La sera del 6 maggio una grande riproduzione de “Il Quarto stato” di Pellizza da Volpedo svetta sulla piazza della Bastiglia in festa per la vittoria di François Hollande. L’immagine campeggia sulla facciata dell’antistante teatro dell’Opera, ad annunciare una serie di spettacoli in programmazione. La presenza di questo dipinto così evocativo dell’immaginario di sinistra è, dunque, del tutto fortuita. E in effetti l’accostamento tra la cornice iconografica e l’evento che l’intera piazza celebra è tanto suggestivo quanto fuorviante.

Si sbaglierebbe, infatti, ad attribuire una connotazione provvidenzialistica all’elezione del secondo presidente socialista della Quinta repubblica. Il ritorno della gauche all’Eliseo non è né un risarcimento della storia né il compimento di un disegno imperscrutabile. E François Hollande non sembra l’uomo del destino pervaso dal carisma del capopopolo. L’esito del voto pare piuttosto il corollario di dinamiche squisitamente prosaiche, legate ai rapporti tra società e politica e alla sovrapposizione delle linee di frattura che attraversano l’una e l’altra sfera.
Hollande ha conseguito il 51,6% delle preferenze dei francesi raccogliendo più di diciotto milioni di voti e arrivando in testa in 61 dipartimenti su 101. Poco interessano comparazioni diacroniche con i suffragi ottenuti da Mitterrand nell’81 o nell’88. Poiché le dimensioni del corpo elettorale variano con il passare del tempo il confronto tra i voti assoluti ottenuti in epoche diverse non è proponibile. È invece utile osservare l’entità e la direzione dei flussi di voti tra il primo e il secondo turno, anche alla luce delle indicazioni che gli altri leader politici hanno rivolto ai propri elettorati di riferimento.
La vittoria del candidato del socialista è, intanto, correlata ad una mobilitazione popolare consistente, che risulta dalla somma algebrica di due tendenze contrapposte. Da un lato la volontà di sanzionare con un voto esplicito l’operato di Nicolas Sarkozy. Dall’altro la scelta di esprimersi per omissione, con l’astensione o lasciando bianca la scheda. La partecipazione al ballottaggio è stata infatti significativa (80,3%) e leggermente superiore a quella del primo turno (79,5%), benché molto al di sotto del dato fatto registrare in occasione del secondo turno del 2007 (84%). Le schede bianche e nulle sono però triplicate: dalle 700 mila del 22 aprile ai 2 milioni e 100 mila circa del 6 maggio. Queste cifre, l’ultima soprattutto, possono essere meglio interpretate considerando le consegne di voto dei candidati esclusi dal ballottaggio.
A sinistra il neogiacobino di sinistra Mélenchon e la verde Eva Joly hanno assicurato da subito il loro appoggio al portabandiera socialista, senza polemiche né ambiguità. Ciò era già chiaro alla vigilia del primo turno, ma nell’ultima manifestazione di piazza Stalingrad Mélenchon lo ha ribadito chiamando alla “résistence”, ossia al dovere morale e alla responsabilità di “licenziare Sarkozy” attraverso un sostegno che fungesse da “assicurazione di sinistra” per Hollande. Anche volendo artificiosamente sommare tutti i consensi che i candidati di sinistra hanno raccolto al primo turno, dal Ps ai trotzkisti, la dote elettorale di Hollande per il ballottaggio non avrebbe comunque superato quota 15 milioni e 600mila. Non sarebbe stata, dunque, sufficiente a sormontare i 16 milioni e 800mila voti che Sarkozy è riuscito ad attrarre nella sfida del 6 maggio.
Da dove viene, allora, questo differenziale di quasi due milioni e mezzo? Difficile, a questo proposito, trascurare il fatto che al centro e a destra nessuno dei candidati del primo turno, neanche il gollista Dupont Aignan, abbia dato indicazione di voto per Sarkozy. E se non stupisce molto l’appello al “voto bianco” di Marine Le Pen, interessata a destabilizzare la destra in vista delle legislative, la preferenza del centrista Bayrou per Hollande può essere stata l’ago della bilancia. Secondo le stime pubblicate da Le Monde all’indomani del secondo turno solo metà dei sostenitori di Marine Le Pen ha votato per Sarkozy (nel 2007 lo avevano fatto in 7 su 10) mentre un terzo degli elettori di Bayrou ha optato per Hollande. Ricordando il vecchio adagio secondo il quale al primo turno si vota “per” e al secondo turno si vota “contro”, il surplus di voti che ha portato all’Eliseo il leader del Ps è allora, evidentemente, la coagulazione di un dissenso strettamente antisarkozyano.
A prescindere dal ruolo più o meno preponderante giocato dal ceto politico nazionale, a pesare in maniera decisiva è stata la levata di scudi di quella parte del paese che non ha condiviso né le politiche, né lo stile presidenziale del quinquennato sarkozyano. Non ne ha condiviso le politiche chi, dal centro, ha disapprovato l’attenzione ai temi dell’identità nazionale, la stretta securitaria, l’enfasi sul controllo delle frontiere. Né chi, da destra, ha seguito con poco trasporto l’infatuazione per il cancelliere Merkel e l’adesione alle politiche europee di rigore.
E non ne ha condiviso lo stile presidenziale chi, a qualsiasi latitudine politica, ha fatto fatica a metabolizzare la personalizzazione muscolare incarnata da Sarkozy e la dissacrazione della suprema magistratura dello Stato. Questa desolennizzazione della funzione del presidente della Repubblica, divenuto una figura ipercinetica, incline all’efficientismo ma anche alle cadute di stile e al turpiloquio rusticano, ha avuto l’effetto paradossale di facilitare la vittoria di un politico tradizionale come Hollande.
Tutt’altro che il prototipo del leader muscolare, il settimo presidente della Quinta repubblica ha il profilo basso dell’outsider e dell’antieroe politico. L’investimento sulla personalizzazione non sembra essere stato il principale atout della sua candidatura. È chiaro, naturalmente, che in ogni competizione monocratica la performance personale conta. E durante il duello televisivo Hollande è sembrato molto sicuro e disinvolto, mettendo in difficoltà Sarkozy e puntellando così il proprio ethos di leader nazionale. Ma questo episodio è stato solo il coronamento della laboriosa costruzione di una credibilità presidenziale che per molti versi si è fondata sulla riscoperta dell’insegnamento mitterrandiano.
Più di qualsiasi carisma personale o di ogni legittimità conferita dall’investitura delle primarie sembra aver pesato una sorta di personalizzazione indiretta che trova la sua sorgente nella “force tranquille”. Hollande ha mosso i suoi passi nelle orme di Mitterrand, come Mitterrand lo aveva fatto nelle orme di Blum e quest’ultimo in quelle di Jaurès. Il filo rosso è, dunque, quello del radicamento in una tradizione collettiva senza la quale il carisma di nessun leader poteva funzionare
L’incontro tra questa riuscita costruzione retorica, l’efficienza organizzativa dell’apparato di campagna e un rigetto generalizzato nei confronti di Nicolas Sarkozy ha permesso ai socialisti di approfittare in pieno dell’appuntamento elettorale. Solo una netta affermazione alle legislative di giugno sarà però in grado di trasformare l’anatroccolo di questa maggioranza negativa nel cigno di una ritrovata gauche di governo, da cui la sinistra e i progressisti europei potrebbero trarre un nuovo slancio.

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