’altra. Ma siccome quel passaggio vuol dire anche il progetto di un’Europa sociale, e non più solo economica, vuol dire lavoro al centro, vuol dire riequilibrio delle diseguaglianze, vuol dire non più Europa tedesca ma Germania europea, allora qui irrompe, e bisogna far irrompere, il grande tema dell’Europa politica, di come riprendere il cammino verso questa utopia concreta. Solo qui, sul rilancio del progetto della sovranazionalità politica si riuscirà a contrastare il potere assoluto del complesso economico-finanziario, che ha imprigionato l’idea di Europa e l’ha quasi portata all’attuale immagine di un finale tramonto dell’Occidente.
Qui si gioca con forza il contrasto, da rilanciare in grande, tra destra e sinistra europea. L’Europa è luogo di passioni forti. Per tornare a farla amare dai suoi popoli bisogna liberarla dai lacci e lacciuoli di conti e compatibilità. Non di un fiscal ma di un political compact c’è bisogno: questo, sì, da mettere nelle Costituzioni. Pse batti un colpo.

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