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Fino a oggi l’Europa ha fondato la sua integrazione prevalentemente sul mercato interno, sul libero scambio, con evidenti lacune che spesso abbiamo esaminato criticamente. Oggi la situazione ai confini impone di cambiare paradigma e di mettere al centro delle ragioni dello stare insieme il rispetto di quei valori che concorrono alla creazione e al mantenimento dello Stato di diritto che, attraverso vicende storiche drammatiche, abbiamo cercato di costruire nei singoli Paesi e a fondamento dell’Unione stessa. Tutti i cittadini europei dovrebbero essere chiamati a condividere le decisioni che sono la conseguenza pratica di quei valori condivisi.

Cominciamo con il diritto alla vita. Su questo non si dovrebbe discutere e quindi, in qualsiasi situazione si presentino le crisi, il primo dovere dovrebbe essere: salvare vite umane. È del tutto incoerente, poi, aver partecipato alle così dette “guerre umanitarie” e, quando quelle stesse persone in nome delle quali quelle guerre sono state legittimate si presentano alle nostre porte, accettare che muoiano di freddo e di fame o annegate in mare. Il discutibile slogan “aiutiamoli a casa loro” diventa “facciamoli morire a casa loro”.

Tutti dovremmo essere consapevoli del fatto che se il comportamento dell’Unione europea non si distinguerà da quello del dittatore di Minsk, il destino dell’Europa unita non andrà oltre il “libero scambio” e gli accordi commerciali come quelli che attualmente sono in vigore con il Regno unito.

La provocazione di Lukashenko è gravissima proprio perché è arrivata a strumentalizzare la stessa vita umana, ed è indice di una progressione preoccupante. I coraggiosi e numerosissimi oppositori del regime bielorusso segnalano che la situazione si è fatta ancor più grave a datare dalle elezioni presidenziali dell’agosto 2020. In quell’occasione si impedì agli oppositori di presentarsi alle elezioni anche con alcuni arresti come quello di Sergei Tikhnovsky, il cui processo è in corso. Al suo posto si presentò la moglie Svetlana, costretta poi a riparare con i suoi figli a Vilnius dove tuttora risiede.

Le elezioni per il rinnovo del sesto mandato presidenziale di Lukashenko provocarono reazioni popolari imponenti e diffuse anche perché accompagnate da brogli e repressioni inaudite. Attualmente sono più di 800 le persone in detenzione per reati di opinione, 35.000 gli arrestati, 270 le ong sciolte. Il 25 maggio 2021 vi fu il dirottamento del volo Ryanair, aereo immatricolato in Polonia, partito da Atene e diretto a Vilnius, costretto ad atterrare a Minsk da un caccia militare bielorusso, per consentire l’arresto del giornalista Raman Patasevich e della sua compagna Sofia Sapega. Questo atto senza precedenti e di una gravità inaudita ha provocato una reazione da parte della Ue, che ha deciso sanzioni mirate a colpire alcuni esponenti politici, amministrativi e militari del regime. Bisogna riconoscere che da parte europea vi è stata, finora, attenzione ad applicare sanzioni selettive proprio per non colpire la popolazione civile già così provata dalla repressione; anche oggi, di fronte a questa crisi, bisognerebbe seguire lo stesso criterio. La reazione di Minsk alle sanzioni compie un ulteriore salto di qualità fino ad arrivare alla situazione attuale.

Mentre si lavora ad accordi con i Paesi le cui compagnie aeree hanno trasportato i profughi per cercare di arrestarne il flusso, il dovere dell’Unione europea è, senza alcun dubbio o discussione, andare a salvare quelle vite. Ma questo presuppone la disponibilità di Varsavia a cessare l’accanimento contro i profughi, finora invece fronteggiati anche con getti di cannoni ad acqua, e a consentire un corridoio umanitario che li porti in salvo. Non sfugge infatti, in questo dramma, il comportamento del governo di Morawiecki, il quale a sua volta usa questa crisi per ottenere la costruzione del muro di separazione. Egli stesso, così riottoso ad accettare la ricollocazione dei migranti, si troverebbe nella circostanza di dover richiedere agli altri partner europei la disponibilità che lui nega.

Borrell, se vuole dare senso al suo ruolo di alto rappresentante della politica estera e di sicurezza europea, dovrebbe assumere una iniziativa tempestiva che magari coinvolga anche Paesi come il Regno unito e gli Stati uniti, i quali sono tra gli artefici della destabilizzazione dell’intero Medio Oriente. Si tratta di accogliere poche migliaia di persone, di cui buona parte bambini, in uno spazio di 446 milioni di abitanti che potremmo condividere con USA, Canada, UK. Purtroppo però la linea di Borrell non è precisamente questa: nell’introdurre il dibattito che si è svolto all’europarlamento il 10 novembre scorso, egli ha parlato di un corridoio umanitario da realizzare in Bielorussia al fine di rimpatriare nei Paesi d’origine fino all’ultimo profugo, il che significa che non si è disposti a verificare lo stato di ciascuno, singolo o famiglia, per eventuali richieste di asilo.

Quello che stupisce nella posizione di Borrell, e quindi, della Commissione europea, è che in questa crisi si sia escluso qualsiasi ruolo o responsabilità della Polonia anche se lui stesso e tutto l’arco parlamentare europeo, escluse le destre e compreso il PPE, l’hanno duramente criticata per non avere accettato di “comunitarizzare” la crisi e per aver rifiutato l’intervento di FRONTEX. Al di là delle parole, la Commissione sembra condividere il fatto che la priorità non sia la vita delle persone e che nessuno, neanche temporaneamente, debba mettere piede sul suolo europeo. La Polonia così viene spalleggiata nel suo cinismo, fino al paradosso che per fronteggiare l’emergenza umanitaria sembri possibile ottenere disponibilità più dal dittatore bielorusso che da un paese dell’Unione.

Il Parlamento europeo, naturalmente, si è diviso tra i gruppi (Socialista e Democratico, Verde, Liberale e Gue) che hanno escluso qualsiasi ipotesi di muro da un lato e le destre e il PPE dall’altro che lo hanno caldeggiato anche con l’impiego di fondi europei. Sulla questione del muro anche le altre istituzioni europee sono divise: il presidente del Consiglio Charles Michel si è dichiarato da subito favorevole, non così Ursula von der Leyen, nel mezzo la posizione dell’Alto Commissario Borrell il quale, nella replica al dibattito in Parlamento di fronte a domande incalzanti di alcuni deputati, è riuscito a mantenere una buona dose di ambiguità sul tema.

Concludo rilanciando il monito comparso a caratteri cubitali sul quotidiano Avvenire:

“SE QUESTA È EUROPA”.

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