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Il rispetto e il successo di cui gode il Movimento Cinque Stelle di Conte nella sinistra, più o meno radicale e di movimento, può essere interpretato come un sintomo. Questa passione politica rappresenta il punto di emersione di almeno due fenomeni: il razzismo della società in cui si manifesta e un problema di “cultura politica”, per così dire.

Vittime di una cattiva interpretazione del neoliberismo come assenza di stato, si crede che qualunque forma di intervento pubblico, di qualunque segno – dai bonus alla militarizzazione del territorio e alle strette repressive – segnino un ritorno della “protezione” pubblica. Finalmente il mercato (e la società) non sono più lasciate a se stesse e alla legge del più forte ma c’è l’autorità pubblica che regola, stabilisce principi e priorità e mette le cose in ordine. La chiave di lettura possibile per leggere i governi Conte I e Conte II non è infatti la segreta bontà dell’avvocato del popolo in entrambi – come sostenuto da alcuni – ma una certa idea di società, in cui la protezione va assegnata su linee razziali.

Reddito di cittadinanza, con criteri di accesso che escludono tutti i migranti senza dieci anni di residenza1, e decreti sicurezza sono così tenuti insieme dalla (apparente) volontà di tutelare i bianchi poveri del paese. Su diversi fronti: materialmente per quanto concerne il reddito – che pure ha limiti notevoli – simbolicamente e psicologicamente con la preferenza accordata ai cittadini nazionali rispetto alle orde di criminali e immeritevoli fruitori potenziali del welfare. Arrivano via mare ma finalmente possono morirci. Come insegnava Foucault, il razzismo è una relazione biopolitica: la morte di un pezzo di società rafforza la salute dell’altra. Sempre di protezione si tratta. L’ideale razziale non è esplicito in Conte quanto in Salvini o Meloni ma è tuttavia presente. I limiti alla residenza non sono un incidente di percorso, dal momento che le frontiere dell’esclusione sono sempre più fissate a livello locale e hanno nella manipolazione del diritto alla residenza uno degli strumenti più efficaci. Le vittime delle politiche sulla residenza non sono solo i soggetti razzializzati ma anche i cittadini poveri. Tuttavia, il target prevalente dell’ideologia del M5S non ci sembra essere quello della popolazione nazionale, anche se la sua furia giustizialista ha degli impatti su alcuni pezzi di essa. Già le posizioni prese negli anni sul tema indicano questa direzione. Ma, oltre a ciò, si può leggere il programma elettorale del M5S, significativo in tal senso anche per ciò che non dice. Nel programma il tema delle migrazioni è totalmente assente, se non per la richiesta di un modestissimo ius scholae e di maggior condivisione delle responsabilità con l’Europa. Ricordiamo infatti che lo ius scholae è un compromesso al ribasso proposto dal M5S: meglio di niente ma comunque molto poco.

Il fatto che Conte non parli esplicitamente di superiorità razziale come un leghista qualsiasi, secondo alcuni, è sufficiente a considerarlo non-razzista. Purtroppo, però i codici del razzismo sono cambiati e questo si esprime prevalentemente in essenzializzazioni delle culture cosìddette altre, spesso svilite in “etnie”, intrinsecamente considerate arretrate e minacciose. La nazionalità, caricata di significati gerarchizzanti, è il nome in codice della razza. Egualmente, la bianchezza – di cui sentiamo parlare con riferimento ai dibattiti anglosassoni – non è questione di epidermide. È un rapporto sociale, come mostra lo slittamento della posizione relativa nella gerarchia razziale degli italiani come bianchi negli Stati Uniti o degli ucraini in Europa – da potenziali criminali e intrinsecamente capaci solo di lavori di cura e manuali a faro dell’Occidente, bastione contro la barbarie orientale. Così come il reddito di cittadinanza nasce con delle tare colpevolizzanti che poi avrebbero rafforzato la campagna dei suoi oppositori.

Rispetto alla cultura politica, ci si potrebbe chiedere se la passione per Conte sia il riflesso di un sentimento autoritario ovviamente presente anche nella tradizione della sinistra. Ciò che turba però è che anche elementi tradizionalmente più libertari si siano lasciati incantare dalla melassa fintamente socialdemocratica di Conte e colleghi. Il suo programma sociale non è molto diverso da quello del Pd ma ormai è passata l’idea che il M5S sia una forza antiliberista che vuole finalmente riportare un po’ di dignità nel mondo del lavoro. Forse il sogno di alcuni è una forza da Orlando e Provenzano a Conte, per una rinnovata socialdemocrazia in un solo paese. Inoltre, il non atlantismo totale compra pezzi di sinistra pacifista che, in assenza di meglio, si accontenta delle ambivalenze e delle furbizie dei pentastellati. Potrebbe essere una questione di scelte limitate: in assenza di meglio, ciò che è pessimo diventa decente. C’è poi un problema di amnesia selettiva. Si passa dall’opposizione a uno dei governi – quello giallo-verde – più a destra degli ultimi decenni all’accoglienza del ruolo di interprete di un voto “abbastanza” utile contro la destra postfascista di Meloni e Salvini. Il progetto di un populismo di sinistra, più che in tante microsigle poi esplose in frammenti chiaramente reazionari, ha avuto nel M5S la sua realizzazione. Una realizzazione all’insegna della subalternità. La figura abusata delle ‘mosche cocchiere’ si attaglia bene a questo caso: ricercatori-militanti che vogliono semplificare il proprio discorso troppo alto forgiano slogan popolari e retoriche dicotomiche, nella speranza di trasformare l’odio per migranti, burocrati e ebrei deterritorializzati in forza keynesiana da scagliare contro la UE e le élite globaliste. Il razzismo è una variabile sovrastrutturale che si può addomesticare. Con un po’ di spesa pubblica le cattive pulsioni discriminatorie perderanno di vigore. Così non è e non sarà.

Nelle ricerche sulla forza dell’estrema destra in USA, Regno Unito e altri contesti, da quasi un decennio si parla di “classe operaia bianca” o, quasi intercambiabilmente, di “perdenti della globalizzazione”, tanto al centro, quanto a sinistra. In Italia abbiamo avuto nel M5S e nella Lega prima, e oggi soprattutto in Fratelli d’Italia, la nostra versione della rappresentanza politica di questo pezzo di società più o meno esistente. In questi dibattiti, si usa la categoria di “sciovinismo del welfare”, una riarticolazione selettiva delle risorse su base razziale, che accentua le già presenti discriminazioni proprie degli Stati-nazione. Il M5S si è fatto interprete di questa idea selettiva di protezione, tanto in termini sociali, quanto repressivi e gerarchici. Non riconoscere questo enorme problema significa sottovalutare la rilevanza che il razzismo ha in questo paese. Potrebbe essere un errore che costerà caro.

Note

1) Per il reddito di emergenza, istituito durante la fase acuta della crisi pandemica, era invece sufficiente il requisito della residenza, senza ulteriori attributi temporali (ex art. 82 del D.L. 34/2020).

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2 commenti a “Giuseppe Conte, o della protezione selettiva”

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