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Il cinema contro la cecità ambientale

Episodi, occasioni e forme di impegno ecologico del mondo cinematografico.
Pubblicato il 3 Febbraio 2023
Ambiente, Cultura, Materiali, Temi, Materiali

Nell’ottobre del 2006 ho seguito la rassegna Cinema della realtà, a cura del regista, e amico, Fabrizio Varesco. Tra le proiezioni in programma presso la Sala 12 d’essai del CinemaCity di Ravenna, il film-documentario Diamante bianco / The White Diamond, diretto da Werner Herzog nel 2004, proponeva un resoconto dell’avventura intrapresa dallo stesso regista e dall’ingegnere aerospaziale Graham Dorrington a bordo del dirigibile White Diamond con cui hanno sorvolato la Guyana ed esplorato da vicino la foresta amazzonica. Non conoscevo l’autore dell’opera e ho iniziato a seguire il suo lavoro. Nel 1992 il suo film Apocalisse nel deserto / Lektionen in Finsternis, che si apre con la scritta: «Al pari della creazione, anche la morte del sistema solare avverrà con maestoso splendore», documenta il disastro provocato dall’incendio dei pozzi petroliferi in Kuwait ed è commentato, senza l’uso della parola, da immagini accompagnate dalla musica. La pellicola rimanda a quello che secondo il critico e cineasta Bertrand Tavernier è il primo film ecologista, Puits de pétrole à Bakou. Vue de près – Pozzi di petrolio a Baku. Veduta ravvicinata (filmato numero 1035 del Catalogo Lumière); l’operatore Alexandre Mishon (Charkiv, Ucraina, 1858 – Samara, Russia, 1921) portò il cinematografo dei Lumière nelle future repubbliche sovietiche. La scena, girata a macchina fissa, filmata nel 1887 e proiettata in pubblico nel 1899, riprende i pozzi petroliferi a Bibiheyat, vicino a Baku, in Azerbaigian, che vanno a fuoco (1).

Alcuni anni dopo, nel 1922, nelle sale cinematografiche, esce Nanook from the north del regista statunitense di origine irlandese Robert Joseph Flaherty, pioniere nella realizzazione di film-documentari (2). Il pubblico viene condotto per la prima volta in mezzo alla natura selvaggia, nell’arcipelago delle isole Belcher, nella parte meridionale della Baia di Hudson, a osservare la vita di una famiglia di inuit canadesi, riprendendoli alle prese con una lotta incalzante con la natura. Da allora la connessione esseri umani, natura e tematiche ambientaliste inizia a essere trattata dal cinema documentaristico e dai film di fiction. Negli ultimi anni, il cinema ambientale ha affinato qualità espressive, linguaggio e capacità di trasmettere contenuti anche complessi a un pubblico sempre più vasto, proponendosi spesso anche come un modello di comunicazione scientifica.

Nel 2007, presso il Filmstudio di Roma, viene realizzata la prima rassegna di ecocinema Viva Gaia! Film e video ecologisti per il Terzo Millennio, un contenitore all’interno del quale trovano spazio film, video e documentari provenienti dai festival di cinema ambientalista del mondo. Dal 1998, inoltre, a Torino, il Festival CinemAmbiente presenta film e documentari ambientali a livello internazionale; organizzato dall’Associazione CinemAmbiente in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, è parte integrante del Green Film Network, un’associazione che riunisce festival dedicati all’ambiente di tutto il mondo. L’edizione 2022, For a Green Era, tenutasi al cinema Massimo e online, comprendeva titoli che spaziavano fra diversi generi e argomenti del cinema ambientale di nuova generazione.

Nel 2022 si è tenuta anche la seconda edizione di Indiecinema Film Festival dedicata al panorama del cinema indipendente nazionale e internazionale che si è aperta al Caffè Letterario di Roma con la proiezione del film di Emanuele Di Leo e Massimo Previtero, Vincenzo il pastore lucano, del 2019. Il pastore Vincenzo, nel film, viene ripreso alle pendici del suo paese, dove ha scelto di continuare a esercitare l’attività di pastore raccontando eventi positivi e negativi dei luoghi in cui vive, facendo spesso riferimento al romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli. Il festival diffuso Indiecinema Film si appoggia a un network di piccole associazioni culturali, cineclub e spazi similari in grado di ospitare anche eventi sollecitati dal pubblico. Sempre nell’edizione 2022, vi era in concorso anche il documentario del 2009 Home di Yann Arthus Bertrand, prodotto da Luc Besson, che denuncia lo stato attuale della Terra, il suo clima e le ripercussioni a lungo termine sul suo futuro. Concepito come un reportage di viaggio, il film è realizzato quasi interamente con immagini aeree. Bertrand, dal 1976, si è specializzato in reportage naturalistici; nel 1994 realizza il progetto La Terre vue du Ciel, un inventario dei più bei paesaggi del mondo fotografati dal cielo, il cui motto è «Testimoniare la bellezza del mondo e tentare di proteggere la Terra». Nel 2005 fonda l’associazione ecologista internazionale GoodPlanet.org e dà vita all’iniziativa Action Carbone, per compensare le emissioni di gas a effetto serra generati dalla sua attività di fotografia aerea, tramite il finanziamento di progetti per lo sviluppo di energie rinnovabili, per il risparmio energetico e per la riforestazione.

Oltre che nelle storie narrate dai film, il concetto di sostenibilità si sta diffondendo anche nell’industria cinematografica. Gli studios di diverse città, come Vancouver, Los Angeles e Londra, hanno avviato pratiche di produzione sostenibili. Nella Columbia Britannica l’adozione di sistemi di produzione sostenibile risale al 2006, alla creazione di Reel Green, agenzia indipendente che fornisce strumenti e informazioni ad aziende e privati che intendono produrre cinema in modo ecologicamente responsabile. Anche gli immobili culturali come sale cinematografiche e teatri sono edifici altamente energivori, molto in ritardo in termini di conversione ecologica ed energetica; sono solo una minoranza quelli che effettuano interventi di efficienza energetica. L’ingannevole strategia del greenwashing, il cosiddetto ecologismo di facciata di imprese, associazioni e organizzazioni finalizzato a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, è presente anche in ambito cinematografico e, come dice il linguista statunitense Noam Chomsky, «Dobbiamo eliminare la necessità delle bugie verdi».

Il tema è affrontato anche dal regista austriaco Werner Bootenel film The Green Lie,in cui sono messi in scena gli inganni del greenwashing, le pennellate verdi (strategie di comunicazione e marketing) che molte aziende utilizzano per crearsi una facciata eco. Il cambiamento, secondo Boote (ispirato in ciò da Chomsky), deve avvenire a monte. È il punto di vista che deve modificarsi, è il modo di produrre, di fare economia che deve evolvere verso una forma più democratica, in cui i diritti dell’uomo e della natura non vengano più sacrificati in nome del profitto. L’individuo, come dice l’economista Raj Patel intervistato nel film, “non può essere esperto di tutto, non si può pretendere che leggendo un’etichetta al supermercato riesca a capire quanto un prodotto danneggi gli oceani, la foresta pluviale, quanto impatti sul clima e via dicendo. È impossibile. Abbiamo certamente la responsabilità di comprare prodotti che non danneggino l’ambiente, ma abbiamo anche il diritto di pretendere che l’industria non produca più prodotti dannosi, a prescindere da qualsiasi certificazione di sostenibilità”. Walter Siti, nel pamplhet Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura (Rizzoli, 2021), afferma che la letteraturasostiene il Bene se il Potere lo reprime, ma quando il Potere si nasconde dietro stereotipi di buona volontà essa non ha paura di far parlare il Male, di affermare una cosa e contemporaneamente negarla, di mostrarci colpevoli-innocenti e innocenti-colpevoli.

Il Manifesto per la cultura Bene Comune e Sostenibile, lanciato in Italia dall’associazione Dire Fare Cambiare nel 2020, ideato dall’Associazione Chiave di Svolta, nata per volontà di un gruppo di donne e firmato da artisti/e, organizzazioni sociali e culturali, propone «un database gratuito e un osservatorio permanente utile a mappare film, fornitori certificati, produttori sostenibili e protocolli esistenti». I firmatari del Manifesto hanno inoltre inviato una lettera aperta agli allora Presidente del Parlamento Europeo, Ministro dei Beni Culturali e Ministro della Transizione Ecologica in cui chiedono «l’istituzione di un tavolo dedicato al cinema sostenibile, un tavolo a cui potranno sedersi i vari attori e protagonisti di questa nuova pagina del mondo del Cinema […] capace davvero di accompagnare e sostenere gli operatori culturali impegnati in questo cambio di paradigma. Un tavolo capace di riconoscere ufficialmente i protocolli, compararli, misurarne l’efficacia e la ricaduta sui territori ma anche utile al coordinamento di questo nuovo settore professionale che necessita di una linea guida per poterne garantire uno sviluppo importante […] crediamo che sia giunto il momento di praticare la sostenibilità ambientale con una serie di azioni concrete e misurabili che possano rispondere a un’emergenza planetaria che riguarda tutto il genere umano»(3).

Il cortometraggio Paani. Of Women and Water, diretto dall’antropologa visiva e documentarista italiana Costanza Burstin, presentato in Concorso al 30° Fascaal, Festival del Cinema Africano, Asia e America del 2021 nella sezione “Extr’a”, è un progetto che inizia nel 2016, quando la regista, allora studentessa d’antropologia e diritti umani, osservando, durante un viaggio, la vita delle donne indiane, in particolare nel contesto inospitale del deserto del Rajasthan, lo Stato federale più grande dell’India, con l’uso della telecamera riprende la routine famigliare di Samira e altre donne del villaggio di Modiya: la preparazione dei pasti, il lavaggio delle stoviglie e della biancheria, la cura del bestiame, la pittura dei muri delle case. Attività accomuniate dalla presenza essenziale dell’acqua, prelevata in anfore dall’unico pozzo del villaggio (riempito periodicamente da un camion che precedentemente la estrae da un fiume), filtrate attraverso un panno e poi travasate in secchi e contenitori in plastica. Nei 22 minuti del cortometraggio, l’acqua (paani, in lingua hindi), un bene scontato in occidente, ma che in paesi climaticamente più aridi e naturalmente più inospitali richiede consapevolezza, sacrificio e una cautela attenta a evitarne lo spreco, è spunto di riflessione riguardo alle complesse modalità d’approvvigionamento.

L’Africa è al centro del reportage del fotografo brasiliano Sebastião Salgado ripreso dal film documentario del 2014 The Salt of the Earth / Il sale della Terra, diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado. Nel documentario vengono approfonditi i suoi progetti, poi pubblicati su libri, sull’America Latina (The Other Americas), sulle drammatiche condizioni dei popoli africani (Sahel: The End of the Road), sulle condizioni dei lavoratori in giro per il mondo (Workers), sulle grandi migrazioni umane (Migrations) e, infine, sugli angoli del pianeta non ancora contaminati dalla modernità (Genesis).

Un ricordo

Nel 2022 è mancata Adonella Marena, ex insegnante di storia. Conosciuta per la sua attiva partecipazione alle vicende sociali legate alla Val di Susa, Adonella si specializza nel documentario sociale, raccogliendo nel suo cinema le sue passioni politiche: ambientalismo, ecologia, conservazione della memoria, solidarietà con i popoli in lotta e i diritti degli animali. È stata lei a realizzare il primo filmato sul movimento No Tav dal titolo Indiani di valle, presentato con queste parole: «Cittadini e sindaci in un irriducibile movimento trasversale denunciano con ogni mezzo gli effetti devastanti del faraonico e inutile progetto: la morte di un’intera valle, avvelenata dall’amianto, prosciugata e trasformata in un corridoio di servizio». Nel 2006 decise di seguire la marcia da Venaus a Roma per far conoscere anche ad altri territori la resistenza della valle. Nel 2008 realizza il documentario Cartun d’le ribelliun / Il carretto delle ribellioni. Il filmato è così presentato: «Una mattina d’estate da Venaus parte una marcia, che percorrendo in 15 giorni 800 chilometri, arriva a Roma. A piedi, in treno, in bici, la marcia a bassa velocità. Il movimento No Tav esce dalla valle per far conoscere le ragioni della sua opposizione ai faraonici progetti delle cosiddette Grandi opere. La storia di un’utopia contagiosa».

Il documentario Le chiavi di una storia. La comunità dell’Isolotto. Archivi e memoria dei luoghi

Un’amicizia di lunga data con Paola Ricciardi e suo marito Mario Bencivenni, entrambi fiorentini, mi ha permesso di approfondire alcuni aspetti urbanistici, paesaggistici e artistici dei quartieri di Firenze. Paola si occupa di beni librari e archivisti, Mario di storia dell’architettura e dei giardini, di storia del restauro e della tutela del paesaggio. È grazie a loro che ho avuto l’opportunità di conoscere la vicenda urbana e sociale del quartiere dell’Isolotto di Firenze (4), recentemente oggetto, come dirò, di un ben documentario.

Walter Benjamin afferma che «Chi cammina a lungo per le strade senza meta viene colto da un’ebbrezza. A ogni passo l’andatura acquista una forza crescente; la seduzione dei negozi, dei bistrot, delle donne sorridenti diminuisce sempre più e sempre più irresistibile si fa, invece, il magnetismo del prossimo angolo della strada, di un lontano mucchio di foglie, del nome di una strada […]»(5). Il filosofo tedesco parla del flâneur che si perde nella folla, dell’abitante che passeggia nella propria città nella speranza di coglierne il genius loci, l’anima nascosta. Passeggiare lungo le strade dell’Isolotto, grazie anche a informazioni e dettagli di Paola e Mario, che risiedono nel quartiere e ne conservano la memoria storica, è, per me, ogni volta, esperienza di buon vivere. Mi fermo ad ascoltare i racconti delle persone che si incontrano per strada mentre si recano al mercato rionale, osservo le case, i viali alberati, la semplicità composta degli spazi urbani. Nel luglio del 2021 il ponte ciclo-pedonale dell’Isolotto, che unisce il Parco della Cascine al quartiere, è stato intitolato ad Alex Langer, personalità di spicco del movimento ecologista italiano, costruttore di ponti tra comunità, fra i primi in Italia a parlare della necessità della “conversione ecologica”.

Nel novembre 2022, nell’ambito del Festival dei Popoli, è stata proiettata la première del documentario Le chiavi di una storia. La comunità dell’Isolotto di Federico Micali. Nella pellicola si delinea la realtà storica e socio-culturale che contraddistingue uno dei quartieri più verdi di Firenze, attraverso una serie di testimonianze e l’uso di materiali di repertorio conservati presso l’Archivio della Comunità dell’Isolotto. Nel 1954 vengono consegnate le chiavi di circa mille appartamenti realizzati nell’ambito di un progetto che interessa la riva sinistra dell’Arno, di fronte al parco delle Cascine. Nasce così il quartiere dell’Isolotto di Firenze, la cosiddetta “città-satellite”. In un terreno fino ad allora abbandonato, le nuove case vengono assegnate a gruppi eterogenei di persone: profughi dell’Istria, impiegati, operai della Galileo e altre fabbriche fiorentine, sfollati e sfrattati, immigrati dal sud Italia. Il quartiere sorge su un’area ceduta dal Comune a titolo gratuito all’Ina-Casa; al progetto collaborano architetti/e che si misurano con il concetto di organicità e autosufficienza. Le aree verdi devono coprire tre volte lo spazio delle abitazioni e vengono pensate in funzione dei diversi gradi di interazione sociale. Asse portante dell’iniziativa è il parco longitudinale che collega il quartiere alla piazza centrale e alla scuola, mentre i lotti residenziali, affidati a progettisti diversi, sono caratterizzati da una varietà tipologica e distributiva. «Le costanti che ricorrono nell’organizzazione dello spazio sono riconducibili ad alcuni schemi di base come la separazione dei percorsi carrabili, l’uso di una viabilità distributiva capillare, la differenziazione del verde, l’utilizzo di tipologie estremamente diversificate, ma comunque abbastanza basse e disposte estensivamente. La cultura urbanistica più recente ha rivalutato questa esperienza riconoscendone soprattutto i valori sociali che si riflettono nell’organizzazione dello spazio» (6). Principio cardine di questo nuovo quartiere è la diversità; è infatti sulla diversità che si crea la storica comunità dell’Isolotto che si batte per veder riconosciuti i diritti di tutti/e. Oltre all’architettura e all’urbanistica, componente fondamentale del quartiere è, infatti, l’esperienza di democrazia urbana che in varie forme e nel corso del tempo lo caratterizza.

Note

(1) Cfr. Arzu Geybullayeva, Cinema e TV in Azerbaijan, Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, 5 settembre 2019, https://www.balcanicaucaso.org/aree/Azerbaijan/Cinema-e-TV-in-Azerbaijan-121941.

(2) Il documentario è un film a corto o a medio metraggio, di carattere divulgativo, didattico o informativo, che, evitando ricostruzioni fittizie, si propone di dare una rappresentazione la più vicina possibile alla realtà del fatto narrato. Robert Joseph Flaherty, studioso mineralista, in una spedizione del 1910 nel Labrador canadese, portò una cinepresa da utilizzare come taccuino visivo e pose la prima pietra miliare del cinema documentaristico girando Nanook from the north (1922) e Man of Aran (1934).

(3) Vittorio Sammarco, Cinema sostenibile: un manifesto per fare cultura al meglio, 10 gennaio 2022, n Labsus/Laboratorio per la sussidiarietà, https://www.labsus.org/2022/01/cinema-sostenibile-un-manifesto-per-fare-cultura-al-meglio/.

(4) Daniela Poli, Storie di quartiere. La vicenda Ina-Casa nel villaggio Isolotto a Firenze, Polistampa, 2004; Comunità dell’Isolotto, Isolotto 1954-69, Laterza, 1969; per una rassegna bibliografica sull’Isolotto e il Quartiere 4 di Firenze si veda: https://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/BIBLIOTECA/documenti/DOCUMENTI_BIBLIOTECA/bibliografie/bibliografia%20quartiere%204%20.pdf.

(5) Walter Benjamin, I passages di Parigi, A cura di Rolf Tiedemann, Edizione italiana a cura di Enrico Ganni, Einaudi, 2002, Volume I, p. 466.

(6) Architettura toscana, Quartiere satellite dell’Isolotto, scheda FI11, https://www.architetturatoscana.it/at2011/scheda.php?scheda=FI11.

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