Interventi

La sommersione dell’esercito del Faraone nel Mar Rosso (c. 1515, stampato nel 1549), via Art Institute of Chicago

 

Se avessi la penna leggera di Ludovico Ariosto descriverei Michele Prospero, per l’articolo È ancora possibile criticare Conte senza essere un nemico del popolo?, come quel cavaliere che, per montare in groppa al proprio cavallo, ci mette troppa foga, e rovina scompostamente dall’altra parte. Prospero, che è uno studioso di adamantina fede democratica, oltre che un caro amico, ha mancato il bersaglio perché non ha voluto vedere i motivi profondi, “morali”, dell’insofferenza che – al di là, e prima e indipendentemente da Conte e dalla politica stessa – hanno spinto molti ad “essere felici” (Castellina) di firmare quel testo intitolato Basta agguati.

Con molta sobrietà ha detto Luciano Canfora: «Si può fare ironia su tutti, ma io non condivido l’atteggiamento che è stato, per esempio, della Repubblica. Non so cosa farà il nuovo timoniere, ma in queste settimane leggevo editorialisti sparatissimi contro il governo, comunque. Come le critiche aprioristiche della destra. … Dare addosso a chi si è trovato a fare il fattibile non è una gran ginnastica». Si noti che il punto di partenza è «l’ironia» (sconfinante nel sarcasmo) con cui il governo viene trattato, ove ironia non è frutto di un’arte, ma è solo il “risus” che abbonda nelle critiche aprioristiche della destra (e che purtroppo si è diffuso anche al di fuori). È proprio la totalità di questo riso che preoccupa.

Avrebbe dovuto apparire ovvio che il nucleo del testo incriminato non è la glorificazione di Conte, né la sua trasformazione in statista, né l’assoluzione dei suoi peccati, né la sua difesa dalla critica politica, ma quel “dare addosso”, frutto di un magico concerto tra le soi disant vestali della libera stampa e i nemici del governo, di destra, occulti e palesi, interni ed esterni. Con la loro boria, l’irrisione, il perenne sorrisetto di sufficienza, lo sghignazzo plebeo, hanno finito per dare il voltastomaco.

Ma questo voltastomaco deriva, a sua volta, da due punti di merito.

La critica al libertarismo. Bene ha scritto Luciana Castellina: «Qualcuno ha invocato la Costituzione. … Come se ci fosse il diritto di esporre al rischio di contagio chi è più fragile, perché vecchio o in cattiva salute o ben protetto da trasporti privati. Siccome io sono molto vecchia, dunque categoria molto a rischio, sono felice che le occasioni di contagio siano ridotte al minimo e trovo indecente l’insofferenza di chi vorrebbe esercitare la sua libertà a mio danno». Indecente. E preoccupante per il livello di ignoranza diffuso, anche tra i costituzionalisti, che parlano di compressione dei diritti costituzionali di libertà di movimento, di riunione, di esercizio della libertà di impresa. Giovanni Ferretti (filosofo, teologo, sacerdote, ex rettore dell’Università di Macerata), ha scritto, contro la presa di posizione dei vescovi italiani (rimbrottata poi dal Papa) a proposito della denunciata compressione della libertà di culto: «Libertà di culto non è libertà di infettare la gente». E lo stesso, ovviamente, vale per la libertà di spostarsi, di riunirsi, di insegnare nelle scuole, di andare a teatro, a un concerto, di fare sport o di assistervi da tifoso… Ma, ci chiediamo noi “stalinisti” – come ci definisce la destra non solo sdoganata, ma assunta a formatrice del senso comune – ci vuole tanto a capirlo? Tutte queste libertà, che implicano contatti tra le persone, in tempi di pandemia cambiano integralmente oggetto, diventano “cose” diverse: diventano libertà di infettare. E contro la libertà di infettare non c’è limite costituzionale che tenga.

Il testo in questione è dunque innanzi tutto una presa di posizione su cosa sia la libertà. Che è una bella parola, ma che è inaccettabile se comporta la lesione di un diritto degli altri. Fatto questo che anche alcuni nostri costituzionalisti (portatori di una concezione metafisica dei diritti individuali) non riescono a mettere a fuoco. Tutto qui, per quel che riguarda l’ispirazione del documento criticato; e ce n’è abbastanza per rigettare come contingenti e politiciste, avviluppate in retroscena giornalistici, le critiche mosse in modo sorprendentemente ingeneroso.

Il secondo punto di merito, il più delicato, è una presa d’atto della situazione in cui ci troviamo. Una situazione in cui la speranza che la pandemia avesse dimostrato che il mondo dovrà e potrà essere diverso, si chiude sulle nostre teste. Come le sabbie mobili, o come il Mar Rosso sull’esercito del Faraone (che in questo caso saremmo noi). La possibilità che la pandemia generasse un rifiuto di massa del mondo così come è stato negli ultimi quarant’anni, sta scomparendo. Chi ha mosso, o sta muovendo un dito, per almeno ritardare questo esito? In questo contesto – in cui le scelte non si compiono in deduzione da progetti di lungo respiro, da parte di forze politiche effettivamente tali, ma sotto le bastonate degli ambienti imprenditoriali, delle potenze atlantiche e dei loro manutengoli – preferisco non aggiungermi a chi dà addosso a chi si è trovato a fare il fattibile. Non solo, ma ritengo che nessun gruppo politico possa sopravvivere se in troppi si dedicano a questo gioco.

Qui il PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *