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La libertà è amore.
Un popolo è libero
quando non odia
e non è odiato.

Nell’essere umano
la stupidità
può divenire
ferocia.

Il faraone Netanyahu ha detto che il popolo schiavo palestinese non avrà un suo territorio con uno Stato indipendente e che continuerà a essere bombardato fino alla resa completa e alla rinuncia a ogni forma di libertà.

Il faraone sa che difficilmente il popolo palestinese organizzerà un esodo simile a quello del popolo ebraico in Egitto. Non è facile trovare un Mosè e anche Mosè non fu sempre ascoltato dal suo popolo. Come non fu ascoltato dal faraone. E ascoltare Mosè era ascoltare Dio, il divino, che è il desiderio di libertà di ciascun essere umano e degli esseri umani.

Manca poco alla celebrazione della Pasqua ebraica che, religiosamente, tutto il popolo degli ebrei celebra come la festa della propria liberazione.

L’esercito del faraone, nello Stato di Israele, lo Stato che si dichiara di tutto il popolo ebraico, celebrerà la Pasqua ebraica continuando a bombardare il proprio popolo schiavo e, usando gli aerei, sarà certo di non essere sommerso dalle acque del Mar Rosso. Il progresso a qualcosa serve.

Il faraone egiziano pensava, anche lui, che per non essere odiati si deve uccidere tutti coloro che ci odiano. Ma così il numero di coloro che ci odiano cresce sempre e si è obbligati inesorabilmente a continuare a uccidere.

La legge mosaica indica un’altra strada, molto breve e altrettanto inesorabile: non uccidere.

Questa strada della legge mosaica i faraoni non la sanno, non la conoscono. Ma gli ebrei, i veri ebrei, non la dimenticano.

La violenza omicida nega la bellezza che è verità e vita.

Gli ebrei non sono una stirpe. Non sono ebrei a causa della loro discendenza fisica da Abramo, come dice con linguaggio mitico la Bibbia e come credevano rozzamente i nazifascisti. Essi sono un popolo e lo sono perché hanno una storia e una lingua, e un libro che ne racconta la storia, ne illustra le vicende, ne descrive le credenze, la morale, i principi etici, le vicende politiche, le vittorie e le sconfitte, la schiavitù e la libertà, la speranza e la disperazione, la vita, la morte, le meraviglie, gli orrori.

Il legame tra loro degli ebrei è spirituale, non fisico. E Stato ebraico non può né potrà mai significare Stato nazional-sionista.

La diaspora ha costretto gli ebrei a contrarre matrimoni in piccole comunità. Il che ha prodotto una parentela tra individui di queste comunità. Ma la matrilinearità come valore di discendenza, in queste comunità è un residuo mitico, di un modo di ragionare antico, dove si pretendeva di poter riportare ogni nato ai primi antenati ricordati nella storia scritta e nella tradizione orale.

Avere uno Stato potrebbe significare, per il popolo ebraico, non concentrarsi in un territorio minuscolo con un genocidio del popolo che lo abitava, ma riconoscere nei luoghi originari della sua antica patria un punto di incontro e di processo di modernizzazione ed emancipazione della sua cultura e della sua civiltà. Un luogo nel quale fondere particolare e universale per dare un contributo alla emancipazione dalla servitù e dall’ingiustizia dell’intera umanità.

Tutto questo era nella speranza degli ebrei della diaspora, dei più illuminati di costoro che la nascita dello Stato di Israele hanno vissuto con consolazione e speranza, e hanno anche difeso nei momenti più delicati e difficili.

Queste speranze, questa lunga storia, questa grande civiltà, non meritano il governo Netanyahu, la sua grettezza, i danni che ha comportato in tanti anni di scellerata politica di oppressione del popolo palestinese, di tensione e di conflitto armato anche dei governi che lo hanno preceduto. Occorre un nuovo passo nella politica israeliana, un passo ebraico, non sionista. Un modo diverso di concepire se stesso dell’ebraismo. Un ebreo può essere alto o basso, nero o giallo, biondo o bruno. Purché si riconosca nello stesso Dio, nella stessa tradizione, nella stessa legge. Lo Stato di Israele non è nato dal sionismo, non è stato il premio alla sua politica nel secolo diciannovesimo e nella prima metà del secolo ventesimo.

Lo Stato di Israele è nato dalla shoah. È la conseguenza di una tragedia nata dalla follia omicida nazista. Non è stato istituito dalle Nazioni Unite per provocare un’altra smisurata tragedia.

Uno Stato sionista non è in grado di amministrare degnamente una città come Gerusalemme. Per Gerusalemme e la Terra Santa occorre una gestione consapevole del significato che quei luoghi hanno per miliardi di persone che appartengono alle religioni monoteiste derivate dalla religione ebraica. L’umanità deve uscire dall’infelice momento storico nel quale le questioni religiose si affrontavano con le armi in pugno. L’ultima crociata risale a oltre cinque secoli fa e non si fece, non partì. Ci voleva l’antisemitismo europeo e il conseguente sionismo, seguito dal nazismo di Hitler con i suoi campi di sterminio, per riportare la Terra Santa al centro di una interminabile guerra di religione. Ma al popolo ebraico, dopo tante sofferenze nel secolo ventesimo, la storia ha assegnato il compito difficile e delicato di farsi carico del destino dei suoi luoghi sacri senza turbarne la geografia e l’equilibrio tra le popolazioni. Non si tratta di un compito da assolvere con le armi, ma con la civiltà, con l’umanesimo, con tutto ciò che di alto v’è nella spiritualità umana.

Con questa coscienza lo Stato ebraico deve giungere alla consapevolezza di sé, per fare una pace giusta con il popolo con il quale il destino ha voluto che dividesse e condividesse quei territori. I palestinesi devono comprendere la tragedia degli ebrei, gli ebrei devono comprendere che il destino ha voluto che i palestinesi condividessero la loro tragedia e questo ha provocato un conflitto che va superato, ha prodotto una piaga che va curata e sanata in entrambi i popoli. Non è soltanto un dovere morale, tanto meno è una necessità, si tratta di una istanza di vita.

Il non essere
che non è
lo chiamano
vittoria.

Le sacre du printemps

Terra santa,
come salvare
dallo sterminio
il vinto,

dall’ignominia
il vincitore?

La guerra non separa
l’essere dall’esistere,

il bene dal male.

Il vivere può soltanto
essere cercato
e amato,
non separato

dall’accadere.

Questo nascere,
questo fiorire,
questo amare
è la primavera.

L’angelo ha fermato
la mano di Abramo.

Todi, 7 aprile 2024

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Un commento a “Il faraone Netanyahu”

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