Dopo gli ultimi articoli di Letizia Paolozzi, Laura Ronchetti e di altre precedenti, questo è il nostro contributo alla discussione. Siamo felici che si discuta tanto del femminismo/dei femminismi, perché ci sono stati periodi nei quali molti lo davano per scomparso. E ci piace che parecchie persone si domandino, sui giornali e sui social, se le femministe hanno vinto oppure perso le loro battaglie. Noi siamo tra coloro che pensano che il femminismo, un movimento che ha prodotto battaglie, relazioni, pratiche e pensiero, abbia vinto. Certo, il patriarcato e soprattutto il maschilismo, pur se “feriti”, esistono ancora, la violenza sulle donne pure e anche le grandi ingiustizie nel mondo del lavoro e delle professioni.

Quella che è cambiata per sempre però è la risposta delle donne, il salto di consapevolezza di sé. Si è in gran parte realizzato quel che stava scritto nel Sottosopra Verde del 1983: “c’è dentro di noi una voglia di stare al mondo da signore, in grande, di avere con le cose una sicura familiarità, di trovare di volta in volta i gesti, le parole, i comportamenti conformi al nostro sentimento interno e rispondenti alla situazione, di andare fino in fondo nei pensieri, nei desideri, nei progetti. La chiameremo voglia di vincere”. Dunque, il “mondo” prodotto dal femminismo è qualcosa che si tramanda da generazioni: un diverso modo di pensare e di agire nella vita privata e pubblica, di confliggere con gli uomini, con le istituzioni. È la libertà femminile il segno permanente e incancellabile. Assieme al rifiuto di pensarsi donna solo se si diventa madre.

E ogni donna agisce questa libertà come meglio ritiene di fare. È vero, dunque, come dice Adriana Cavarero in una intervista a Il Foglio del 28 ottobre, che “le ragazze di oggi sono figlie del femminismo che lo riconoscano o meno, e che anche Meloni-donna libera e emancipata e capace di ricoprire ruolo di potere, in qualche modo è figlia del femminismo”. Ma non corrisponde al vero, come afferma ancora Cavarero, che “non vi sia, a sua conoscenza, nessuna femminista che si dichiarerebbe di sinistra al 100%, perché la politica dei partiti è sempre una… e il femminismo è mille miglia lontano da questo teatro”. Noi, ad esempio, siamo due femministe e lei ci conosce da molti anni. Di più, siamo donne femministe e di sinistra che spesso hanno idee politiche molto diverse (come sul conflitto israelo-palestinese, ad esempio), che da decenni discutono anche duramente ma “senza farsi male” e hanno saputo mantenere terreni comuni di battaglia e di impegno. Dunque per noi la vera questione non è mai stata dove una donna decida di far politica, ma se nel farla scelga di essere libera e in relazione con altre donne.

Distinguere tra politica Prima (che sarebbe quella delle donne) e politica Seconda (che sarebbe quella dei partiti e delle istituzioni) ci è parsa sempre una forzatura. Con una battuta diremmo che le donne da tanti anni hanno inventato semmai una “politica Terza”, e la fanno dappertutto. Immaginiamo infatti che Cavarero, come altre, abbia fatto e faccia politica anche dentro istituzioni e che abbia fatto negli anni battaglie, mediazioni e compromessi, nell’università, in magistratura, in fabbrica, nel mondo della ricerca, come noi, che abbiamo fatto politica per molti anni dentro un partito, finché i partiti sono esistiti.

Oggi questo gran parlare da parte di giornali, con molte interviste a femministe, è legato curiosamente a un unico, confuso, grumo di temi: in primo luogo la gestazione per altri, questione sulla quale una parte del femminismo italiano non si è accontentato del divieto che vige in Italia ma ha condiviso la posizione del Governo Meloni di inasprire le pene e di dichiararla reato universale. Un “non senso giuridico” inapplicabile, dal momento che 65 paesi al mondo l’hanno regolata rendendola solidale e controllata.

E in secondo luogo la gpa sarebbe, per alcune e alcuni, il simbolo dell’attacco frontale sferrato dal mondo lgbtq+ alle donne e alla differenza sessuale. Sulla pretesa – e, a nostro parere inesistente, “pervasività” della cultura lgbtq+ nel mondo – insistono incredibilmente sia Adriana Cavarero (“lo status di queste minoranze viene oggi preso a modello e applicato alla intera umanità (sic) come rivoluzionario e liberatorio…”), sia Luca Ricolfi, che ha scritto un libro intero per spiegare che i dem USA avrebbero perso le elezioni perché sono stati troppo “follemente corretti”.

Troppo “woke” come va di moda dire con termine ambiguo e poco comprensibile. Ma, srotolandone il senso, a noi pare di capire che significhi troppo antirazzisti, troppo sensibili ai diritti delle minoranze, troppo accoglienti verso i migranti, troppo tolleranti verso i trans, o anche troppo “pro-vaccini”, troppo critici verso l’enorme diffusione delle armi. Per queste ragioni Kamala Harris avrebbe perso 13 milioni di voti e non, come sostengono altre analisi, a nostro avviso assai più serie, per il distacco dalla propria base elettorale, dovuto alla mancanza di attenzione al carovita che ha impoverito troppi statunitensi, o per la sanità che esclude ancora milioni di persone, per la povertà che si allarga nelle aree rurali e per la crescita enorme di spese militari oramai insostenibili. La domanda vera, allora, diventa questa: per non essere troppo “woke” cosa si dovrebbe fare? Dovremmo forse diventare come Trump, Musk o Kennedy junior?

Questo parlare ossessivamente di egemonia della cultura lgbtq+ è a nostro parere solo un diversivo, un comodo specchietto per le allodole, ma soprattutto un travisamento della realtà che piace tantissimo alle destre e agli oligarchi a ogni latitudine. Che sono razzisti e xenofobi, spesso omofobi, e che respingono i migranti con muri e metodi violenti, e amano tanto le armi e le guerre.

Per tornare alla gpa noi partiamo dagli esseri umani esistenti, che sono i figli già nati dalla gestazione per altri, e in vari casi oramai adulti. Con questa normativa c’è il pericolo concreto che, con genitori braccati o in carcere, diventino figli di nessuno e siano del tutto privi di tutele e diritti primari. E per noi una cittadinanza di seconda classe è inaccettabile. Altre e altri ci pare invece che spesso non partano dalla realtà: la legge 40, ad esempio, non doveva ammettere la fecondazione eterologa perché sarebbe stato un vulnus, anche se non è chiaro verso chi. Se un uomo sterile accetta che un altro uomo doni lo sperma alla moglie non c’è evidentemente alcun vulnus. È una libera scelta di quella donna e di quell’uomo. Per fortuna la Corte ha abrogato il divieto di ricorrere alla eterologa. E ancora, le unioni civili si potevano fare, ma senza step-child adoption perché per la parte più conservatrice del Parlamento e anche per alcune femministe, si rischiava di ammettere indirettamente la gpa. Un’Unione civile tra due persone di sesso maschile avrebbe potuto dar luogo al riconoscimento da parte del padre biologico e alla conseguente adozione da parte del suo partner del figlio nato con la gestazione per altri. Con il risultato finale che, in Italia, abbiamo la legge sulle Unioni civili più arretrata di tutti i paesi europei.

Come scrive Laura Ronchetti su questo sito: “il divieto penale, assoluto e senza deroghe, a che una donna possa portare avanti una gravidanza di un embrione formato da gameti appartenenti a una coppia che altrimenti non riuscirebbe a riprodursi, presume come dato naturalizzato che nessuna donna, consapevolmente e liberamente, possa decidere di mettere al mondo una nuova persona senza volerle fare da madre. E delle presunzioni di quello che naturalmente una donna sarebbe portata a fare è lastricata tutta la storia del patriarcato”.

Noi ribadiamo che siamo per regolare la gpa adottando il principio altruistico e solidale, senza scambio di denaro come hanno fatto molti Stati e come propone l’Associazione Coscioni nel suo disegno di legge che riteniamo una buona base di partenza per discutere. E riteniamo anche che vada rifatta dalle fondamenta la normativa sulle adozioni, consentendo l’adozione a tutte le coppie, anche a quelle omosessuali e sveltendo le procedure, oggi lente e macchinose. Per noi due, che la proponemmo in parlamento tanti anni fa, sarebbe auspicabile anche l’adozione da parte dei single.

Infine ci pare che da alcuni anni, da quando si è aperto un conflitto dentro il femminismo sulla gpa, ma anche sui temi della prostituzione, il clima sia visibilmente peggiorato. Eppure quando scoprimmo (ai tempi di Chernobyl) che la coscienza del limite non riguardava solo i limiti dello sviluppo ma anche la politica e il modo di porsi nelle relazioni, ci parve un bel passo avanti. Ogni discussione e confronto non deve presupporre, per come abbiamo vissuto noi il femminismo, l’annullamento dell’avversario o la sconfitta di una opinione diversa. Si convive nelle differenze senza mettersi le dita negli occhi. Pensiamo che in presenza di un mondo sempre più complesso e di uno sviluppo sempre più contraddittorio non ci si dovrebbe rinchiudere pervicacemente solo su alcuni argomenti: le tante guerre, il clima che cambia le vite, la sanità che manca a troppi, ci riguardano e hanno bisogno di azioni e relazioni tra donne.

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