Interventi

Ginevra, 27 Gennaio 2021. Nel settimo anniversario della liberazione di Kobane, le notizie che arrivano dai miei compagni in Rojava sono drammatiche. Nonostante la pioggia batta incessante da ore contro la mia finestra, con la mente torno a una torrida giornata nell’agosto del 2019, in Siria, dove lo scricchiolio dell’erba secca sotto ai miei piedi era l’unico suono a spezzare il silenzio del pomeriggio.

Vista del confine dal lato siriano. La sagoma delle montagne del Kurdistan iracheno si staglia all’orizzonte. Semalka, Rojava, Gennaio 2019.

Azad e io camminiamo con calma, cercando di tenerci quanto più possibile all’ombra ed evitare il contatto feroce del sole sulla pelle. Le vie del quartiere cristiano di Tal Tamer sono deserte, le saracinesche dei negozi abbassate. Al centro di una rotatoria, la sagoma arrugginita di una stella cometa in metallo, ricordo di un Natale ormai lontano, accentua l’impressione che il tempo qui si sia fermato. Dietro all’apparente tranquillità che regna in queste strade, si cela una profonda malinconia, un’eco di persone in fuga e boati di artiglieria.

Un motociclista solitario si aggira per le strade del quartiere cristiano, ormai quasi completamente abbandonato. Tal Tamer, Maggio 2019.

Mentre mi mostra i piccoli crateri lasciati sull’asfalto dai mortai, Azad mi spiega che la maggior parte delle famiglie assiro-cristiane hanno abbandonato il paese tra il 2012 e il 2014, terrorizzate dall’avvicinarsi del Free Syrian Army (FSA) prima, e dell’ISIS poi.

Quando raggiungiamo il centro del paese, l’atmosfera è decisamente diversa: Tal Tamer è una cittadina di campagna come tante altre nel Nordest della Siria, dove la vita scorre lenta tra marciapiedi polverosi, semplici case squadrate, continuo andirivieni di giovani in moto e risate di bambini che attraversano le strade correndo. Ogni domenica mattina si possono comprare pecore e capre al mercato del bestiame, in uno spiazzo al limite del centro abitato. Grandi bandiere del YPG e YPJ sventolano nella rotatoria principale, appena superato il checkpoint militare all’ingresso del paese. I volti dei martiri sorridono distanti dalle foto appese ai lampioni, ai muri e nei negozi: donne e uomini immortalati a mezzo busto, molti nel pieno di un’eterna giovinezza.

Un gruppo di gentiluomini discute il prezzo della carne con un macellaio. Tal Tamer, Agosto 2019.

Eppure questo piccolo centro rurale si è ritrovato più volte sul fronte di una guerra brutale, minacciato da forze esterne alle quali è incredibilmente riuscito sempre a resistere.

Nel 2014, l’area intorno al paese fu conquistata dall’ISIS, e Tal Tamer fu tenuta sotto assalto per quasi un anno, solo un ponte a mantenere la distanza tra i suoi abitanti e i miliziani. Azad mi racconta di come i civili fossero stati costretti ad appendere grossi teli di plastica lungo le strade, per potersi spostare senza finire vittime dei cecchini dell’ISIS; di come suo fratello si fosse ritrovato con una manipolo di uomini a resistere per giorni a un assalto alla collina dalla quale Tal Tamer prende il nome e sulla quale erano stati circondati dai terroristi islamici, finché i rinforzi del YPG erano giunti in soccorso; di come i cadaveri galleggiassero nelle acque grigie del fiume Khabur.

Due barche si incrociano mentre attraversano il Tigri in direzioni opposte. Confine Iraq/Siria, Marzo 2018.

In un giorno di dicembre del 2015, tre autobombe furono fatte esplodere in tre punti diversi di Tal Tamer, colpendo l’ospedale, il mercato e una base del YPG: 60 persone, di cui molti bambini, rimasero uccisi. Un trauma collettivo difficile da dimenticare per una cittadina di campagna abitata da poche migliaia di persone. I segni di quel massacro sono ancora ben visibili sulle facciate delle abitazioni distrutte e dai crateri lasciati nell’asfalto.

Il paese ha poi conosciuto qualche anno di relativa tranquillità, concedendo agli abitanti di Tal Tamer una tregua necessaria per poter curare le proprie ferite e riorganizzarsi: nuove attività commerciali sono state aperte (tra cui una gelateria artigianale e un ristorante sulla riva del fiume), l’ospedale è tornato in funzione, sono nati una casa per le donne e un centro sociale, dove i giovani possono incontrarsi e imparare a suonare il tembûr sulle note malinconiche dei canti della Resistenza.

Una tazza di çay, il dolcissimo tè curdo. Tal Tamer, Novembre 2018.

La sconfitta militare dell’ISIS nel 2018 ha comportato un repentino disinteresse da parte dei media internazionali per il Rojava, che tanto si erano lasciati trasportare nell’elogio delle coraggiose combattenti del YPJ, trasformando l’esperienza concreta e sofferta della Rivoluzione curda in uno show ad uso e consumo dell’Occidente.

I soldati del YPG si rilassano al termine della cerimonia. Tal Tamer, Maggio 2019.

Un silenzio assordante durato fino al 9 ottobre 2019 quando, immediatamente dopo il tradimento di Donald Trump e degli Stati Uniti a danno dei curdi, il presidente della Turchia Erdogan, ormai libero dalla barriera delle forze americane, annuncia il lancio dell’operazione “Sorgente di pace”. Nonostante un nome così evocativo, si è trattato di un’ulteriore invasione militare nel Nord della Siria (dopo l’occupazione di Afrin nel 2018) cominciata con il bombardamento delle città di Serekaniye, Tel Abyad (Gire Spi) e Qamishlo, sul confine turco-siriano, e continuata con l’attacco via terra da parte di bande di mercenari islamici al soldo della Turchia. Molti di questi miliziani, che oggi indossano distintivi con la bandiera turca sulla divisa, sono ex membri dell’ISIS. Cambiano i padroni, ma non il desiderio liberticida di distruggere un modello di società inclusivo per sostituirlo con una dittatura teocratica.

I familiari dei caduti reggono le foto dei loro cari durante la celebrazione per il giorno dei martiri. Tal Tamer, 18 Maggio 2019.

Le foto e i video che ricevevo dal Rojava in quei giorni terribili raccontavano una Tal Tamer completamente trasformata: il silenzio della campagna squarciato dal rumore dell’artiglieria, la limpida aria autunnale soffocata dal denso fumo nero dei copertoni bruciati per impedire ai droni turchi di individuare i civili in fuga.

Veduta della spianata desertica alla periferia della città. Ain Issa, Aprile 2019.

Oggi, più di un anno dopo, il Rojava è ancora sotto attacco da parte della minaccia congiunta del fascismo turco e del terrorismo islamico. Ad Ain Issa e Tal Tamer risuonano da settimane le esplosioni dei mortai turchi: entrambe le cittadine sono situate lungo la M4, una strada che si stende dritta da Aleppo fino a Mosul, e quindi di grande importanza strategica.

La fedele pistola Browning di Nishtman, sempre al suo fianco. Tal Tamer, Marzo 2019.

L’obiettivo della Turchia è chiaro: appropriarsi di quanto più territorio possibile in aggiunta a quello già occupato in seguito all’invasione dell’ottobre 2019, approfittando della confusa situazione di politica interna americana e della complicità della Russia, che in Rojava ha sostituito gli Stati Uniti come forza di interposizione tra la Turchia e le Forze Democratiche Siriane (SDF) guidate da YPG e YPJ. In realtà i militari russi, in nome di accordi politici ed economici stretti con il governo di Erdogan, assistono impassibili ai continui attacchi ai danni dei civili da parte delle bande di miliziani sostenute dai turchi.

Così, mentre la lotta di un intero popolo viene mercificata dagli americani per farne una serie tv da dare in pasto a spettatori annoiati in quarantena, il Rojava continua a sanguinare.

La cittadina di Tal Tamer vista da un drone. Agosto 2019.

Le fotografie sono tratte da “Across the Tigris”, libro fotografico nato come conseguenza naturale ai due anni vissuti dall’autore proprio in quell’area nel Nordest della Siria a cui si accede attraversando il fiume Tigri dall’Iraq.

Il libro autoprodotto è disponibile sia in italiano che in inglese sul sito www.acrossthetigris.com, dal quale si può anche accedere a una playlist di musica curda.

Un commento a “Il sogno dimenticato del Rojava”

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