Democrazia, Politica, Temi, Interventi

Le elezioni in Liguria sono state un momento importante per capire come il centro sinistra sia cresciuto e cosa manchi per vincere. Partivamo in discesa. Alle elezioni europee i voti della nostra coalizione superavano ampiamente quelli del centro-destra. L’incriminazione del presidente uscente Toti sembrava offrire ulteriori spazi di avanzamento. La candidatura in extremis di Bucci sembrava una mossa disperata del centro-destra. Pur essendo probabilmente l’unico candidato possibile, era però in netto calo di popolarità proprio a Genova, la città di cui era sindaco; calo certificato dall’esito elettorale ottenuto nel capoluogo. Eppure, anche se di poco, abbiamo perso.

Una interpretazione facile tende ad attribuire la sconfitta al calo davvero impressionante dei voti dei 5 stelle. Una spiegazione ingenerosa. I 5 stelle perdono proprio perché si sono alleati con il PD e hanno accettato il candidato che il PD ha loro proposto. Anche qui, Orlando era l’unico candidato possibile e che con molta generosità si è proposto, ma indubbiamente, aveva un profilo politico e culturale molto ostico per portare al voto la maggioranza degli elettori 5 stelle. Per chi ha fatto della contestazione alla politica professionale, della lotta alla “casta”, una delle ragioni fondamentali dell’adesione al movimento, era difficile votare per un super professionista della politica come Andrea Orlando. Intendiamoci. È positivo che i 5 stelle abbaino abbandonato i toni populisti e qualunquisti del grillismo, ma non si può pensare di avere di botto la botte piena e la moglie ubriaca. Che, cioè, i 5 stelle ragionevoli recuperino tutti i voti che prendevano al tempo dell’antipolitica. E infatti progressivamente, elezione dopo elezione, più si fanno politici e responsabili e più ne perdono.

Sta dunque al PD, che della coalizione alternativa al centro destra è il perno, e che con la segreteria della Schlein sembra aver recuperato capacità di impegno e un qualche radicamento, costruire le condizioni perché la coalizione sappia parlare anche ai 5 stelle in crisi, che altrimenti vanno a rimpinguare l’astensionismo crescente. Ma è difficile farlo se continua a mettere tra parentesi le questioni su cui i 5 stelle tendono a recuperare un profilo identitario dopo la sbornia grillina. La pace, l’ambiente, la democrazia diretta, ripulita dai vaneggiamenti tecnologici alla Casaleggio.

I punti deboli della campagna elettorale ligure sono stati in fondo gli stessi della coalizione nazionale. Sanità, istruzione, politica industriale sostenibile, lotta alle disuguaglianza, salario minimo e aumenti salariali per tutti, difesa del reddito dei pensionati sono tutti elementi essenziali per il PD e per una coalizione di sinistra che voglia recuperare consensi fra la propria base sociale e culturale storica, ma non sono sufficienti per portare al voto non solo i 5 stelle post-grillini, ma anche tanta parte del civismo di sinistra che ha trovato nella pace, nell’ambiente, nella partecipazione il terreno fondamentale per impegnarsi nuovamente in politica. È difficile per molti impegnarsi politicamente se la sinistra non prova a dare risposta all’incertezza presente in tanti giovani e sulla stessa loro possibilità di avere un futuro. Se lasciamo le persone di fronte al rischio della guerra atomica e della catastrofe ambientale, in “una incertezza – cosi la definiva Karl Polanyi già in uno scritto del 1956 – che combina totale impotenza ed estrema angoscia”, è difficile portarle all’impegno e al voto. Ma di pace e di clima, e di come la partecipazione dei cittadini alle scelte di ogni giorno, possa rispondere ai drammi che incombono sulla loro vita, nella campagna elettorale della Liguria si è parlato molto poco. Il dibattito si è in gran parte incentrato sul presente. Bucci, sulla scia di Toti, aveva un presente preciso in cui calarsi. La crescita della Liguria attraverso un turismo di massa che ha fatto sgocciolare soldi nelle tasche di molti, soprattutto nel vasto popolo dei B&B, la costruzione della nuova diga che avrebbe permesso alle grandi navi di entrare in porto (per la gioia del vasto mondo che intorno al porto e alle grandi opere prospera), la cultura del fare, indifferente ai danni ambientali e sociali che quel fare molto spesso comporta. Su quel presente ha costruito le sue liste civiche che hanno compensato il calo dei voti delle forze politiche di destra. Orlando non è riuscito a dare forza e visibilità al civismo che is impegna sulle grandi domanda del futuro, a quello impegnato dul terreno della pace, della lotta al riscaldamento climatico, della salvaguardia del territorio, della partecipazione democratica per valutare e influenzare il senso e la direzione dell’agire pubblico. E questo per il fatto di non allontanare i moderati all’interno del proprio fronte. Anche se ho qualche difficoltà a pensare come moderato chi non si schiera per la fine della guerra in Ucraina e dello sterminio della popolazione di Gaza e del Libano.

Eppure proprio quelle grande domande sono decisive per il futuro della Liguria. La pace innanzitutto. La Liguria è il centro del mediterraneo. I movimenti delle merci, delle idee, delle tecnologie, degli esseri umani tra le sponde del Mediterraneo segna e segnerà sempre più il suo stesso sviluppo economico. Ma perché questa centralità assuma un senso positivo è necessario che il Mediterraneo cessi di essere un mare di morte, e ridiventi un luogo di scambio di storie, di economie, di culture. Che finisca, questa è la condizione decisiva perché ciò possa avvenire, la guerra coloniale contro il popolo palestinese. In questa prospettiva la convivenza civile delle diverse etnie, delle diverse religioni, che oggi popolano le città della Liguria è una concreta e fondamentale azione per la pace. Le associazioni laiche e religiose che lavorano sull’accoglienza dei migranti, come quelle che si adoperano per garantire loro il diritto alla salute, all’istruzione, al rispetto da parte delle istituzioni, che combattono le discriminazioni basate sulla razza o sul genere, così come le imprese che offrono loro un lavoro regolare e dignitosamente retribuito, formando i nuovi lavoratori di cui una regione in rapido invecchiamento e in calo demografico ha bisogno, sono operatori di pace, a cui la Regione può e deve dare tutto il supporto possibile, sul terreno economico e normativo. La cultura dell’accoglienza e del dialogo tra le diversità deve essere alla base della stessa programmazione culturale regionale, come la più efficace delle politiche per rendere la Liguria una regione sicura.

L’altra questione fondamentale è il riscaldamento climatico. Climatologi, meteorologi, geologi, ci dicono che in Italia e nel Mediterraneo la Liguria è la regione più esposta a quegli eventi estremi che hanno devastato Valencia. E al riscaldamento climatico si aggiunge l’estrema fragilità del territorio. A una costa iper-cementificata, costellata di una miriade di porticcioli turistici, che vive soprattutto grazie a un iper-turismo incontrollato, si accompagna una vasta area interna in gran parte in via di desertificazione, con la popolazione che in cerca di un modo civile di vivere – di muoversi, di mandare i figli a scuola, di avere a portata di mano un presidio sanitario, un ospedale – si è nel tempo riversata sulla costa, facendo venire meno quella cura del territorio, dei boschi, degli argini dei fiumi e dei torrenti, quella agricoltura intelligente di prossimità, che sono le cose più efficaci per garantire che quelle terre non crollino a valle, con la loto terra e con la loro acqua durante le tempeste che saranno sempre più frequenti. Questi territori hanno sofferto in tutti questi anni di un deficit di riconoscimento. Riconoscimento necessario se vogliamo che in quei territori le persone ci restino o addirittura ci tornino. Del resto quelle terre, da cui vedi il mare dai vigneti e dagli ulivi, quell’intreccio tra l’apricu e l’ubagu, tra la terra dell’ombra e quella del sole, di cui parlavano Calvino e Biamonti, sono quello che fa dei liguri un popolo unito, che fonda la loro identità. Separata sulla costa da traffico, di commercio, persino frequentazione delle università, che vanno in direzioni diverse. Genova verso Milano, Savona verso Torino, La Spezia dialoga con la Toscana e con l’Emilia. Ma riconoscimento vuol dire prima di tutto dar loro la voce, e mettersi in ascolto dei loro bisogni e dei loro desideri, di cosa è necessario fare per render loro possibile di fare i contadini, di aprire un negozio o un bar in un piccolo paese, di come rendere fluidi e frequenti le loro possibilità di muoversi e di incontrarsi. Se non sentono che qualcuno prende queste cose davvero sul serio, che non ne fa una priorità della propria azione politica, voteranno per chi governa, e magari si è fatto vivo con qualche mancia prima delle elezioni. E noi continueremo a lamentarci del fatto che vinciamo nelle città ma che la destra ci batte nei piccoli centri e nelle campagne. È necessario un lavoro di lunga lena, ma da cominciare alla svelta. Qualcosa però si poteva dire persino in campagna elettorale. Per esempio, che è stata una scelta sciagurata di questa destra di governo avere fatto della diga davanti al porto per far arrivare a Genova più grandi navi senza nemmeno troppo preoccuparsi della sostenibilità dell’aumento dei traffici sulla vita cittadina, una priorità del PNRR, a discapito degli investimenti necessari alla cura e al rammendo del territorio (a partire dalle aree interne) è stata una scelta sciagurata di questa destra di governo.

In ultimo, c’è il grande tema della partecipazione. Orlando ha promesso una legge regionale sulla partecipazione e il dibattito pubblico. Una legge che del resto ha già la Toscana, e che il PD ligure non aveva mai assunto come una sua priorità, anche quando governava. Penso che dall’opposizione questa può essere una scelta fondamentale da portare avanti. Ma l’ostacolo fondamentale alla partecipazione e alla stessa rappresentanza è l’attuale statuto e l’attuale legge elettorale regionale, simile alla maggioranza di quelle di tutte le altre regioni, figlie dell’poca in cui anche la sinistra flirtava con il decisionismo e il bipolarismo rude. È difficile ragionare di partecipazione dove il maggioritario rafforzato della legge elettorale svuota di fatto il ruolo dello stesso Consiglio regionale e permette a Bucci di governare la regione con una maggioranza inscalfibile, pur avendo avuto la fiducia di meno di un quinto dei cittadini che avrebbero avuto il diritto di votare. Un sistema maggioritario che permette a chi vince di chiamarsi e farsi chiamare “governatore”. È una battaglia da fare, magari dichiarandolo prima delle elezioni nelle regioni dove si andrà a votare a breve. Anche in vista di quelle che dovremo fare su autonomia differenziata e premierato, che hanno in comune l’idea di un mondo governato dagli esecutivi a discapito di tutti gli altri poteri su cui si basa la democrazia costituzionale. Centralismo del premierato, centralismi regionali, contro l’intero sistema delle autonomie sociali e istituzionali.

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