Ci sono coincidenze che hanno il sapore del kairòs. Di suo la morte di Francesco non c’entra niente con il 25 aprile, non fosse che ci hanno pensato i nostri governanti a stabilire un nesso fra le due cose, usando il primo evento per silenziare il secondo. Chiedono “sobrietà”: rispondiamo alzando il senso e l’allegria della festa della liberazione.

Per me l’icona della festa della lIberazione è Anita, la protagonista di Novecento di Bertolucci, che monta su un covone, vede i fascisti “che “scappano come conigli”, si gira e guarda avanti. Guardare avanti, ecco, ai prossimi 80 anni, non solo indietro, agli 80 anni passati. Non omaggiare la libertà dal fascismo riconquistata 80 anni fa, ma rilanciare la liberazione dal fascismo ovunque e con qualunque maschera si ripresenti. Non compiacersi della democrazia istituita nel ’45, ma riarmarsi (sì, in questo caso) di parole e di pratiche per combattere le sue deformazioni e degenerazioni. Non abboccare all’esca della “memoria condivisa” ma rivendicare le ragioni per cui la nostra resta una memoria divisa, attraversata da una linea di conflitto generativa di libertà per tutte/i. Non implorare dichiarazioni di antifascismo da chi non può rilasciarne e si rifugia nell’equiparazione fra fascismo e comunismo, ma ricordare che senza i comunisti i fascisti sarebbero ancora fra noi. Non aspettare che il fascismo ritorni, perché nella sua forma storica non tornerà, ma riconoscere i segnali che ci dicono dove è già tornato: nelle deportazioni di popoli e di singoli, nella militarizzazione violenta del discorso pubblico, nella riduzione della democrazia a dittatura della maggioranza e a totalitarismo dell’opinione conforme, nella retorica maschia e virile della guerra come risorsa dell’identità nazionale. Ce n’è abbastanza per rilanciare il senso della liberazione, perché la libertà, ce l’ha insegnato Hannah Arendt, non è mai conquistata una volta per tutte e periodicamente va rimessa al mondo.

Con o senza l’etichetta dell’antifascismo, Francesco questo la sapeva bene, e lo ha testimoniato con la sua vita, con il suo magistero, con la sua pratica militante del messaggio di rottura del Vangelo. Papa partigiano, sì, perché di parte, come di parte è il messaggio di Cristo che va anch’esso periodicamente liberato dalle sue ingessature istituzionali. Festeggiamo oggi la liberazione dal fascismo, vigiliamo domani perché l’ultimo saluto a Francesco non si trasformi, come vogliono i potenti della terra, nell’ingessatura museificata della sua eredità disobbediente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *