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L’intelligenza artificiale di nuova generazione basata sui dati attinge a due aspetti distinti della rivoluzione informatica. Il primo elemento riguarda l’automazione delle procedure di presa di decisione per la risoluzione dei problemi. Il secondo elemento attiene alla possibilità di rappresentare tutti i fenomeni, compresi quelli delle relazioni sociali umane, nella forma di dati in formato digitale, passibili di classificazione e misurazione. Tale convergenza tra i due elementi non è sempre esistita nell’informatica. In un primo momento, infatti, l’idea delle procedure automatiche per la soluzione dei problemi complessi non si nutriva di grandi quantità di dati, ma si proponeva un approccio top-down ai problemi da risolvere.

La diffusione degli strumenti digitali nelle mani dei loro utenti e una conseguente tracciabilità dei loro comportamenti ha permesso di costruire una scia di dati che rappresenta l’impronta digitale delle persone. Il combinato disposto di algoritmi per la decisione automatica e della possibilità di una rappresentazione digitale dei fenomeni sociali ha consentito il decollo dell’intelligenza artificiale data-driven e la possibilità che gli algoritmi di machine learning si addestrassero non tanto sulle regole generali, che pure gli vengono impartite, quanto sulla disponibilità di una grandissima quantità di informazioni, accessibili in forma direttamente analizzabile dagli algoritmi stessi.
Tale disponibilità di dati ci ha spinto a pensare che la rappresentazione digitale dei fenomeni esaurisse la possibilità di interpretarli, classificarli, comprenderli. Si tratta di un equivoco molto banale che dipende dall’applicazione, talvolta inavvertita, di metodi di misurazione matematica alle investigazioni sulle attività umane e sociali, che storicamente avevano resistito a una trattazione quantitativa basata su criteri di misurazione improntati alla statistica.

Il collasso tra metodi matematici e discipline umane e sociali è una grande opportunità, perché consente di abbandonare gli inutili steccati tra discipline scientifiche “forti” e umanistiche considerate “deboli”, ma si può realizzare solo a condizione di padroneggiare una consapevolezza epistemologica a proposito dell’uso di questi strumenti per rappresentare, astrarre e decidere in contesti radicalmente contingenti e incerti come sono quelli relativi alle discipline umane e sociali.
Il rischio è universalizzare un metodo di comprensione di questi fenomeni, considerandolo una rappresentazione univoca, un’interpretazione rigida dei contesti a cui si applica, perdendone la ricchezza, la molteplicità, la dinamicità, la variabilità e consentendo di naturalizzare meccanismi di rappresentazione stereotipici o, addirittura, discriminatori.
Il pericolo è abbandonare la capacità tipicamente umana di adattarsi ai cambiamenti delle circostanze, una delle caratteristiche più vitali dell’intelligenza umana: interagire con un ambiente mutevole e instabile, attivando le risorse della resilienza e della creatività.

Teresa NUMERICO è professoressa associata di Logica e filosofia della scienza all’Università di Roma Tre. Si occupa di filosofia della tecnologia, politica dell’intelligenza artificiale, nuova epistemologia delle scienze umane e sociali a contatto con la trasformazione digitale. Ha pubblicato articoli su diverse riviste internazionali. Tra i suoi libri: Alan Turing e l’intelligenza delle macchine (FrancoAngeli, 2005), Web Dragons (con M. Gori e I. Witten; Morgan Kaufmann, 2007), L’umanista digitale (con D. Fiormonte e F. Tomasi; Il Mulino, 2010; trad. ingl. rivista, The digital humanist; Punctum Books, 2016) e Big Data e Algoritmi (Carocci, 2021).

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