Adriano Labbucci è stato nominato assessore con delega alla mobilità e alla memoria (più altre cose…). Ci piace questa coppia. Adriano ha scritto un bellissimo libro sul camminare e noi sappiamo che la memoria e il cammino vanno insieme. A Roma, soprattutto, dove si cammina nello spazio e nel tempo. Con il secondo che irrompe nel primo. Chi cammina deve perdere l’equilibrio per iniziare; come l’atto del ricordare che parte (o dovrebbe) da un inciampo nel tempo presente.
Vantiamo un primato europeo: una vettura ogni 1,4 abitanti. Dal 1995 in tutta Europa il chilometraggio medio dei veicoli privati è diminuito, con punte dell’8% in Gran Bretagna e fino al 4% in Francia, solo in Italia è rimasto invariato; aggiungiamo a completare il quadro che la media dei nostri tragitti è di quattro chilometri, cioè un uso insensato e irrazionale per brevi spostamenti, causa principale della paralisi del traffico cittadino.
Non c’è da stupirsi, se fosse possibile tanti italiani e italiane ci andrebbero pure al cesso con la loro macchinetta. Un tempo levavano invocazioni agli dei e agli spiriti perché facessero scendere la pioggia sui campi inariditi, oggi ci si affida alle previsioni e si scruta il cielo con la speranza che piova per poter continuare a girare con l’auto in città.
A Roma ci sono 823 auto ogni 1000 abitanti compresi bambini e minorenni, solo il 25% usa il mezzo pubblico mentre a Parigi è il 67%, a Madrid il 66%, a Londra i 55%. Contiamo ogni giorno un morto e settanta feriti per incidenti stradali e sono 8820 i decessi per inquinamento nelle tredici principali città italiane, con Roma al primo posto. Peggio di una guerra. Eppure è a tutti noto che il mercato dell’auto è da tempo in crisi e che non potrebbe essere diversamente.
Una buona e lungimirante politica non ha da fare che una sola cosa: invertire la tendenza; promuovendo e incentivando in vario modo il trasporto pubblico principalmente su ferro e poi su gomma.
Ma se la città si espande a macchia d’olio verso la campagna è evidente che l’esito è già scritto: un uso ancora più massiccio dell’auto privata per poter entrare e uscire dai nuovi insediamenti, con inevitabile aumento di traffico, congestionamenti, inquinamento.
Non facciamoci illusioni, non saranno archistar né ingegneri del traffico a risolvere questa situazione perché in questione è un’idea di città, un modello urbano dissennato in cui prima si costruiscono case, centri commerciali, uffici e dopo, solo dopo, si pensa alle infrastrutture viarie e ai servizi essenziali.
È nel modello urbano americano il prototipo di quel che avviene qui da noi. Rebecca Solnit ce ne ha offerto una descrizione accurata e preziosa proprio in relazione al camminare: “I sobborghi residenziali americani sono costruiti a misura di automobile… in queste espansioni urbanistiche indiscriminate non ci si aspetta più che le persone camminino, ed esse raramente lo fanno. Molte località hanno rimpiazzato il centro cittadino con aree commerciali inaccessibili con ogni altro mezzo che non sia l’automobile”. Non è il futuro prossimo, è il nostro presente. A Roma, ci ha ricordato l’urbanista Paolo Berdini, negli ultimi anni sono stati aperti “Ventotto grandi centri commerciali che hanno un’offerta di parcheggi di oltre centomila auto. In Francia hanno calcolato che l’apertura di ciascuno di essi fa chiudere nel giro di pochi anni almeno settanta attività commerciali tradizionali”.
Se espansione edilizia e commerciale a macchia d’olio e primato indiscusso dell’auto privata sono le due facce della stessa medaglia, allora non deve più di tanto sorprendere quello che scrisse un gruppo di urbanisti consulenti del sindaco di Los Angeles: “Il pedone rimane il più grande ostacolo al libero fluire del traffico”.
Alla fine il combinato disposto dei fattori culturali, naturali ed economici è sotto gli occhi di tutti: la privatizzazione degli spazi pubblici. “Un centro urbanizzato e le automobili sono in vario modo antitetici, in questo una città a misura di guidatore non è che un sobborgo abnorme di persone che fanno la spola da un interno privato a un altro interno privato. Le autovetture hanno promosso la propagazione e la privatizzazione, via via che i centri commerciali sostituiscono le vie cittadine dei negozi, gli edifici pubblici diventano isole in un mare di asfalto, un piano regolatore scade nell’ingegneria del traffico e le persone socializzano con molta meno libertà e frequenza. Diversamente dal centro commerciale, la strada è lo spazio pubblico in cui si applicano i diritti di libertà, di parola, di riunione. Le possibilità liberatorie e democratiche di riunione in pubblico non esistono in luoghi dove non c’è spazio per radunarsi”. (Solnit, Storia del camminare)
La piazza che da Vitruvio in poi è stata considerata l’emblema della firmitas, solidità, della utilitas, funzione, della venustas, bellezza, dove le persone si incontravano in uno spazio in cui storia e arte manifestavano in sommo grado l’identità di quei luoghi e di quelle genti, ora la piazza è diventata lo spazio dell’utilità intesa come funzione privata, e della bruttezza.
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