La pandemia da Covid19 è una zoonosi sostenuta da un virus animale, che ha infettato l’uomo perché ha trovato nella nostra specie le condizioni ideali per una sua propagazione epidemica. Eventi di “salto di specie” sono rari, in virtù delle barriere genetiche che vincolano il rapporto patogeno-ospite specifico, ma anche di barriere ecologiche che confinano in nicchie circoscritte i processi infettivi e selezionano le possibilità di contatti tra specie differenti. Essi diventano, però, più frequenti con il crescere delle interferenze esercitate sugli ecosistemi naturali e della circolazione di persone e merci. Rafforzare prevenzione e vigilanza sanitaria è quindi necessario, ma non sufficiente. Perché così si agisce solo sulla seconda linea di difesa, non sul fronte da cui partono attacchi e minacce a salute e benessere. Non possiamo più permetterci di ragionare di prevenzione e salute attestandoci ai confini della disciplina medica e dei silos delle sue specialità. L’approccio deve essere radicalmente diverso e dovrà includere e integrare salute umana e stato dell’ambiente. A ciò fa riferimento il paradigma One Health, oggi utilizzato dagli infettivologi ma suscettibile di una estensione anche alle patologie non trasmissibili, per le quali si riconoscono determinanti di tipo ambientale e comportamentale.
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