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Letture estive

Celebre è l’invettiva di Gadda contro i pronomi (in particolare “io”): … l’io, io!… il più lurido di tutti i pronomi!… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi… e nelle unghie, allora… ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona. Nella terza estate di guerra io, appunto, ho letto libri tutti scritti e interpretati da un “io” reale e non metaforico. Tutte storie scritte su proprie esperienze di vita anche interessanti, ma con la sensazione di tanti, troppi limiti. Gadda stesso nella Cognizione del dolore (da cui è tratta la citazione) racconta, in maniera trasfigurata, la sua esperienza in Argentina nonché elabora il lutto della morte della madre ma, a leggere quel testo, la persona Gadda quasi sparisce. In questo difficile crinale, fra trascendenza dell’io e rappresentazione del sé, sta molta della letteratura. Come ci ha fatto notare Nicola Lagioia, in un interessante dialogo con Matteo Garrone (Io capitano non piace, a livello festival, perché racconta una storia non “sua”), “Dostoevskij non ha mai ucciso nessuno; eppure, Raskolnikov è il miglior assassino di sempre”. Nella storiografia c’è una tendenza simile, nota Enzo Traverso (La tirannide dell’io. Scrivere il passato in prima persona, Laterza, 2022). Tocca così leggere un mediocre biografo che chiosa “i personaggi sono diversi da come li avresti voluti” a simboleggiare un atteggiamento proprietario ed egoriferito del passato. Questa tendenza è da ricercarsi nella “storiografia dell’età neoliberale” in cui l’individualismo diventa il punto di partenza in cui, inevitabilmente, si ricade, dentro un pozzo identitario per cui puoi parlare solo di quello che hai vissuto. Per noi la questione risiede in quella sana trascendenza: forse di quello che Brecht chiamava Verfremdungseffekt, sicuramente in quella frase (per rimanere ai classici) di Che Guevara sulla capacità di sentire “en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo”. Freddi, come siamo diventati, siamo capaci solo di vivere le “nostre” ingiustizie, di non sentire quella vox clamantis in deserto che ci urla “noi capitani” e pensare alla criminalizzazione dello scafista immaginario.

Lettura estiva

Eppure, un’eccezione c’è stata: Cronache dal dopo vita di Giovanni Iozzoli (Jack Edizioni, 2024). Giovanni è un amico (anche se non ci siamo mai visti) e, da anni, scrive e lavora come operaio nel modenese prendendo posizioni forti e degne di attenzione e rispetto da parte di noi tutti. Nel libro si ripercorre una storia fra passato e presente con uno sfondo fra noir e geopolitica. Il protagonista (che racconta in prima persona) si muove fra il fantasma di De Martino (citato e commentato fra le righe) e l’archivio diffuso di una veggente/santona. Senza entrare nella trama ci piace sottolineare quanto Iozzoli si muova nella letteratura di genere per parlare di altro. Nell’altro suo romanzo che ho letto (La vita e la morte di Perzechella, Edizioni Artestampa, 2016) utilizzava il poliziesco per raccontare la Napoli del terremoto. In questo romanzo, il panorama sono i dintorni di Napoli: “per noi che stiamo in fondo alla campagna” (citando l’unico Conte che ci piace), dove convivono camorra e magia, svincoli autostradali e poveri diavoli. Il tema è affrontato senza sconti e il personaggio si perde in una tensione perenne sempre sul punto di esplodere. Il Sud ne esce un po’ come il protagonista: un passato ingombrante, un presente mediocre, un futuro semplicemente inesistente. Non sembra esserci alcuna veggente/visione che possa riscattare il tutto.

Una possibile interpretazione

Negli stessi giorni, di svago marsicano, leggevo anche un saggio di Iozzoli, Fumo di Londra. La traccia warburghiana che inseguiamo da tempo (in cui abbiamo coinvolto anche Giovanni) ci insegna a leggere sincronicamente romanzi e saggi di uno stesso autore e scoprirvi, all’interno, risonanze carsiche. Tale compito del lettore (non dell’autore) è foriero di piacevoli scoperte e possibili chiavi di lettura. La Londra dell’estate del 2024 è molto simile alla Campania del 2014 (il presente leggermente differito del romanzo): la “hybris del liberismo” produce persone che vagano, paure che nascono, ordini (anche precari/provvisori) che non nascono. La veggente, deus ex machina di tutto il romanzo, muore nel 1989; metafora di un ordine, quello del “socialismo reale” (o anche del “sud magico”?), che comunque ha affascinato e che comunque ci trasciniamo dietro. Fantasma di fantasmi in una terra desolata, senza ordine alcuno come la Londra attuale o la Campania dell’altro ieri.

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