Chi si aspettava di trovare nel Congresso dei Socialisti e Democratici Europei, svoltosi a Roma lo scorso sabato 2 marzo, una risposta alle proposte belliciste lanciate dalla Presidente della Commissione europea a corredo della campagna elettorale per la sua rielezione, è rimasto parecchio deluso.
Le guerre non sono state al cuore di questo congresso, il quale, in generale, ha parlato d’altro. Tuttavia, essendo il problema difficilmente aggirabile, quello che è stato detto può essere riassunto in tre categorie: il silenzio; armiamoci e partite; entriamo in guerra.
Il silenzio: quello più significativo, al limite dello stupefacente, è stato del primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e del suo collega portoghese Antonio Costa. Entrambi sembravano venire da un altro pianeta. Non una parola sulla guerra, vagheggiando un programma sociale europeo senza precedenti da affidare al candidato Nicholas Smith, padre della direttiva sul salario minimo. Non che le proposte fossero sbagliate, a partire dal lavoro sicuro e ben remunerato fino alla istituzione di una “garanzia per l’infanzia”, tuttavia impossibili da realizzare in un contesto che vede come prioritario il riarmo. Sánchez, con tutta evidenza, ha scelto il silenzio sulle guerre evitando di mostrare in congresso diversità di accenti nel campo socialista.
Armiamoci e partite: “la guerra finirà quando Putin ritirerà le sue truppe, non si può vincere con le parole”. Questa la posizione maggioritaria del congresso, espressa dalla leader socialdemocratica danese Mette Frederiksen. Essa comporta il sostegno incondizionato e illimitato all’Ucraina fino alla vittoria sul campo. A questa linea si sono aggiunte le precisazioni di Elly Schlein e del cancelliere Scholz, i quali hanno tenuto a sottolineare la posizione che esclude l’invio di truppe a sostegno dell’Ucraina.
Entriamo in guerra: anche nel congresso dei socialisti la voce della Francia si fa sentire con una posizione più radicale, con l’intervento del deputato socialista Raphael Glucksmann che invoca per l’Europa “il passaggio immediato a un’economia di guerra”.
Molto meno presente nel congresso è stata la drammatica situazione di Gaza rispetto alla quale poche parole sono state spese, pur nella critica al governo Netanyahu.
In sostanza, non aver mai pronunciato la parola pace e non aver mai fatto riferimento a negoziati al fine di interrompere le carneficine in atto, porta l’UE, socialisti compresi, a dover affrontare le estreme conseguenze di questa posizione che inevitabilmente rischia di condurre allo scenario delineato dal presidente Macron, stante anche l’andamento della guerra che vede l’Ucraina in estrema difficoltà soprattutto per la tenuta del suo esercito. D’altra parte, le proposte di riarmo avanzate dalla Presidente della Commissione partivano proprio dal presupposto da lei enunciato di fronte al Parlamento europeo e cioè : “la guerra non è impossibile”.
La guerra non è impossibile e l’UE non sta facendo nulla per evitarla ingaggiando con il presidente Putin una sfida che aumenta il livello di provocazione reciproca: Mosca minaccia l’uso di una tipologia di armi nucleari “depotenziate” cui von der Leyen risponde con l’idea di utilizzare i beni confiscati alla Russia per ricostruire l’Ucraina; proposta quest’ultima dalle dubbie basi legali.
Tutte le proposte enunciate dalla Presidente della Commissione sono contenute tal quali nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 29 febbraio, compresa l’idea dell’utilizzo dei beni russi confiscati e con un dettagliato repertorio di sistemi d’arma da fornire a Kiev compresi i missili Taurus a lunga gittata che la Germania esita a fornire. Risoluzione approvata a larghissima maggioranza (451 a favore, 46 contrari, 49 astenuti) con il consenso quasi totale dei socialisti europei (solo 5 contrari).
Non è la guerra a dividere i socialisti da von der Leyen, quello che questi ultimi hanno posto come linea rossa alla Presidente nella prospettiva di una sua rielezione è che il loro sostegno non è scontato se il Partito Popolare Europeo dovesse aprire ad una alleanza con le destre come già avvenuto in alcuni governi di Paesi europei tra cui l’Italia.
Questa sembra essere l’ossessione dei socialisti cui non sempre ha fatto seguito una politica che sfidasse “sul campo” le destre prospettando alternative sui temi del loro maggior consenso, a cominciare dalle politiche sull’immigrazione e l’asilo, per continuare con la privatizzazione e mercificazione di servizi alla base dello Stato sociale quali sanità e istruzione.
Il senso del congresso è stata la designazione del candidato alla presidenza della Commissione nella persona di Nicholas Smith, lussemburghese, attuale commissario alle Politiche sociali, e la costruzione attorno alla sua candidatura di una serie di proposte al fine di mettere al centro delle politiche europee le questioni sociali, i diritti, l’ambiente.
In particolare, l’intervento di Sánchez ha ricordato che l’approccio “socialdemocratico” ha salvato l’UE dalla pandemia con l’acquisto comune dei vaccini e con il programma SURE, il tutto garantito dal debito comune. Analogo approccio può garantire oggi e in futuro lo sviluppo di un pilastro sociale europeo. I socialisti europei riscoprono, in controtendenza con l’approccio blairiano , la loro vocazione sociale. Non contestano, tuttavia, chi vorrebbe utilizzare il debito comune esclusivamente per il riarmo, vanificando così, ogni altra prospettiva, ma di questo, i socialisti europei, vogliono parlare il meno possibile.
Di conseguenza, nessuna riflessione sul fatto che l’Europa sta pagando con un progressivo isolamento la scellerata scelta di campo che contrappone l’Occidente al resto del mondo. Il suo ruolo avrebbe potuto essere ben diverso sia a est che in Medio Oriente, se avesse tenuto una posizione aperta alla mediazione e avesse affidato la sua stessa sicurezza alla capacità di relazioni che pure aveva tentato di costruire in un ruolo diverso e autonomo dalla potenza egemone, che oggi non sembra in grado di mantenere alcun equilibrio se non quello derivante dall’ennesimo ricorso alla guerra. Evidente isolamento europeo nella terribile guerra di Gaza, dove il tentativo di accordo tra le varie fazioni palestinesi lo sta svolgendo la Russia quando in passato era stata proprio l’UE il loro riferimento principale. Per non parlare della Libia e dell’intero Medio Oriente, dove la destabilizzazione seguita alle guerre ha aperto la strada a ben altri interlocutori. Mancano tre mesi alle elezioni europee ed è sconfortante notare che in questa temperie, i partiti, in particolare quelli italiani, adoperino questa scadenza quasi esclusivamente per misurare i rapporti di forza tra loro. A ricordare che fuori esiste un mondo che giudica e lotta è stata la delegazione di “Differenza donna” che manifestava al congresso del PSE contro la pessima modifica, approvata il 6 febbraio scorso, alla direttiva sulla violenza di genere, con il consenso dei socialisti europei. Con le associazioni di donne che hanno raccolto centomila firme contro questo provvedimento, l’appuntamento è a Bruxelles.
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