Politica, Temi, Interventi

Tra il 16 e il 22 ottobre del 2022, il Partito comunista cinese ha tenuto il suo XX Congresso nazionale alla presenza di 2.296 delegati in rappresentanza degli oltre 95 milioni di affiliati al partito. Il congresso, che per via di un processo di formalizzazione e istituzionalizzazione delle procedure politiche voluto da Deng Xiaoping negli anni Ottanta, si tiene ogni cinque anni, ha avuto come compiti principali l’esame del rapporto presentato al congresso dal precedente comitato centrale (in questo caso il XIX); l’emendamento dello statuto del partito; la programmazione delle linee di politica economica, politica interna e politica estera dei successivi cinque anni; la conferma e/o l’elezione, nella sua prima sessione plenaria, dei 205 membri del Comitato centrale all’interno del quale poi vengono nominati i 25 componenti del Politburo (Ufficio Politico) e i 7 componenti del Comitato permanente dell’Ufficio politico. Essendo quest’ultimo l’organo politico con i più ampi poteri decisionali, l’attenzione dei media nazionali e internazionali si è concentrata sulla sua nuova composizione poiché anche la sola composizione può essere in parte rivelatrice della direzione che prenderà la Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel prossimo futuro. Si sottolinea, a tal proposito, che le massime cariche dello Stato (dal presidente della Repubblica, al premier, al presidente del Parlamento) che vengono nominate in occasione della sessione plenaria del Parlamento (Assemblea popolare nazionale) del marzo dell’anno successivo, provengono dagli stessi vertici del comitato permanente del partito.

Lo smantellamento del meccanismo di leadership collegiale: la nuova composizione del comitato permanente del Politburo

Il primo risultato eclatante, già previsto sostanzialmente con assoluta certezza dagli analisti, è la permanenza di Xi Jinping nel suo ruolo di segretario generale del partito nonché di presidente della Repubblica. Questo terzo mandato rompe, infatti, una tradizione suggellatasi in trent’anni di successioni previste e prevedibili che si sono alternate ogni dieci anni e sono state caratterizzate dunque da due mandati quinquennali: Jiang Zemin (1992-2002); Hu Jintao (2002-2012); Xi Jinping (2012-2022). Il terzo mandato di Xi Jinping (2022-2027), tuttavia, era già previsto da tempo, almeno per tre ragioni: il XIX congresso dell’ottobre 2017 non aveva prodotto, come avveniva di consueto, l’indicazione di un possibile successore del segretario generale tra i ranghi del comitato permanente; le riforme in seno al partito e gli emendamenti al suo statuto, nel 2018, avevano teso a centralizzare il potere nelle mani di Xi; gli emendamenti alla costituzione avevano abolito il limite dei due mandati sancito per le cariche statali di presidente e vice-presidente della Repubblica1. Va da sé che questo terzo mandato in seno al partito, si tradurrà certamente, nel marzo del 2023, anche come un terzo mandato nel ruolo istituzionale di presidente della Repubblica.

Il secondo in grado, e dunque il potenziale nuovo premier della RPC, comprensibile per l’ordine di apparizione in pubblico, è un nuovo ingresso nel comitato permanente. Si tratta di Li Qiang, sessantatreenne, segretario della sede di partito di Shanghai e dunque principale responsabile della gestione della politica zero-Covid nella metropoli che ha comportato un lockdown molto restrittivo di due mesi, una crisi produttiva, in particolare nel settore manifatturiero per l’esportazione, e dure manifestazioni di protesta contro i metodi adottati. La sua scalata alle vette del Pcc legittima e reitera dunque la scelta e la continuità della politica del zero-Covid da parte delle autorità centrali. Questa nomina, come la precedente, rompe anch’essa con le tradizionali procedure istituzionali vigenti. Negli ultimi decenni, infatti, il potenziale premier aveva solitamente ricoperto in precedenza la carica di vice-premier. Li Qiang, invece, non ha mai ricoperto incarichi al livello di amministrazione centrale. In mancanza di tali criteri di scelta, spicca la provenienza geografica che coincide con la provenienza politica e di conseguenza con i legami personali tra Li Qiang e Xi Jinping. Li è, infatti, nato nel Zhejiang ed ha lavorato a lungo in tale provincia diventando il segretario di Xi Jinping quando questi ricopriva la carica di capo del partito locale, e ottenendo anche l’incarico di governatore provinciale attraverso i legami personali e lavorativi con Xi.

A questo proposito è doveroso specificare che la composizione dell’élite partitica, a partire dall’era post-maoista, è andata strutturandosi costruendo un equilibrio anche numerico fra gli affiliati alle diverse correnti politiche in seno al partito. Dalla rivoluzione culturale in poi (1967-1976) – apice della rivalità politica nonché degli scontri ideologici interni al socialismo cinese, che aveva aperto un’enorme falla nel rapporto fra il partito e le masse sociali facendo emergere ampi spazi di critica esterni e alternativi al sistema-partito – la lotta al fazionalismo e la costruzione e il rafforzamento dell’unità di partito, divennero obiettivi fondanti delle nuove riforme politiche avviate dalla fine degli anni Settanta in poi: “Di recente, il fazionalismo si è riaffermato; occorre fare attenzione. Se il fazionalismo non verrà eliminato, non potremo godere né di stabilità né di unità […]. Ogni quadro è chiamato a porre il partito al di sopra di ogni cosa”; “L’obiettivo principale è quello di rafforzare il partito”. Queste affermazioni di Deng Xiaoping risalgono al 1975 ma non si discostano tanto dagli obiettivi politici della leadership attuale. Quello che è radicalmente cambiato è il metodo utilizzato.

Inizialmente, infatti, si riteneva che il miglior modo per garantire l’unità di partito fosse evitare concentrazioni di potere, personalismi, e autoritarismi carismatici e costruire, invece, una leadership collegiale all’interno della quale potessero convivere correnti politiche diverse che essenzialmente, con la loro complementarietà, rendevano il partito, pur se unico, più pluralista e capace di rispondere alle esigenze sociali che, dalla politica di riforme e apertura (1978) in poi, erano diventate sempre più diversificate. La necessità dell’élite partitica di evitare che emergessero forme di rappresentanza al di fuori del controllo politico, rendeva le correnti inclini al compromesso reciproco in un meccanismo che è stato definito di “democrazia interna al partito”. Le principali correnti politiche che popolavano il partito erano identificabili sia per le diverse idee di sviluppo, sia per la tipologia dei luoghi in cui si sviluppavano le carriere politiche, sia per la vicinanza personale ai principali leader. In particolare, hanno gestito il partito negli ultimi trent’anni due correnti politiche: 1) lo schieramento della Lega della gioventù comunista (tuanpai) caratterizzato da personalità aventi esperienza principalmente nelle zone rurali, poco sviluppate, di solito situate nell’ovest del paese, politicamente impegnate a migliorare il benessere dei gruppi sociali più marginali, a occuparsi della diseguaglianza economica e sociale, propendendo per un maggior intervento dello Stato nell’economia. Gli affiliati di questo schieramento erano legati personalmente a Hu Jintao che al principio della sua carriera politica aveva guidato la Lega; 2) lo schieramento del clan di Shanghai composto da politici che hanno fatto carriera nelle zone economicamente più sviluppate della costa orientale laddove prima Jiang Zemin e poi Xi Jinping sono cresciuti politicamente, rafforzando e allargando i loro legami personali. Questa fazione si è distinta per politiche economiche maggiormente favorevoli ai gruppi sociali ed economici più forti.

La leadership guidata da Xi Jinping ha gradualmente smantellato questo sistema, ritenendo che l’obiettivo fondamentale di rafforzamento dell’unità del partito fosse raggiungibile più efficacemente garantendo, dapprima la preponderanza e, attualmente, con l’ultimo congresso, la prevalenza assoluta alla corrente guidata da Xi Jinping che oggi ha sfumature differenti dalla conformazione iniziale del clan di Shanghai ma che comunque fa capo a quella specifica fazione.

La conferma di ciò arriva non solo da Li Qiang che, se dovesse diventare premier, interromperebbe la prassi di una dialettica informale tra il presidente della RPC e il premier che, fino ad ora, è stata espressione di due visioni di sviluppo e di esigenze socio-economiche differenti. Li Keqiang, infatti, il premier uscente, faceva da contrappeso a Xi Jinping in quanto unica rappresentanza rimasta nel comitato permanente della tuanpai. Gli altri nuovi ingressi sono anch’essi tutti espressione della centralità assunta da un’unica corrente. Cai Qi, per esempio, attualmente capo del partito a Pechino, ha costruito la sua carriera politica nelle provincie orientali (Zhejiang e Fujian). Ding Xuexiang, è un’altra personalità politica legata a Xi in quanto direttore dell’ufficio politico del segretario generale. Li Xi è segretario di partito della provincia del Guangdong, situata sempre nella costa orientale, e epicentro delle prime fasi dell’industrializzazione. Allo stesso tempo, i due membri confermati, Zhao Leji e Wang Huning, rappresentano le colonne portanti della politica del segretario generale. Zhao è stato colui che ha condotto le campagne anti-corruzione negli scorsi anni; Wang è l’ideologo, la mente creatrice degli slogan retorici di questa e anche delle passate generazioni al potere. Un’ulteriore indicazione relativa all’orientamento intrapreso dal XX Congresso è la provenienza politica degli esclusi. Nonostante, per via dell’età (68 anni è il limite massimo), essi rientrassero ancora tra le personalità includibili, Li Keqiang e Wang Yang sono stati esclusi dal Comitato centrale mentre Hu Chunhua, un tempo considerato anche candidabile come segretario generale, è stato escluso dall’Ufficio politico. È significativo tener conto che tutti e tre gli esclusi siano legati alla Lega della gioventù comunista. A tali considerazioni si può aggiungere anche l’anomala uscita dal Congresso (rispetto alla quale non sono note le ragioni), pare accompagnato di peso, del punto di riferimento politico di tale schieramento, l’ex presidente ed ex segretario generale Hu Jintao.

Il peso delle contingenze attuali: governare le crisi

La maniera decisa in cui il XX Congresso ha, dunque, blindato il Comitato permanente, anche e soprattutto contravvenendo a regole procedurali consolidate, insieme alla traiettoria repressiva dei movimenti sociali degli ultimi dieci anni e all’accresciuto vigore della propaganda nazionalista, indicano chiaramente la necessità delle istituzioni politiche cinesi (e non solo della persona di Xi Jinping) di porsi sulla difensiva e di mettere in campo tutta una serie di azioni volte a costruire e mantenere un equilibrio politico, sociale ed economico2.

Si tratta, del resto, come evidenziato dal politologo cinese Wu Guoguang3, di una situazione estremamente complessa e problematica in cui il governo-partito si trova a gestire le trasformazioni epocali che più di quarant’anni di economia di mercato hanno generato: un marcato pluralismo sociale, una marcata diseguaglianza, un aumento esponenziale della corruzione dei quadri, un ruolo di gran peso nel sistema internazionale capitalista, una profonda crisi ambientale, una riduzione vertiginosa della crescita dell’economia (dal 10% durante l’era di Hu Jintao al 6.5% attuale), una conflittualità sociale frammentaria e localizzata ma persistente, anche tra le minoranze, alcune delle quali storicamente separatiste, come quella uigura dello Xinjiang. La situazione interna e internazionale si è ulteriormente aggravata di recente con l’acuirsi dell’antagonismo politico e commerciale con gli Stati Uniti, il grande conflitto tra la società di Hong Kong e le autorità politiche locali e nazionali e la successiva repressione, la risonanza internazionale delle politiche repressive nello Xinjiang, la pandemia da Covid-19 che ha acuito la crisi economica e la conflittualità sociale, lo scoppio della guerra in Ucraina e infine con l’incremento consequenziale delle tensioni tra il governo di Pechino e quello di Taipei a Taiwan. Le pluralità di crisi, interne e internazionali, in atto in Cina non possono inoltre essere disgiunte dalla crisi generale del neoliberismo globale iniziata nel 2008-2009 e acuita dall’esplosione della pandemia4.

Il Partito comunista cinese, come rivela anche l’ultimo congresso, è dunque alle prese con un incessante lavoro di aggiustamenti teso a migliorare le sue capacità di governare la/e crisi attuali. Queste capacità dipenderebbero innanzitutto dall’assenza di una battaglia di idee all’interno del partito. Il partito è l’unico organo politico, in tutte le sue ramificazioni, considerato in grado di gestire le crisi e la permanenza di tale capacità dipende da quanto si è in grado di garantire unità e compattezza nelle azioni e nelle linee politiche ed economiche del partito per meglio navigare le crisi, e quanto si è anche in grado di convincere la società cinese di tale compattezza e capacità di gestione mettendo in campo una incessante e capillare propaganda nazionalista.

Il tema della sicurezza nel rapporto politico presentato da Xi Jinping al XX Congresso

Il rapporto politico che viene presentato dal Segretario generale da parte del Comitato centrale uscente al nuovo Congresso contiene di solito un resoconto dei mandati precedenti e gli orientamenti di politica interna e internazionale futuri. Tra i vari temi affrontati, quello sulla sicurezza pare il più rappresentativo di quanto appena discusso. Il tema della sicurezza è infatti onnicomprensivo poiché concerne sia l’interno sia l’esterno e riguarda, allo stesso tempo, una molteplicità di aspetti come la conflittualità sociale, la diseguaglianza, la sicurezza alimentare, energetica e sanitaria, i flussi migratori, nonché la sicurezza tecnologica e l’integrità territoriale del paese. In diversi documenti (compreso il rapporto in questione), essa assume un ruolo prioritario rispetto allo sviluppo economico. In parte l’enfasi viene posta sul potenziamento del controllo sociale. Del resto, il governo già nel 2020 spendeva nella Pubblica Sicurezza il 7% in più rispetto alla Difesa con investimenti significativi soprattutto nei sistemi di video-sorveglianza. Inoltre negli ultimi anni sono state promulgate tutta una serie di leggi concernenti proprio la sicurezza: la legge sulla sicurezza nazionale, la legge anti-terrorismo, la legge sulla sicurezza dei dati; ed è stata creata la commissione nazionale per la sicurezza nazionale presieduta da Xi Jinping5. L’attenzione alla sicurezza è dunque senz’altro uno dei modi per affinare le capacità di gestione delle crisi da parte del Governo cinese. Il rapporto fa altresì riferimento alla necessità di ridurre la dipendenza dal trasferimento tecnologico dall’estero. Il riferimento va qui agli ostacoli commerciali posti dagli Stati Uniti nel settore strategico dei semiconduttori che minacciano ampiamente la produzione di chip cinese: l’amministrazione Biden infatti ha recentemente bloccato con nuovi controlli la vendita alla Cina di semiconduttori realizzati con tecnologia americana e impedisce ai cittadini statunitensi di lavorare con produttori di chip cinesi senza autorizzazione. L’obiettivo è quello di limitare l’accesso cinese alle tecnologie e conoscenze strategiche per rallentare i progressi tecnologici e militari fondamentali per la riforma e la modernizzazione delle forze armate oggi in atto in Cina.

Molto denso e assertivo risulta anche il tema relativo all’integrità territoriale con riferimento specifico alla necessità di completare la riunificazione del paese riannettendo l’isola di Taiwan alla Cina continentale. Nonostante sia auspichi una riannessione pacifica, il rapporto ammette la possibilità di ricorrere, se necessario, all’uso della forza, soprattutto in presenza di possibili interferenze straniere o separatiste6.

Note

1 Francesca Congiu, “China 2018: Bringing the Party Back into State Institutions”, Asia Maior, Vol. XXIX/2018, 2019, pp. 23-41.

2 Christian Gobel, “The Political Logic of Protest Repression in China”, Journal of Contemporary China, vol. 30, n. 128, 2021.

3 Wu Guoguang, “From the CCP Dilemma to the Xi Jinping Dilemma: The Chinese Regime’s Capacity for Governance”, China Leadership Monitor, 1 marzo 2020; “Killing the Different Dreams, Keeping the Same Regime: Xi Jinping’s Ten-Year Struggle to Remake CCP Elite Politics”, China Leadership Monitor, 1 settembre 2022.

4 Dae Oup-Chang, “A New Agenda for Asian Labour Movements in the Age of Decaying Neoliberalism”, Asian Labour Review, 26 ottobre 2022.

5 Jude Blanchette, “The Edge of an Abyss: Xi Jinping’s Overall National Security Outlook”, China Leadership Monitor, 1 settembre 2022.

6 Xi Jinping, Hold High the Great Banner of Socialism with Chinese Characteristics and Strive in Unity to Build a Modern Socialist Country in All Respects, Reports to the 20th National Congress of the Communist Party of China, 16 ottobre 2022.

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