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Articolo pubblicato su “il manifesto” il 26.09.2022.

«In Brasile Gesù ha il suo popolo e qui ci sono i suoi soldati» grida alla folla il televangelista Silas Malafaia, mentre invita a salire sul palco il presidente uscente di estrema destra Jair Bolsonaro, in campagna elettorale in vista delle elezioni del prossimo 2 ottobre. Con lui, nella mega chiesa neopentecostale di Penha, periferia di Rio de Janeiro, anche il Governatore dello Stato, Claudio Castro, e il Senatore ed ex calciatore Romario, entrambi bolsonaristi in cerca di rielezione.

Infatti, oltre al presidente, il Brasile eleggerà i membri del Congresso federale, Governatori e parlamentari degli Stati. E Rio è un territorio chiave: terzo Stato per numero di elettori, da solo vale il 10% del Pil del paese, riflette il bipolarismo del voto nazionale, tra Bolsonaro e l’ex presidente leader del Partido dos Trabalhadores (Pt), Lula. A Castro, la sinistra contrappone Marcelo Freixo, deputato e professore di storia che può aiutare Lula a vincere al primo turno.

Rio de Janeiro è uno «Stato fondamentale per la tragedia brasiliana» scrive l’intellettuale carioca Luiz Eduardo Soares. Da Rio infatti viene Eduardo Cunha, uno dei registi del golpe parlamentare del 2016 contro la presidente Pt Dilma Roussef. E a Rio ha stabilito il proprio feudo la famiglia Bolsonaro. Jair vi è stato eletto ininterrottamente deputato federale dal 1990, sempre con circa 100 mila voti. Poi nel 2014 ne ottiene quasi mezzo milione. Sorpresa? No. È grazie all’alleanza siglata con i neopentecostali che l’ex capitano dell’esercito smette di essere semplicemente il rappresentante dei militari e diventa un paladino del conservatorismo evangelico.

Rio infatti è uno dei terreni di avanzata dei neopentecostali, che crescono tra le classi popolari, soprattutto tra giovani, afrodiscendenti, con bassi livelli di istruzione, residenti nelle periferie delle metropoli brasiliane. Questa avanzata ha portato, nel 2014, ad eleggere sindaco di Rio Marcelo Crivela, vescovo della Chiesa Universale Regno di Dio. A sfidarlo era stato proprio Freixo che, nonostante una campagna elettorale «appassionante, strada per strada», ricorda Martina, cooperante italiana da anni a Rio, aveva vinto solo nei municipi del centro della cidade maravilhosa. Oggi Freixo ci riprova, forte anche della credibilità costruita quando nel 2007, da consigliere comunale, presiedette la commissione d’inchiesta sulle milizie e il suo lavoro portò all’arresto di oltre duecento criminali.

Quello delle milizie è un fenomeno nato all’inizio degli anni 2000, quando militari e poliziotti organizzarono gruppi di vigilanza privata nei propri quartieri. Rapidamente, l’iniziativa si trasformò in richieste di pizzo per accedere alla tv via cavo, internet o comprare bombole di gas. Infine, il controllo del territorio divenne controllo elettorale, con l’elezione di propri rappresentanti. Nel film Tropa de Elite 2, uno dei protagonisti interpreta la figura del politico antimilizie Freixo. Benché la pellicola sia del 2010, la storia non è cambiata. Pochi giorni fa infatti è stato arrestato l’uomo di Castro a capo della polizia della città, Allan Turnowski, per le relazioni con il crimine organizzato.

Dal 2006 a oggi, il controllo del territorio delle milizie, che si contendono la regione metropolitana di Rio con gruppi mafiosi come il Comando Vermelho, è cresciuto del 387%. Insieme ne controllano il 20%, secondo i dati del Novo Mapa dos Grupos Armados dell’Università Federal Fluminense. C’è di più, lo studio dimostra che gli interventi da far west delle forze armate nelle zone popolari per cacciare i narcotrafficanti, si sono risolti con la sostituzione dei narcos con la milizia, soprattutto nella Baixada Fluminense di Rio, «l’alter ego della cidade maravilhosa, l’abisso che l’élite carioca vuole nascondere» afferma Soares.

«Ci sono milizie buone e cattive. Nel mio quartiere, ad esempio, ci vivono molti poliziotti, non chiedono il pizzo e se trovano uno che ruba, gli sparano» racconta Yuri, autista Uber che lavora 12 ore al giorno e guadagna poco più di un salario minimo.

La vittima più famosa delle milizie è probabilmente Marielle Franco, «vittima sacrificale del potere selvaggio del Brasile» scrive Soares. Franco era consigliere comunale, afro e attivista Lgbt. Benché siano stati arrestati due poliziotti legati alle milizie come esecutori materiali, «ancora oggi, non sappiamo chi ha ordinato l’omicidio di Marielle» denuncia Freixo. Intanto, tre donne, afro e attiviste per i diritti umani, hanno deciso di portare avanti il lavoro di Franco candidandosi alle elezioni.

«Freixo non può vincere, è un estremista», afferma sicuro Luis, fotografo, elettore di Jair Bolsonaro «dal 2014, quando era un semplice deputato. E credo che vincerà anche stavolta, i sondaggi mentono».

Per smussare le critiche di estremismo, Freixo ha indicato come suo vice il moderato Cesar Maia, parte di una famiglia politica storica di Rio. La figlia, Dani, è candidata alla Camera federale, in ticket con Claudio Caiado come Deputato statale, il cui fratello è presidente del Consiglio comunale. Per le élite di Rio, la politica è un affare di famiglia. Basti pensare ai Bolsonaro, due figli dell’attuale presidente sono eletti a Rio: Flavio è Senatore dello Stato, mentre Carlos detto il “pitbull”, tatuaggio del volto del padre sul braccio destro, è Consigliere comunale.

«Rio è uno stato giovane, era la capitale del Brasile fino al 1960, lo Stato come lo conosciamo oggi esiste solo dal 1975» spiega Riccardo Zortea, direttore del dipartimento di Economia Política Internacional della Universidade Federal do Rio de Janeiro, «la città ha ancora una dimensione da capitale, con la sede della Petrobras, la compagnia petrolifera nazionale, e sedi importanti delle forze armate. Rio guarda a Brasilia, non ai paesi dell’interno dello Stato. Non c’è una capacità di governo e i servizi sono inefficienti. Bolsonaro lo sa bene e col suo discorso accarezza il malcontento popolare. E poi ha il sostegno delle milizie. Inoltre, qui il Pt non è egemonico come in altri Stati e ciò aumenta la frammentazione della sinistra».

«Rio non è per principianti. Qui c’è deindustrializzazione, lavoro nero, occupazioni della terra controllate da poteri locali dispotici, fondamentalismo religioso e violenza – afferma Soares -, a questo si contrappongono segnali di vita promettenti: reti di solidarietà sorte durante la pandemia, una società civile attiva nelle lotte per la democrazia, antirazzista e femminista».

Questa è la Rio che andrà alle urne domenica prossima, in un’elezione che non è solo una scelta di rappresentanti, ma anche di un modello di società. Esattamente la stessa scelta che si pone a tutto il Brasile.

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