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La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) con sede all’Aja è il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, con competenza a dirimere le controversie tra Stati. Si tratta di un organo che fa parte delle Nazioni Unite, lo Statuto della CIG è allegato alla Carta dell’ONU e gli Stati lo sottoscrivono nel momento in cui aderiscono all’organizzazione, pur non accettando automaticamente la giurisdizione della Corte per ogni controversia che li riguarda. Il collegio è composto da 15 giudici, in rappresentanza di tutte le principali aree geografiche e culture giuridiche, che vengono eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le sentenze e le ordinanze emesse dalla CIG sono vincolanti per le parti in causa. È importante distinguere la CIG da un altro importante tribunale internazionale con sede all’Aja, la Corte penale internazionale, che esercita la propria giurisdizione nei confronti degli individui sospettati di avere compiuto crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione.

È proprio di fronte alla CIG che il 29 dicembre 2023 il Sudafrica ha citato in giudizio lo Stato di Israele per una serie di atti compiuti nel contesto delle operazioni militari condotte nella striscia di Gaza a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023: tali atti infatti sono contestati come potenziali violazioni della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Nella storia della CIG, ci sono state altre controversie tra Stati relativamente alla violazione della Convenzione sul genocidio. Due di questi casi sono ancora pendenti (Gambia c. Myanmar e Ucraina c. Russia) mentre, tra i casi meno recenti, il più importante è sicuramente quello che ha visto contrapposte la Bosnia-Erzegovina e la Serbia (all’epoca Serbia-Montenegro), nel quale la CIG nel 2007 ha condannato la Serbia per mancata prevenzione del genocidio di Srebrenica.

Nel ricorso il Sudafrica ha contestato a Israele una serie di atti che rientrano tra le condotte proibite dalla Convenzione del 1948. Nel ricorso vengono descritti, sulla base dei rapporti delle agenzie umanitarie dell’ONU e del Comitato internazionale della Croce Rossa, i numerosi attacchi che hanno causato un altissimo numero di civili palestinesi uccisi (oltre 20.000 persone in poco più di tre mesi, tra i quali moltissimi bambini), ci si sofferma inoltre sulle condizioni di vita in cui è costretta la popolazione civile di Gaza e che vengono descritte come volte a causare la distruzione dei palestinesi di Gaza come gruppo e che includono: espulsioni e sfollamenti di massa, distruzione su larga scala di case e aree residenziali; privazione dell’accesso a cibo e acqua adeguati e a cure mediche adeguate e altre ancora. Il Sudafrica ha sostenuto anche che le condotte contestate a Israele siano accompagnate da intento genocidario, come richiesto dalla Convenzione: la definizione del crimine di genocidio, oltre a elencare una serie di atti proibiti, richiede che siano stati commessi con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un determinato gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Per sostenere l’esistenza di questo intento (tecnicamente un’ipotesi di dolo specifico), il Sudafrica ha raccolto decine di dichiarazioni di organi di Stato, a cominciare dagli organi di vertice, fino ai militari israeliani sul campo, nelle quali si deumanizzano i palestinesi e si afferma di volerli annientare e di volerli eliminare da Gaza. Nel ricorso il Sudafrica ha richiamato la violazione di molte delle norme della Convenzione: si sostiene anzitutto che i comportamenti messi in atto dagli organi statali di Israele corrispondono a atti di genocidio, ma si contesta allo Stato anche la violazione dell’obbligo di prevenire atti di genocidio, la violazione delle norme che vietano la cospirazione per commettere genocidio, l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, il tentativo di compiere il genocidio, la complicità nel genocidio, si contesta altresì la mancata punizione degli individui implicati in questi crimini e gli ostacoli posti a indagini indipendenti e imparziali. Proprio alla luce di un quadro descritto come una vera e propria catastrofe umanitaria, il Sudafrica ha chiesto alla CIG di emettere un’ordinanza cautelare chiedendo una serie di misure che vanno dalla cessazione delle operazioni militari nella striscia di Gaza alla garanzia di forniture adeguate di aiuti umanitari.

Vista l’urgenza della situazione, la CIG ha convocato le parti per le udienze preliminari che si sono svolte nei giorni 11 e 12 gennaio. Durante le udienze il Sudafrica ha illustrato nel dettaglio quanto già contenuto nel ricorso. Israele ha risposto in prima battuta cercando di contestare la competenza della Corte sostenendo che non vi era alcuna disputa relativa alla Convenzione sul genocidio, per poi sostenere che le accuse di aver violato la Convenzione sono false e diffamatorie. Israele ha sostenuto che le proprie azioni sono conformi al diritto internazionale e mirano esclusivamente a difendere la propria popolazione dagli attacchi di Hamas.

La Corte ha accolto la richiesta di misure cautelari e ha reso l’ordinanza cautelare il 26 gennaio 2024, con una decisione di portata molto significativa. I giudici hanno affermato chiaramente che la Corte è competente a dirimere la controversia tra i due Stati relativamente alla possibile violazione della Convenzione sul genocidio e ha ritenuto che le presunte violazioni contestate a Israele dal Sudafrica siano plausibili e alla luce del rischio incombente di violazione della Convenzione, della gravità della situazione e dell’urgenza, ha ordinato una lunga serie di misure cautelari, accogliendo quasi tutte le richieste del Sudafrica. Assai significativo è il fatto la CIG abbia adottato la maggior parte delle misure cautelari con una maggioranza schiacciante di 15 a 2 (voto contrario del giudice israeliano e della giudice ugandese) e alcune di queste addirittura con maggioranza di 16 a 1 (contraria la giudice ugandese).

Tra le misure adottate dalla Corte non vi è la richiesta di cessazione delle operazioni militari, fatto su cui a mio avviso si è dato un’eccessiva importanza. Non è sorprendente che la Corte non abbia fatta propria tale richiesta, poiché la CIG è competente soltanto a dirimere la controversia relativa alla violazione della Convenzione sul genocidio tra i due Stati. Hamas invece è parte al conflitto, ma non parte di questa disputa giuridica e sarebbe stato difficile per i giudici giustificare una misura di cessazione delle operazioni militari diretta a una sola delle parti in conflitto. Ciò nonostante, leggendo tutte le misure che sono state ordinate, si capisce che la Corte traccia la strada nella direzione della sospensione delle operazioni militari: si tratta infatti di una lunga serie di misure che è praticamente impossibile attuare senza interrompere le operazioni militari. La CIG impone a Israele di adottare tutte le misure in suo potere per evitare il rischio di genocidio, gli impone anche di assicurarsi che le sue forze militari non stiano compiendo nessuno degli atti vietati dalla Convenzione, intima a Israele di prevenire gli atti di genocidio e di punire coloro che incitano al genocidio contro i palestinesi nella striscia di Gaza. I giudici inoltre impongono a Israele di adottare misure immediate ed efficaci per garantire la fornitura degli aiuti umanitari e per rispondere alla necessità primarie e sanitarie dei palestinesi nella striscia di Gaza e ordinano a Israele di impedire la distruzione delle prove di eventuali atti di genocidio e anzi lo obbligano a garantirne la conservazione. L’ordinanza infine obbliga Israele a presentare un rapporto su tutte le misure cautelari adottate entro un mese dalla data del 26 gennaio.

La decisione è di grande importanza perché si tratta della prima volta che Israele viene messo davanti all’obbligo di rispettare alcuni principi del diritto internazionale da parte del più importante e più autorevole organo giudiziario delle Nazioni Unite. Finora vi erano state risoluzione di condanna nei confronti di Israele adottate dal Consiglio di sicurezza (in tempi meno recenti) e dell’Assemblea generale, che sono però organi politici e non giudiziali. Si tratta inoltre di un caso molto importante poiché il ricorso per la violazione della Convenzione sul genocidio è stato presentato non dalla parte direttamente lesa, ma da uno Stato terzo rispetto a quanto sta avvenendo a Gaza. Questo è possibile perché la Convenzione sul genocidio contiene norme che tutelano valori fondamentali per la comunità internazionale (si parla di norme imperative, cogenti, che pongono obblighi c.d. erga omnes) e ogni sua violazione dà titolo a tutti gli Stati che hanno sottoscritto il trattato di lamentarne la violazione di fronte alla CIG (in base all’art. IX). Ogni Stato ha un interesse giuridico a che la Convenzione non sia violata, a che non si commetta un genocidio in nessuna parte del mondo e per di più ogni Stato che ha sottoscritto la Convenzione ha l’obbligo di prevenire atti di genocidio in qualsiasi contesto. In altre parole, ogni Stato membro della Convenzione sul genocidio, inclusa l’Italia, alla luce del rischio paventato dalla CIG e in virtù delle misure indicate, dovrebbe far pressione su Israele perché faccia tutto quanto in suo potere per evitare il genocidio dei palestinesi di Gaza. Se è vero che l’ordinanza è vincolante soltanto per le due parti della controversia, è vero anche che ogni sostegno dato dagli altri Stati a Israele, in particolare se questo non rispetterà le misure deliberate dalla Corte, potrà configurarsi come violazione dell’obbligo di mancata prevenzione del genocidio. Se poi il sostegno a Israele fosse particolarmente significativo, ad esempio attraverso la fornitura di armi, gli Stati terzi si esporrebbero anche a essere accusati di complicità in atti di genocidio. Queste sono le accuse che il Center for Constitutional Rights (storica organizzazione che opera in USA nel campo della tutela dei diritti umani, sin dagli anni ‘60 con il movimento statunitense per i diritti civili) ha mosso al presidente Biden di fronte a un tribunale della California contestando agli USA di aver violato i propri obblighi di prevenzione ed esponendosi al rischio di complicità con Israele in atti di genocidio.

Proprio perché l’ordinanza sulle misure cautelari manda un messaggio che non può essere ignorato anche a tutti gli Stati parte della Convenzione, appare particolarmente grave la notizia che 9 Stati, fra cui l’Italia, hanno tagliato i fondi a UNWRA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), agenzia dell’ONU che svolge un ruolo chiave nel garantire la distribuzione di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. La sospensione dei finanziamenti è dovuta alle accuse mosse da Israele che ha sostenuto di avere prove che mostrano che 12 funzionari di questa organizzazione (su uno staff di 13.000 persone) sarebbero coinvolti negli attacchi del 7 ottobre. Naturalmente si tratterebbe di responsabilità gravissime, se provate, tuttavia l’ONU ha già in via cautelativa interrotto il rapporto di lavoro con queste persone e avviato le indagini per verificare le loro responsabilità. Pare completamente sproporzionato sanzionare un’intera organizzazione per il presunto comportamento di pochi impiegati e pare ancor più ingiustificata l’interruzione del sostegno a un’agenzia che è cruciale per garantire l’assistenza umanitaria alla popolazione civile di Gaza dopo quanto ordinato nella decisione della Corte. Il Commissario generale di UNWRA ha dichiarato che non sarà possibile continuare a prestare assistenza alla popolazione civile a Gaza oltre la fine di febbraio se non verranno ripristinati i finanziamenti. Nel rendere più difficile la fornitura di aiuti umanitari, gli Stati che hanno tagliato i fondi a UNRWA dopo l’ordinanza della Corte, si espongono alla violazione del proprio obbligo di prevenire atti di genocidio. Al contrario, proprio in virtù degli obblighi che hanno assunto ratificando la Convenzione sul genocidio del 1948, gli Stati terzi dovrebbero smettere di fornire assistenza militare, economica e politica a Israele. Vi è di più, lo Statuto della CIG impone la notifica dell’ordinanza cautelare al Consiglio di sicurezza, che potrebbe invitare le parti a un cessate il fuoco. Se non fosse possibile adottare una risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza a causa del veto degli Stati Uniti, potrebbe intervenire l’Assemblea generale rafforzando le sue precedenti prese di posizione, prima di tutto chiedendo un cessate-il-fuoco immediato, facendo leva sulle misure ordinate dalla CIG.

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