Articolo pubblicato su “Il Riformista” del 21.08.2022.
Sulla “Stampa” il direttore Massimo Giannini, gridando “è ora di agire”, ha proposto la convocazione di un’assemblea costituente. Sarebbe, a suo dire, la strada con maggiore efficacia e anche la più legittima per risolvere in radice la crisi di una democrazia che vive da anni sotto lo scettro abusivo di un “presidenzialismo di fatto”.
Malgrado i tentativi opportunistici intrapresi regolarmente dai vincitori delle elezioni, la Costituzione materiale non riesce a tramutare in un regime giuridico bilanciato la personalizzazione del potere galoppante e in tal modo a ratificare la nuova forma di governo emersa nelle cose. Secondo il quotidiano della Fiat, che pure se la prende con “l’occasionalismo costituzionale” che in questi anni ha imperversato provocando profonde lacerazioni formali, “non c’è un minuto da perdere”. Si può anche concedere qualche confusione concettuale tra il presidenzialismo e il modello del cosiddetto “Sindaco d’Italia” (che sarebbe, nel suo impianto, un unicum a livello mondiale, ma per Giannini “è chiaro, è semplice, è utile”: peccato che il regime del “premierato forte” o “assoluto” fu bocciato nel referendum confermativo del 2006).
Invece del tutto irricevibile è la prospettiva di un’assemblea costituente, la cui invocazione mostra il grado di scivolosa approssimazione che accompagna il manifesto del foglio torinese. In apparenza, la costituente dovrebbe “garantire” tutti i soggetti politici in un percorso di riforma più sorvegliato e sottratto agli appetiti strumentali delle maggioranze congiunturali. In realtà, si tratterebbe di un rimedio velenoso come pochi altri. La Carta non contempla ulteriori strumenti di reciproca rassicurazione come arnesi supplementari rispetto alle stringenti (e talune volte forzate in maniera censurabile) regole di revisione consegnate all’articolo 138. Per garantire tutti gli attori del sistema politico, Giannini suggerisce di oltrepassare proprio l’articolo di sistema, quello che contiene le chiavi di accesso al congegno costituzionale secondo clausole di sicurezza. Se ancora nel “sistema” della Costituzione si intende permanere, e secondo la sua logica operare degli innesti solo parziali di correzione, allora non si può manipolare proprio l’articolo che autorizza i modi più sicuri di entrare nel meccanismo per eseguire gli interventi migliorativi progettati.
Non si può difendere la Costituzione annichilendo il suo strumento principale di immunizzazione rispetto alla volontà di potenza di maggioranze occasionali che coltivano sogni sleali. L’alternativa è anche qui tra riforma (incrementale, con innesti parziali secondo il “sistema” ora vigente) o rivoluzione (cambiamento di sistema, con una esplicita discontinuità formale rispetto alle regole e ai valori dell’ordinamento). Con la battaglia ingaggiata dalla Fiat per convocare la costituente, il padronato sceglie in maniera disinvolta la via della rivoluzione che fa saltare equilibri e procedure. Sul piano storico-istituzionale, la costituente indica, per la sua specifica natura, l’irruzione di un potere di fatto. A seguito di grandi eventi e cesure esplicite, nei processi reali affiorano vuoti istituzionali per via della caduta di un regime. Ciò impone la convocazione di un organo chiamato a legittimare un nuovo ordinamento attraverso la redazione di un solenne documento costituzionale. In tal senso, la categoria di “costituente” si riferisce, nella dottrina classica di Sieyès, Constant, Marx, all’evento creativo originario e non imbrigliato in una forma. Essa quindi riconduce alla dinamica assolutamente creativa perché non rallentata in una rete di forme previste nel funzionamento del potere “costituito”.
Il problema teorico è di una trasparenza assoluta. Nelle esperienze politiche in cui la costituzione non esiste e va creata, o nei casi di abbandono della Carta antica per la scrittura di una nuova, interviene la nozione di costituente. Quando invece la costituzione esiste già e va solo ritoccata in taluni meccanismi usurati, domina la categoria di potere costituito operante con un bilanciamento dei poteri. Non a caso l’assemblea costituente non è contemplata nell’articolo 138 e in nessun’altra disposizione della Carta quale momento di revisione costituzionale. Si tratta infatti di una istituzione eruttiva-creatrice che fonda un ordine, non lo revisiona con piccoli ritocchi. Nella sua portata generativa, postula una situazione di vuoto, la caduta dell’ordinamento con la sospensione delle procedure della costituzione vigente.Nella sua portata effettiva, la “costituente” indica dunque una pratica di fondazione di un ordine che appare a tutti gli effetti eversiva, in un senso tecnico, rispetto alla configurazione dei poteri. Al direttore di quella che un tempo era la “Gazzetta Piemontese” sfugge che, proprio nella politica post-unitaria e sino alle soglie del fascismo, la parola “costituente” era ritenuta una dizione altamente sospetta.
Il termine coincideva infatti con una manifestazione di chiara ostilità al Regno. E, di conseguenza, chi la utilizzava era trattato dalla magistratura come interprete pericoloso di una categoria sovversiva da ostacolare in ogni modo. Con le armi sanzionatorie del diritto penale, lo Stato liberale-monarchico colpiva chiunque incautamente rispolverasse la formula della “costituente” nella sfera pubblica. La Repubblica, nella sua giusta vocazione tollerante verso le idee anche più radicali, non ha le stesse manie repressive dell’Italia liberale, chiusa in maniera poliziesca verso le parole vietate. E tuttavia il lecito pensiero sovversivo della “costituente” evoca una pratica di dissolvenza delle forme, che allarma in tempi di contagiosi sovranismi illiberali. Di per sé l’assemblea costituente, preso il nuovo organo nel senso pregnante racchiuso nel concetto, si colloca come un evento che si impone al di fuori della norma. Il suo procedere coincide con un atto storico-politico di sovranità sprigionante una forza effettuale che, nel vuoto di forma o nella discontinuità istituzionale rispetto all’ordinamento repubblicano, si incarica di rompere il quadro normativo esistente per definirne uno qualitativamente diverso sul piano valoriale-istituzionale.
Secondo Giannini, entro poteri “costituiti” della Repubblica ritenuti ormai inadeguati andrebbe collocato un inedito potere “costituente” estraneo all’ordinamento e con il mandato di disegnare la grande riforma. Oltre le regole e i poteri costituiti, che funzionano secondo i dettami della Carta e le procedure scolpite nell’articolo 138, affiora l’assunzione da parte di un potere imprevisto, e quindi tendenzialmente senza vincoli, del compito di redigere le pagine di una diversa Carta fondamentale. Se l’assemblea è “costituente” appare arduo delimitarne i limiti, se invece l’organo è eletto con compiti revisionali circoscritti non si comprende la necessità dell’aggiramento delle regole già ora in vigore. È evidente che, se di assemblea costituente davvero si tratta, allora occorre assumere per intero l’inferenza logico-politica conseguente all’introduzione di un organo che per sua natura appare di carattere straordinario.
Se per davvero la costituente è l’obiettivo, ne discende che la sospensione della validità della Carta comporta, come un corollario logico strettamente connesso, l’adozione di misure quali la nomina di un Capo dello Stato provvisorio e l’archiviazione della Corte costituzionale, che diventa un organo incompatibile con l’apertura di un processo di correzione strutturale della legge fondamentale. Anche se si riduce la portata della nozione di costituente, contraendone l’estensione rispetto al nucleo concettuale correttamente inteso, restano aperti dei nodi istituzionali evidenti. Si può paragonare una costituente istituita entro organi dello Stato che pure sussistono nella loro operatività giuridica ad una anestesia, che comunque addormenta le strutture dell’ordinamento, costrette, nel corso delle operazioni di chirurgia istituzionale, a confidare nel senso del limite dei costituenti.
Chi si introduce nel cuore del sistema dormiente procede in ogni caso con un potenziale conflitto per via della presenza di un dualismo dei poteri e di una possibile doppia maggioranza, con incertezze formali (l’articolo 138 tornerà ad essere utile per le correzioni future o per ogni ritocco della Costituzione servirà una nuova costituente?), con un incontenibile desiderio di allargare il ventaglio della manutenzione. I paletti stabiliti dall’articolo 138 possono rivelarsi, a quel punto, fragili rispetto alla pienezza di competenze rivendicata da un organo investito dal popolo con il mandato della grande riforma.
Prima di maneggiare una categoria così calda come quella di costituente (è lecito con l’articolo 138 superare completamente l’articolo 138?), Giannini dovrebbe sentire un piccolo senso del brivido culturale perché sta autorizzando una rottura drastica, una rivoluzione rispetto alla Repubblica nata dalla Resistenza. In una democrazia costituzionale è garantita la reversibilità dei ruoli (di governo e di opposizione), non la possibilità di passare ad un altro regime politico. La costituente, intesa come il percorso di un nuovo potere che si istituzionalizza, non è compatibile con la logica di una costituzione perché implica una situazione di fatto che, solo in caso di successo riportato nella dura prova della lotta, può tramutarsi in una nuova condizione giuridica.
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