Andrea Amato il 22 Dicembre 2023 alle 12:48 Rispondi Sono molto grato a Claudio Salone per il suo commento perché coglie l’obiettivo dell’articolo che era quello di far nascere nel lettore la domanda: quale assetto istituzionale dell’UE sarebbe auspicabile per superare irrilevanza politica e deficit democratico? Sono d’accordo sul fatto che un’Europa federale sia pressoché impossibile da realizzare con 27 Stati membri la cui maggioranza è animata da sentimenti nazionalisti – e non mi riferisco solo ai Paesi nord-orientali. La pluralità delle lingue non è il problema maggiore; il Belgio ha due lingue nazionali. In realtà, già oggi l’Unione è una Confederazione, e lo sarà irreversibilmente con il prossimo allargamento, inevitabile per gli interessi economici e geopolitici in gioco, ma anche auspicabile sul piano politico. Ed è abbastanza probabile che i vincoli comunitari continueranno ad allentarsi nella direzione da auspicata nel commento. La Confederazione, però, lascia irrisolti due problemi maggiori: l’incapacità di svolgere un ruolo politico a livello globale e il vulnus democratico determinato dal diaframma intergovernativo. Tra l’altro sarà sempre più una Confederazione governata dal Direttorio dei Paesi forti, come la recente vicenda del Patto di Stabilità ha dimostrato. L’assetto istituzionale che potrebbe dare risposta ai due problemi evocati è quello federale, tenendo conto di due questioni determinanti. La prima è che la Federazione non si può realizzare con tutti gli Stati membri, ma bisognerà cominciare a farla “con chi ci sta”. La seconda è che non saranno mai i Governi a spingere per la soluzione federativa; questa potrà diventare un obiettivo conseguibile solo se la società civile organizzata, a cominciare dai sindacati, lo farà proprio. Ma per far ciò, prima, dovrà cominciare a porsi gli interrogativi avanzati nel commento di Claudio Salone.
claudio salone il 18 Dicembre 2023 alle 10:06 Rispondi Mi pare che dall’ottimo articolo di Amato non compaia nella giusta luce la questione del modello istituzionale da dare alla futura Europa, cioè a dire se ci si avvii a creare una federazione europea o una confederazione europea. Non si tratta di nominalismo, bensì di una decisione da porre fin dal subito alle fondamenta della “nuova Europa”. Ciò eviterebbe la Babele così efficacemente descritta nell’articolo. La prima ipotesi la trovo personalmente impraticabile, data la diversità profonda di lingua e cultura all’interno dell’Europa. Non esiste a mia conoscenza uno stato federale al cui interno si parlino n lingue diverse (e si accetti come lingua comunitaria un idioma parlato in paesi extracomunitari!) e veda confluire storie spesso sanguinosamente divergenti. Piuttosto mi muoverei verso una confederazione europea, con un organismo centrale “leggero” e competenze assai minori e circoscritte rispetto alle attuali (che escluda ad esempio che il PE discuta delle buste di plastica dove mettere l’insalata), che garantisca uno “Zollverein” sempre più ampio, integrato ed efficace, ma che lasci il “core” della politica ai singoli stati nazionali, che potranno stipulare, se del caso, trattati bi-tri o quadrilaterali di più stretta integrazione all’interno della confederazione (Europa a più velocità?) Ciò comporterebbe un dimagrimento dell’elefante brussellese (50.000 il numero degli impiegati negli organismi UE, lo stesso su cui poteva contare la Città Proibita a Pechino) e una rivitalizzazione delle singole vocazioni nazionali, pur restando fermo il quadro confederale di governo.