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La città delle donne

Pubblicato il 1 Dicembre 2022
Ambiente, Femminismo, Materiali, Scritti, Temi, Materiali

Introduzione

Le città e metropoli contemporanee, capitaliste, consumistiche, globalizzate, rendono manifesto che i limiti fisici non sono di ostacolo al loro sviluppo – al contrario, e purtroppo, il loro superamento rappresenta spesso, per la progettazione urbana, una sfida che attribuisce valore all’appropriazione di suolo e di spazi naturali. Diffusione/dispersione urbana e consumo di suolo producono una progressiva cancellazione della linea di confine, una volta chiara, tra città, campagna, altri centri abitati, borghi minori e natura. Un modello iconico ben rappresentato dagli affreschi di Guidoriccio da Fogliano, attribuito a Simone Martini, e da quelli dell’Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, del Palazzo Pubblico di Siena, nei quali il limite tra città e campagna è netto e rappresenta un: «elemento ordinatore di una visione generale del mondo, il cui significato era «naturalmente» al tempo stesso etico, economico, politico e giuridico»1.

Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano, 1330, affresco, 340 x 968 cm. Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo.

Da tempo, limitazione del consumo di suolo e rigenerazione urbana sono al centro di un ampio dibattito tra giuristi, specialisti, tecnici e anche all’interno dell’opinione pubblica. Nel corso degli ultimi decenni, l’attenzione si è spostata in particolare sulle questioni ambientali, determinando un ripensamento degli obiettivi e delle tecniche della pianificazione urbanistica al fine di promuovere crescita e sviluppo evitando il consumo delle risorse non rinnovabili e rispettando i tempi di riproducibilità di quelle inesauribili, passando da una pianificazione urbanistica a una pianificazione urbanistica/territoriale/ambientale. L’integrazione della tematica ambientale come indispensabile strumento di governo non può prescindere dal disporre di un quadro conoscitivo quanto più completo possibile del territorio da pianificare.

Altro aspetto dei cambiamenti in corso nella pianificazione dei territori riguarda gli studi avviati dall’urbanistica di genere; una disciplina che da circa trent’anni si propone di pianificare le città includendo le differenze di bisogni e necessità tra i generi, basata sull’analisi attenta dei flussi e delle richieste implicite nei luoghi, che permette di riscontrare come le città, in quanto pensate come paesaggi destinati a essere abitati e attraversati da corpi maschili, adulti, benestanti, residenti, siano la rappresentazione in “vetro e cemento” delle disparità tra i generi che caratterizzano la nostra società2. Questa storica centralità dell’uomo nella pianificazione ha contribuito alla mancanza di resilienza delle città e alla fragilità del tessuto urbano spesso monofunzionale, che si dimostra non essere in grado di rispondere alle sfide del cambiamento climatico. I risultati delle esperienze di città/quartieri urbani (per ora non molte) progettati con uno sguardo di genere, hanno realizzato luoghi più “attraversabili” e promosso i “cosiddetti usi misti”, che si contrappongono alla specializzazione e alla zonizzazione, tra le principali manifestazioni della città “maschile”: divisioni tra casa e lavoro meno rigide, perché sia il lavoro domestico che l’assistenza ai bambini, agli anziani e ai disabili, acquistano pari dignità rispetto ad altre attività che oggi vengono considerate prioritarie nell’organizzazione degli spazi urbani3.

Tutto ciò, anche, nel quadro di una più generale attenzione alla dimensione di genere delle politiche pubbliche, compresi i loro presuppostifinanziari (cfr. scheda seguente).


Scheda A – Il bilancio di genere

I precedenti

Nel 1994 la Carta europea per le donne nelle città riconosce che «tutte le donne hanno diritto a un alloggio e a un habitat appropriato» e che «in particolare quelle più sfavorite e isolate, devono disporre di tutte le facilità di accesso ai trasporti per potersi muovere liberamente e in piena sicurezza, per godere pienamente della vita economica, sociale e culturale della città». Qui, per la prima volta, la prospettiva di genere viene proposta anche nel processo di bilancio (gender budgeting) come sfida al modo tradizionale di fare politica di bilancio.

A conclusione della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, tenuta a Pechino nel 1995, i 189 governi partecipanti si impegnano a «promuovere l’indipendenza economica delle donne […] per mezzo di cambiamenti nelle strutture economiche» e a «ristrutturare e ridefinire la spesa pubblica per promuovere le opportunità economiche delle donne e il loro accesso alle risorse produttive».

L’ingresso nella normativa

Nel 1999 il bilancio di genere viene adottato dalla Commissione Europea come strumento dell’orientamento di genere delle politiche pubbliche (gender mainstreaming), codificato nel Trattato di Amsterdam del 1997 (artt. 2 e 3). Un più preciso invito alla Commissione e ai paesi membri a sviluppare modelli di bilancio di genere viene riproposto dal Parlamento Europeo nel 2003. Successivamente, nel 2006, al fine di promuovere l’uguaglianza di genere a livello locale e regionale, il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa (CCRE) lancia la Carta europea per la parità e l’uguaglianza di donne e uomini nella vita locale: un documento politico e uno strumento pratico che sollecita gli enti locali e regionali a impegnarsi pubblicamente per l’uguaglianza e ad attuare i principi elencati nel documento. La carta propone metodi concreti mediante i quali l’uguaglianza può essere perseguita in diversi campi: partecipazione politica, occupazione, servizi pubblici e pianificazione urbana.

Il concept

È importante conoscere le dinamiche che concorrono alla pianificazione del bilancio pubblico perché le scelte di bilancio tendono a perpetuare le differenze di genere; il bilancio, infatti, influenza non solo la distribuzione delle risorse finanziarie e materiali, ma anche di quelle immateriali: se aumentano gli stanziamenti a favore dell’infanzia, con più asili nido, più scuole, più attività educative, sarà più facile conciliare responsabilità lavorative e responsabilità familiari. Realizzare politiche di genere attraverso il bilancio pubblico vuol quindi dire realizzare una più equa distribuzione delle risorse materiali e immateriali per garantire a uomini e donne un uguale accesso ai diversi ambiti economici, politici e sociali.

L’esperienza italiana

Nel nostro paese il bilancio di genere è stato introdotto per la prima volta con il Decreto Legislativo n. 150/2009, ma i risultati finora ottenuti sono molto al di sotto delle attese, sia in termini di analisi che di ricadute. Analogamente è accaduto con le esperienze locali, che pur producendo documenti importanti anche dal punto di vista metodologico, hanno fatto emergere realtà territoriali frammentarie e discontinue.

Lo scorso 21 aprile è stato presentato alla Camera il Disegno di Legge 3568, recante “disposizioni in materia di redazione del bilancio di genere da parte delle regioni e degli enti locali”, che, all’esito di una prima fase sperimentale, introduce l’obbligo per gli enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti di redigere il bilancio di genere. Si è scelto dunque di rendere strutturale il bilancio di genere, prevedendo che la legge di bilancio 2024 presenti una classificazione delle voci previste secondo i criteri posti alla base degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’Agenda 2030.

In particolare è richiesta una valutazione dell’impatto di genere in tutte le fasi (programmazione, attuazione, monitoraggio, valutazione ex post), per superare politiche di genere frammentate e occasionali, che identificano le donne come ‘categoria svantaggiata’, mentre rappresentano più della metà della popolazione. In questo ambito, riclassificando le spese del bilancio statale, il bilancio di genere opera come strumento complesso, volto, da un lato, a individuare le risorse stanziate ed erogate in favore delle pari opportunità (dentro e fuori l’amministrazione) e, dall’altro, a verificare l’impatto di tutti gli interventi su uomini e donne.


Una strategia urbana femminista/ambientalista

Eva Kail, specializzata in urbanistica femminista, ha lavorato come esperta di dinamiche di genere alla pianificazione urbana di Vienna e ha contribuito a più di 60 progetti relativi all’uguaglianza di genere nell’edilizia abitativa, nei trasporti, nella pianificazione e nella progettazione degli spazi pubblici4. Nel 1991, con un gruppo di progettiste/i, Kail organizza a Vienna la mostra “Wem gehört der öffentliche Raum. Frauenalltag in der Stadt” (A chi appartiene lo spazio urbano. La quotidianità delle donne nella città), in cui vengono mostrate le abitudini quotidiane di diversi gruppi di donne all’interno della vita urbana. Ogni donna traccia un percorso differente attraverso la città, “immagini” chemostrano chiaramente come la sicurezza e la facilità degli spostamenti fosse una priorità per tutte loro. L’esibizione suscita molto interesse e viene avviata una serie di progetti pilota sul gender mainstreaming.

Nel 1993, in città si tiene una gara di design intitolata “Frauen-Werk-Stadt” (Donne-Lavoro-Città) per il progetto di un insieme di palazzine circondate da cortili, di forma circolare, con aree verdi tra i cortili per permettere a genitori e bambini di passare del tempo insieme fuori casa senza allontanarsi troppo. Il complesso prevede una scuola materna, una farmacia e uno studio medico. L’impianto risulta anche vicino alle linee del trasporto pubblico, per agevolare le commissioni da fare all’esterno del gruppo di immobili e gli spostamenti verso la scuola e il luogo di lavoro. Le architette Franziska Ullmann, Liselotte Peretti, Gisela Podreka e Elsa Prochazka realizzano la FWS di Aspern tra il 1995 e il 1997. I loro nomi figurano all’entrata del comparto, formato da blocchi di edifici bassi alternati a spazi verdi e aree destinate al gioco, con balconi e finestre pensati per rendere la strada più piacevole. Inoltre, se qualcuna/o cammina da sola/o è facilmente visibile dai vicini: sono i cosiddetti occhi sulla strada (eyes on the street) di cui parlava Jane Jacobs.

Nella gara successiva di “Frauen-Werk-Stadt” l’attenzione si sposta verso la rete di parchi della città e viene commissionato uno studio per capire come uomini e donne usano gli spazi verdi. Lo studio, svoltosi tra il 1996 e il 1997, mostra che, dopo l’età di 9 anni, il numero delle ragazze nei parchi diminuisce drasticamente, mentre il numero dei maschi rimane stabile. Nel 1999, la città inizia a ridisegnare due parchi del quinto distretto. Vengono aggiunti più percorsi pedonali per rendere i parchi più accessibili e percorribili, e vengono installati campi di pallavolo e badminton, per ampliare la gamma di attività offerte. Vengono suddivise le zone ampie in aree più piccole. Quasi immediatamente si riscontrano dei cambiamenti. Diversi gruppi sia di ragazze che di ragazzi iniziano a usare lo spazio dei parchi senza che un gruppo ‘spiazzi’ l’altro. D’altra parte, cambiamenti del genere non sono esenti da punti critici e difficoltà: nel tentativo di definire come uomini e donne utilizzino gli spazi pubblici, è necessario riservare molta attenzione al rischio di rinforzare gli stereotipi già presenti. In tal senso, le/i progettiste/i scelgono di sostituire al termine Gender mainstreaming quello di Fair Shared City, traducibile con Città equamente condivisa.

Anche sulla scia di questi interventi, nel 2013, sempre ad Aspern-distretto 21 di Vienna, viene fondata la società Aspern Smart City Research GmbH & co KG (ASCR) con l’obiettivo della ricerca sperimentale in quattro settori:

1. Lo Smart Grid, che realizza, attraverso una prima fase, esperimenti per studiare e sviluppare una rete elettrica intelligente con lo scopo di una raccolta dati delle tensioni a basso voltaggio tramite i cosiddetti Power Quality Meters (P855) e/o apparecchi per il monitoraggio della rete (GMDs). In una seconda fase viene avviato un processo di management a basso voltaggio senza interventi attivi sulla rete, prendendo decisioni in base alla raccolta dati della fase precedente. L’ultima fase, ancora in corso, consiste nel realizzare un management attivo della rete attraverso 24 trasformatori di diverso tipo e apparecchi di monitoraggio di tensione.

2. Lo Smart Building, che ha concentrato la ricerca sui consumi termici degli edifici residenziali e degli edifici pubblici quali campus universitari e scuole del quartiere. A proposito dei primi, tutte le unità abitative sono equipaggiate con pompe di calore ad acqua di falda e pannelli solari termici con annessi sistemi di accumulo termico sotterraneo, collegati a loro volta con sistemi di riscaldamento a pavimento. Per quanto riguarda la parte elettrica, invece, sono stati installati impianti fotovoltaici su tutti i tetti degli edifici in questione, collegati a un accumulo elettrico, a sistemi di ventilazione naturale/forzata e misuratori intelligenti sparsi un po’ ovunque. Residenze universitarie e scuole hanno più o meno gli stessi impianti di produzione.

3. Lo Smart ICT, che riguarda il centro decisionale/energetico dell’area Aspern. Si tratta di centraline intelligenti che riescono a raccogliere i dati provenienti dai vari sensori e misuratori (siano essi in spazi interni o esterni), ordinarliedelaborarli. Il fine ultimo è quello di prendere decisioni in modo autonomo e automatico, al fine di ridurre i consumi energetici e aumentare l’efficienza dei sistemi.Esempio: dal monitoraggio del meteo, il sistema è in grado di sapere se la mattina ci sarà sole e il pomeriggio pioggia, permettendo di ricaricare le batterie dal fotovoltaico residenziale e di usufruire dell’energia stoccata durante le ore senza luce.

4. Lo Smart Users, che si interfaccia con le/gli utenti finali, circa il 30% delle/dei quali utilizza l’app che permette di gestire alcuni apparecchi e sistemi della propria casa o del proprio ufficio. Il centro di ricerca sta cercando di rendere app e sito di facile utilizzo per chi non è esperto in modo da incrementare le percentuali fino a raggiungere il 100%.

In sintesi, il progetto laboratorio-urbano avviato ad Aspern nel 2014 e destinato a essere completato nel 2028, riguarda un’area residenziale a 14 chilometri dal centro che ospiterà ventimila abitazioni e altrettanti uffici, cercando di tenere conto delle diverse prospettive delle persone in termini di qualità della vita e accessibilità, rendendo asili e scuole facilmente raggiungibili a piedi e ottimizzando il risparmio energetico. Le strade della zona portano nomi di donne – passeggiata Janis Joplin, piazza Hannah Arendt, ecc. e si snodano intorno a un lago balneabile, che nei mesi più caldi è già molto frequentato. L’anno scorso una delle piazze del quartiere, quella dedicata alla filosofa tedesca Arendt, è stata riconosciuta come un modello di uso non commerciale dello spazio pubblico.

Conclusioni

Una corretta pianificazione del territorio dovrebbe assicurare: un minor consumo di risorse, standard più elevati di efficienza energetica, la riduzione delle emissioni (soprattutto in ambito urbano), la realizzazione di insediamenti in grado di resistere al cambiamento climatico, coerenti con le politiche di coesione sociale e in grado di salvaguardare le infrastrutture primarie e le risorse naturali (adattamento). Dovrebbe inoltre fornire informazioni chiare ai politici, agli investitori e a cittadine/i, proponendo alternative e soluzioni che considerino le specificità locali.

«In Europa 3 persone su 4 risiedono in aree urbane e molte di queste città sono situate in zone potenzialmente a rischio; si pensi solo alle città costiere, a quelle lungo i corsi d’acqua, a quelle situate in zone ad alta sensibilità ambientale […]. Qualsiasi azione volta ad intervenire sul territorio dovrebbe essere “clima-consapevole” e sostenibile nel senso di salvaguardare le risorse naturali e di aumentare la sicurezza. La pianificazione deve inoltre considerare nelle sue azioni anche quelle parti di popolazione più vulnerabili o maggiormente esposte ai rischi dovuti ai cambiamenti climatici e quindi intervenire con azioni mirate che considerino le diverse esigenze e le diverse risposte che tali parti della popolazione sono in grado di dare nel caso di eventi climatici estremi»5.

La pianificazione in espansione deve contenere l’uso del suolo e salvaguardare acqua, aria e verde, creare insediamenti sicuri e vivibili oltre a predisporre misure di protezione/riduzione degli effetti climatici sulle aree urbane e rurali. I fenomeni di surriscaldamento sono dovuti a una diffusa cementificazione, all’elevata presenza di superfici asfaltate, che prevalgono su quelle permeabili, alle emissioni degli autoveicoli, degli impianti industriali e dei sistemi di riscaldamento e condizionamento. Gli approcci sistematici più appropriati e fecondi sono senz’altro quelli che fanno riferimento alla teorica dei beni comuni, che pongono in discussione la proprietà privata con lo scopo di riaprire la partita di fondo dell’urbanistica, alla ricerca di uno statuto speciale del regime giuridico di suolo, acqua e aria come beni comuni.


Scheda B – Un indice impietoso

L’edizione 2021 dell’indice sulla parità di genere, il Gender Equality Index realizzato dall’European Institute for Gender Equality (EIGE), rileva che l’Unione europea deve ‘accontentarsi’ di un punteggio di 68 su una scala da 0 a 100. L’incremento rispetto al 2020 è impercettibile: appena 0,6 punti e, dal 2010, l’indice è cresciuto di soli 4,9 punti.

Il dato medio, per altro, nasconde profonde discrepanze tra i diversi stati. La classifica è stabilmente dominata dalla Svezia (a quota 83,9), seguita da altri Paesi del nord Europa: Danimarca (77,8), Olanda, Francia e Finlandia (tutti e tre poco sopra i 75 punti). L’Italia ha un punteggio di 63,8, che la pone al di sotto della media europea, ma ha visto un’impennata di 10,5 punti rispetto al 2010. Seguono Romania (54,5), Ungheria (53,4) e infine la Grecia, a quota 52,5.


Note

1 Salvatore Settis, Architettura e democrazia, Torino, Einaudi, 2017, p. 62. Il tema dei nuovi confini e dei limiti delle città è stato al centro della riflessione degli urbanisti nella X Giornata di Studio dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, svoltasi a Napoli nel dicembre 2017, dedicata alla «Crisi e rinascita delle città». Si vedano gli Atti riportati nel n. 01 del 2018 di Urbanistica – Informazioni, intitolata Nuovi confini e limiti delle città, reperibile al sito http://www.urbanisticainformazioni.it/IMG/pdf/ui_272si_01_sessione_01.pdf.

2 Cfr. https://www.dite-aisre.it/uno-sguardo-di-genere-sulla-citta/.

3 Barbora Melis, La necessità di un’urbanistica femminile, in «Intersezionale», testata di articoli di approfondimento online. Il suo obiettivo è quello di dare spazio e voce a diverse realtà e associazioni, 20 novembre 2020.

4 Eva Kail è stata influenzata dalle teorie di Jane Jacobs, autrice del pionieristico saggio The Death and Life of Great American Cities (trad. it. Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Einaudi, 1969), pubblicato nel 1961; ed è la storica antagonista di Robert Moses, l’urbanista che definì lo sviluppo urbano di New York nel Novecento, grande sostenitore dell’auto privata e nemico del trasporto pubblico. Seguendo la lezione di Jacobs, Kail ha ripensato l’organizzazione della città, anche, in funzione delle donne, ispirandosi tra l’altro ad alcuni progetti realizzati in Germania. Alla fine ha individuato una precisa linea di ricerca: studiare le sensazioni provate dalle donne nello spazio pubblico e capire come questa percezione influenzi il loro rapporto con la città.

5 Virna Bussadori, AssUrb (Associazione Nazionale degli Urbanisti e dei Pianificatori territoriali e ambientali), La pianificazione come strumento di adattamento ai cambiamenti climatici, in Il Clima cambia la città. Conferenza sull’adattamento climatico in ambito urbano, promosso da Iuav e Legambiente, Venezia, 23-24 maggio 2013. Atti della conferenza, A cura di Francesco Musco, Edoardo Zanchini, Venezia, Corila (e-book), 2013, pp. 20-22, https://www.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/1463_2018_466_31374.pdf.

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