Capitalismo, Politica, Temi, Interventi

I recenti risultati elettorali in Gran Bretagna e Francia confortano non poco. Ma certamente non tolgono la necessità di interrogarsi a fondo sulle ragioni profonde della forte spinta politica verso la destra, anche estrema, che da anni si va registrando nell’Unione europea e negli Stati Uniti. Disponiamo già di autorevoli commenti su diversi aspetti della questione: chi scrive vorrebbe apportare un modesto contributo alla discussione ricordando alcuni temi – non tutti – correlati all’economia.

Da questo punto di vista si vuole in particolare sottolineare come i movimenti politici di destra siano anche conseguenza di un processo di deindustrializzazione varato a suo tempo dai paesi occidentali, che hanno decentrato molte attività produttive verso il Sud del mondo, alla ricerca di risparmi nel costo della manodopera e di altri fattori produttivi, nonché nell’ambito di un tentativo generale di estendere il loro dominio economico e politico sul pianeta.

In tale processo, paesi come gli Stati Uniti e la Francia, ma anche gli altri dell’Ue, hanno perduto negli ultimi decenni milioni di posti di lavoro (per gli Stati Uniti si parla di circa 5 milioni). Intanto molti paesi del Sud del mondo, in particolare asiatici, anche sullo spunto dei citati movimenti di delocalizzazione, hanno avviato grandi processi di industrializzazione che ora li stanno portando a sopravanzare i paesi occidentali su molti fronti e anche a batterli sui mercati mondiali.

Nel tempo, questo processo ha generato gravi conseguenze sociali tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, destabilizzando almeno una parte delle classi medie e impoverendo quelle popolari; intere aree geografiche sono diventate dei deserti economici. Parallelamente operava una crescente concentrazione della ricchezza e dei redditi, insieme ad un’erosione dei servizi sociali conquistati con fatica nel dopoguerra.

Né può dirsi che le forze politiche di sinistra dei vari paesi occidentali abbiano cercato di governare tali processi: casomai, in gran parte, si sono mostrate del tutto indifferenti alle loro conseguenze, se non complici del loro stesso corso. È risultato anzi evidente che la sinistra si è sostanzialmente schierata dalla parte dei privilegiati che ottenevano vantaggi dai mutamenti descritti. È anche sulla base di queste premesse che le destre hanno conquistato spazi elettorali prima impensabili.

La situazione in alcuni settori economici

A questo punto, per rendere evidente il tendenziale passaggio del testimone dell’economia dal Nord al Sud del mondo, può essere utile fornire un quadro dell’evoluzione nel tempo a livello mondiale di alcuni settori economici. Abbiamo scelto come abbastanza rappresentativi quelli dei porti e dei cantieri navali, dell’auto e dei chip. La tendenza generale che si può rilevare da tali casi è la preminenza ormai raggiunta dai paesi dell’Asia e in particolare, anche se non in via esclusiva, dalla Cina. Tra i paesi del Nord gli Stati Uniti sembrano cavarsela meglio di quelli dell’Unione europea, in perdita di velocità su quasi tutti i fronti e in una terribile crisi di prospettive per gran parte della sua economia. Molti dei settori industriali più tradizionali, dalla chimica, all’auto, alla meccanica, in cui il nostro continente una volta primeggiava, sono in grande difficoltà, mentre quelli nuovi sono un dominio quasi esclusivo degli Stati Uniti e della Cina, e più in generale dell’Asia. Si vagheggia di reindustrializzazione, ma il compito è immane e dagli esiti molto incerti.

Porti e cantieri navali

Come è noto, sono ormai passati molti anni da quando la Cina è diventata la più importante potenza commerciale del mondo, superando Stati Uniti e Germania, paesi che una volta dominavano la classifica. La forza della Cina si rileva soprattutto a livello di esportazioni, fronte sul quale il paese asiatico mostra una quota di attività rispetto a quella mondiale collocabile intorno al 15%, quasi il doppio di quella degli Stati Uniti, mentre a livello di importazioni occupa la seconda posizione, ma a breve distanza dagli stessi Stati Uniti.

Questa situazione influisce fortemente sulla classifica dei principali porti del mondo, dal momento che quella marittima è oggi, di gran lunga, la via più importante utilizzata per il trasporto delle merci a livello mondiale. Sui primi dieci, ben sette porti sono oggi cinesi, con Shanghai in testa alla classifica, mentre Singapore occupa la seconda posizione, un porto coreano si ritrova al sesto posto e l’unico europeo, Rotterdam, solo al decimo.

Per quanto riguarda poi il settore dei cantieri navali, ancora nel 2002 l’Europa produceva il 24% del naviglio a livello mondiale e la Cina soltanto l’8%. Intanto si facevano sempre più avanti il Giappone e la Corea del Sud; infine è arrivata la Cina. Nel 2023 essa ha prodotto più del 50% del naviglio mondiale, la Corea del Sud il 26% e il Giappone il 14%; l’Europa è ormai scesa al 5% del totale e gli Stati Uniti sono praticamente a zero. La Cina ha ancora un certo ritardo nelle tecnologie più avanzate del settore, ma sta recuperando molto velocemente sulla Corea del Sud, come mostrano gli ultimi dati. La volontà manifestata ora dagli Stati Uniti di ripristinare le sue attività nel settore e di frenare la cantieristica cinese sembrano molto velleitarie. Intanto, a livello politico, si è parlato di bloccare l’accesso ai porti statunitensi da parte delle navi di fabbricazione cinese.

L’auto

Nel settore dei veicoli stradali, a un precedente predominio mondiale degli Stati Uniti, tanto come livelli di produzione quanto come quote del mercato, si è aggiunta nel dopoguerra una forte crescita dei paesi dell’Europa occidentale; le due entità geografiche dominavano sino a pochi decenni fa le tecnologie, la produzione e le vendite a livello mondiale nel settore. Successivamente, anche in questo caso, si sono fatti avanti in maniera importante prima il Giappone e poi la Corea del Sud. Presto, il primato nelle tecnologie e nell’organizzazione della produzione è passato proprio al Giappone, in particolare con il cosiddetto sistema Toyota, mentre comunque si affermavano sempre più la sofisticazione e la qualità dei prodotti delle case tedesche. Più di recente la Cina è diventata di gran lunga il più grande mercato e il più grande produttore di vetture al mondo, con una quota intorno a un terzo del totale mondiale. Nel 2023 essa ha anche conquistato il primo posto, superando il Giappone, come paese esportatore di veicoli. Intanto, più in generale, l’Asia ha occupato il centro del settore. Sempre nel 2023 nel continente si sono in effetti prodotte più del 60% delle vetture a livello mondiale.

Le recenti innovazioni ‘radicali’, con la progressiva affermazione delle vetture elettriche, del software e in prospettiva dell’auto a guida autonoma, stanno rafforzando il ruolo del paese asiatico, che presenta un rapporto prezzo/qualità delle vetture a batteria che appare molto difficile da eguagliare (nel 2023, tra l’altro, ne ha prodotte circa il 65% del totale mondiale), anche se gli Stati Uniti mantengono delle posizioni importanti con Tesla e altre imprese. Per contro, l’Europa sembra sempre più in difficoltà: i produttori tedeschi, che vedono ormai sempre meno valorizzate sul mercato le loro prodezze qualitative, tentano di stare a galla soprattutto aggrappandosi al mercato cinese e agli accordi con le case di quel paese, come pure stanno facendo i produttori francesi.

Da segnalare l’imposizione da parte dell’amministrazione Biden nel 2024 di dazi elevatissimi sull’importazione di auto cinesi (il 100%) e di batterie dello stesso paese. Come commenta The Economist, le case americane temevano la concorrenza della cinese Seagull della Byd, che si vende a 10.000 dollari; ora le stesse case potranno vendere auto di qualità inferiore a un prezzo tre volte più elevato. Anche l’Europa, sempre vassalla degli americani, cerca ora di mettere in difficoltà i produttori cinesi.

Un chiaro simbolo dei mutamenti in atto nel settore appare la notizia, divulgata nel mese di maggio 2024, che gli autobus a due piani londinesi, ormai elettrificati, verranno prodotti da una casa cinese.

I chip

Quella dei chip appare da tempo l’attività industriale più importante che ci sia al mondo. I paesi europei, ancora nel 1990, controllavano una quota della produzione globale pari al 44%, mentre oggi la quota è scesa a meno del 10%. Non molto dissimile il quadro per quanto riguarda gli Stati Uniti, che nel 1990 ottenevano il 37% della produzione globale, mentre oggi la quota si colloca intorno al 12%. Il paese ha peraltro mantenuto nel tempo un ruolo molto importante nell’ambito di alcune tecnologie di base, in particolare nella progettazione degli stessi chip, e ora avanza nuove pedine con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il quadro aggiornato al 2023 vede in generale una situazione in cui Taiwan controlla ormai una quota di produzione pari al 22% a livello globale, la Corea del Sud il 21%, la Cina e il Giappone il 15% ciascuno (peraltro con la Cina in forte crescita), mentre gli Stati Uniti, come già ricordato, ottengono il 12% e i paesi europei il 9%. Taiwan e Corea del Sud, poi, sono i paesi dominanti nelle tecnologie di prodotto, mentre la Cina rappresenta di gran lunga il mercato più importante, con circa il 50-60% del totale mondiale.

Per la verità, il paese asiatico è ancora abbastanza indietro a livello tecnologico, tanto che sino a qualche anno fa l’importazione di chip era più importante in valore di quella di petrolio e gas. Peraltro tali importazioni si vanno riducendo (del 15% in valore nel 2023), mentre aumenta il livello di autosufficienza del paese. Nel frattempo, ancora nel 2023 – secondo le dichiarazioni di Gina Raimondo, importante membro del governo statunitense – gli USA hanno importato da Taiwan il 92% del loro fabbisogno dei chip più avanzati.

Per quanto riguarda i paesi dell’UE, bisogna dire che in sostanza sono fuori gioco dalle produzioni più avanzate e che le loro imprese di semiconduttori operano soltanto nei comparti più maturi – fatta salva l’eccezione delle macchine per la produzione dei chip, settore nel quale l’olandese Asml è l’impresa di gran lunga più importante al mondo, seguita dai giapponesi.

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Un commento a “La deindustrializzazione spinge a destra”

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