L’8 e il 9 giugno, in concomitanza con il ballottaggio per le elezioni comunali, andremo a votare su cinque referendum abrogativi. Quattro, come noto, riguardano il lavoro e uno riguarda la cittadinanza. Tutti e cinque coinvolgono un rafforzamento dei poteri, e con esso delle libertà, per chi oggi ne ha ingiustamente meno di altri.
Incominciamo dai referendum relativi al lavoro. Tutti e quattro, in un modo o in un altro, sono finalizzati a rafforzare il potere dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro. Sono, pertanto, contributi alla democrazia economica.
Il contratto di lavoro sancisce, infatti, una relazione di autorità e ogni relazione di autorità contempla inevitabilmente il rischio di abuso dell’autorità. Ebbene, il referendum su licenziamento e reintegro rafforza il lavoro, asserendo la non monetizzabilità della violazione del diritto a non essere licenziati illegittimamente. Certo, la Corte costituzionale aveva già fortemente rivisto le disposizioni del Job’s Act in materia. Ciò nondimeno, restano ancora disuguaglianze rispetto a chi è stato assunto prima o dopo marzo 2015. Il referendum mira a contrastarle. E aggiungo, guardando ai dati, senza particolari danni all’occupazione. Il referendum su licenziamento e risarcimento, dal canto suo, rafforza il lavoro chiedendo di eliminare il tetto massimo di 6-14 mensilità per il risarcimento previsto nelle imprese con meno di 16 dipendenti. Il referendum sulla reintroduzione dell’obbligo per i datori di lavoro di indicare sempre la causale nei contratti a tempo determinato si propone di limitare la continua precarietà e i suoi ricatti. Infine, l’ultimo referendum sul lavoro rafforza i lavoratori esternalizzati, estendendo all’impresa appaltante, lungo tutta la catena del valore, le responsabilità in caso di incidenti.
Passando al referendum sulla cittadinanza, è evidente il contributo in termini di estensione della democrazia politica. Dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenzalegale in Italia richiesto agli stranieri extra UE maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana, significa facilitare l’accesso ai diritti, muovendo, seppure in misura parziale, verso l’universalismo che sta alla base dei diritti stessi e che oggi è, invece, sempre più messo in discussione da chiusure sciovinistiche. Significa, e questo vale in modo particolare per i più giovani, sentirsi parte a pieno titolo della medesima comunità. A tale riguardo, certo, lo ius soli sarebbe stato meglio, ma la riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza aiuta, peraltro avvicinando l’Italia alle normative in vigore in molti paesi dell’Unione.
Ma non è tutto. Di fronte a una politica troppo spesso sorda nei confronti della giustizia sociale, i referendum offrono ai cittadini e alle cittadine l’opportunità di agire direttamente con la loro voce. Anche su questo piano sono strumento di allargamento di poteri decisionali. Per le caratteristiche appena messe in evidenza, poi, i referendum su cui andremo a votare permettono proprio di ascoltare e fare ascoltare, per una volta, le voci di una parte importante di persone in questi anni trascurate.
Non possiamo, invece, andare a votare contro l’autonomia differenziata. La inammissibilità del referendum da parte della Corte costituzionale non ci esime tuttavia dall’impegno anche su questo fronte. La stessa Corte costituzionale, con la sentenza 192/2024, ha ritenuto illegittime molte e rilevanti disposizioni della legge Calderoli, dal trasferimento di intere materie o ambiti di materie alle regioni, il quale metterebbe a repentaglio l’unitarietà delle politiche pubbliche e, con essa, il valore della sussidiarietà, alla mancanza di solidarietà e perequazione; dai rischi di un mantenimento del criterio della spesa storica, che cristallizzerebbe le forti disuguaglianze oggi esistenti, alla mancanza di criteri di valutazione e monitoraggio fino all’esautoramento del Parlamento nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (vale a dire da una questione così centrale quale la definizione dei diritti). Bisogna allora vigilare e impegnarsi per assicurarsi che i paletti posti dalla Corte siano presi sul serio con profonde modifiche della legge Calderoli.
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