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Anche in vista di queste elezioni europee si ripresenta la consueta difficoltà di avviare un timido cenno di ricomposizione delle forze collocate alla sinistra del PD. Le rinunce rassegnate, nel costruire qualcosa di più solido entro uno spazio politico che pure è in costante movimento, si ripetono con regolarità. Altre volte era stata imboccata, con una certa inventiva organizzativa, la via che portasse almeno a una aggregazione elettorale. Ora anche questa prospettiva minimalista parrebbe sfumare. Troppe sono le divisioni, le prospettive divergenti, le letture difformi delle circostanze presenti per condividere un progetto che scavalchi la pura contingenza.

La ragione della ritirata, che si annuncia inesorabile, risiede proprio nel fatto che le intese nascono e tramontano su un terreno solo elettorale. Così appare sin troppo eclatante il divario tra simboli, talvolta molto identitari e legati a nomi senza più cose, e lo strumento adottato che rinvia alle pratiche più antiche del notabilato. Occupare uno spazio di sinistra cosiddetta radicale con il rassegnato ricorso alla sommatoria di nomi, sigle e personalità conosciute, e che parlano linguaggi eterogenei, sebbene provengano in gran parte dalla galassia della vecchia Rifondazione comunista, è un’impresa ardua.

Mettersi insieme solo per varcare la soglia di sbarramento, e poi accapigliarsi per il comportamento degli eletti che non mantengono la parola data, sono uno scoglio per ogni investimento limitato all’appuntamento elettorale. Sono i movimenti reali, la produzione continuativa di cultura politica la condizione effettiva per il lancio di un progetto non effimero e quindi credibile per la ridefinizione di una soggettività che manca. Su questo però nessuno degli spezzoni della sinistra ha davvero aperto lavori per inaugurare un percorso che avanzi con approdi verificabili.

Per certi ancestrali timori di non spuntarla nella prevedibile concorrenza interna alla coalizione elettorale per catturare le preferenze, vista la incerta struttura territoriale che caratterizza anche le formazioni che sono riuscite a mantenere qualche presenza nelle istituzioni, o per riserve più sostanziali riconducibili a talune questioni di cultura politica, le divisioni palpabili diventano incrostazioni permanenti che ostacolano ogni volontà di smuovere la palude. Accelerare le negoziazioni, per aggrapparsi alla ennesima apertura dei residuali canali della rappresentanza che rischia di sfumare, è un esercizio sterile se il tempo delle trattative non è scandito anche da un più profondo esercizio politico volto alla ridefinizione di una robusta offerta politica della sinistra.

Tutti gli appelli reiterati affinché prevalga tra i negoziatori la buona volontà restano inefficaci se percepiti dai destinatari stessi come delle esortazioni piuttosto rituali, aggrappate a un dover essere che viene agitato senza disporre di una forza di trascinamento obiettiva. Bisognerebbe avere a che fare con un progetto, con una iniziativa ricostruttiva. Su questi scenari manca una chiarezza circa gli obiettivi e i punti di riferimento identitari perseguibili. Scartata la inimitabile via tribunizia e agitatoria alla francese, nella vecchia Europa la più accreditata sinistra che resiste è quella spagnola. Sumar, timida sulla questione della guerra, vanta però una lettura moderna delle contraddizioni attuali che consente di coniugare la duttilità della cultura di governo con la capacità di garantire impostazioni radicali delle politiche pubbliche.

Con gli adattamenti ai casi specifici, con le peculiari sensibilità presenti e con le tradizioni differenti a cui attingere, il modello spagnolo al momento appare quello più consolidato per un investimento di sinistra. Senza un riferimento coerente a un progetto politico non meramente elettoralistico, anche le prove di siglare intese con motivazioni dettate dallo stato di necessità, si arenano tra veti e memorie di antiche dispute. Il rischio che su entrambi i fronti, quello dell’allestimento di una coalizione elettorale per superare l’emergenza, e quello della più ambiziosa ridefinizione di una sinistra con una forza significativa e non di pura testimonianza, si determinino fughe e chiusure è alquanto elevato. Uscire dalla situazione di stallo come esito possibile, è compito di una ripresa di effettiva iniziativa politica.

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Un commento a “La sinistra in stallo verso le Europee”

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