Interventi

Registro due buone notizie: che una rivista attenta al cambiamento politico e istituzionale come Democrazia e diritto dedichi un numero monografico alla questione del partito politico; che il Partito democratico, tramite i Giovani democratici, ritenga opportuno riflettere sul partito in generale. Su se stesso, dunque, ma non solo su stesso.
Per la verità, la riflessione sul partito politico, nella prospettiva del diritto costituzionale, che è la mia, non è affatto sollecitata dalla dottrina mainstream, per come essa si è concretamente strutturata negli ultimi anni. Si fronteggiano (ma anche – lo vedremo subito – si spalleggiano a vicenda) due indirizzi culturali prevalenti.
Il primo è quello, oggi probabilmente più in voga, del costituzionalismo irenico. Sotto questa etichetta si possono raggruppare le posizioni di coloro che, parlando di tramonto della sovranità propriamente politica e sostenendo ch’essa sarebbe stata ormai sostituita dalla “sovranità della Costituzione” o dalla “sovranità dei valori”, hanno finito per espungere il tema del potere dall’orizzonte scientifico del costituzionalismo. Per questo indirizzo, il diritto costituzionale si risolve nelle pronunce delle Corti costituzionali, “è”, ciò che le Corti costituzionali dicono. Non solo: sono ritenute Corti “costituzionali” anche Corti internazionali come quella di Strasburgo o sovranazionali come quella di Lussemburgo, i cui rapporti con quelle degli Stati sarebbero retti dal principio del “dialogo fra le Corti”, mentre ciascuna di queste istanze giurisdizionali dovrebbe operare seguendo la bussola del bilanciamento tra i valori. La cifra essenziale di questo indirizzo è il pangiurisdizionalismo.
Il secondo, forse recessivo nella comunità scientifica, ma ancora saldamente impiantato in una parte del mondo politico, è quello del costituzionalismo meccanico. Sotto questa etichetta si possono raggruppare le posizioni di coloro che pensano (come scrisse Sartori nella sua Ingegneria costituzionale) che le Costituzioni siano macchine e che, magari ipotizzando “leggi” che governerebbero gli effetti delle regole istituzionali (penso soprattutto alle “leggi” di Duverger – che, pure, è stato uno dei più acuti analisti dei modelli di partito – sugli effetti dei sistemi elettorali), ritengono che i problemi dei sistemi politici si possano risolvere semplicemente modificando quelle regole. Frequentemente, aggiungo, questo indirizzo va di pari passo con la credenza che sia possibile e anzi auspicabile quell’autentico ircocervo che è la democrazia rappresentativa “immediata” (correttamente criticata da Prospero). La cifra essenziale di questo indirizzo è il pannormativismo.
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