Articolo pubblicato su “Tranform!Italia” il 29.11.2023.
Al ballottaggio per le elezioni presidenziali del 19 novembre il libertario di estrema destra Javier Milei ha battuto il peronista centrista Sergio Massa, ministro dell’Economia in carica, di quasi il 12% (55,7% a 44,3%). Una vittoria molto netta: Milei ha vinto in quasi tutte le province argentine (20 su 24) e ha ottenuto più voti di qualunque altro presidente argentino da quando il paese è tornato alla democrazia nel 19831.
Milei è un 53enne outsider rispetto all’establishment politico argentino. È emerso come personaggio politico nel 2020; non ha alcuna esperienza politico-amministrativa e ha pochi collaboratori: la sua principale consigliera è sua sorella, soprannominata “la jefa”, la capa. Ha un piccolo partito alle spalle, La Libertad Avanza, privo di una seria organizzazione territoriale2 e che alla Camera può contare solo su 38 deputati su 257 (mentre i peronisti ne hanno 104) e al Senato solo su 7 senatori su 72 (dove la maggioranza è di nuovo peronista con 32 seggi3). Deve cercare alleanze nei partiti tradizionali, soprattutto in quello della destra tradizionale dell’ex presidente Mauricio Macri4, per creare una coalizione politica che sostenga il suo governo e per reclutare il personale tecnico-politico necessario per ricoprire le cariche governative e istituzionali. Dovrà entrare in carica il 10 dicembre avendo formato un proprio governo che dovrà presentare il budget dello Stato per il 2024 e portare avanti il suo ambizioso e controverso programma economico.
Molti sperano che l’influenza su Milei di Macri e di altri politici dell’establishment della destra tradizionale possa contribuire a moderare l’estremismo del nuovo presidente e delle sue proposte economiche più radicali (abolizione sia della moneta argentina – il peso, con la dollarizzazione dell’economia – sia della Banca centrale5). Al momento, sembra che Milei non abbia altra scelta che assecondare Macri e i suoi alleati più moderati, cambiandole, ma non è chiaro cosa potrà succedere in futuro.
Lunedì Milei è volato negli Stati Uniti dove prima ha fatto una visita alla tomba del rabbino ortodosso Menachem Mendel Schneerson, il Rebbe dei Lubavitch, nel Queens a New York, che Milei considera la sua guida spirituale (Milei dice che sta valutando di convertirsi dal cattolicesimo al giudaismo). Ha anche incontrato l’ex presidente Bill Clinton e l’inviato di Biden per l’America Latina, Christopher Dodd. Poi è andato a Washington dove ha avuto un incontro con il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan e funzionari del Dipartimento di Stato con i quali ha “parlato di quale sarà il nuovo inquadramento della nazione argentina all’interno delle nazioni che rispettano la libertà”. Altri contatti con funzionari del Dipartimento del Tesoro e del Fondo Monetario Internazionale sono stati tenuti da un ristretto gruppo di collaboratori (al viaggio hanno partecipato, tra gli altri, Luis Caputo, che dovrebbe essere il nuovo ministro dell’Economia, e Gerardo Werthein, imprenditore ed ex presidente del Comitato Olimpico argentino che dovrebbe essere l’ambasciatore di Milei negli Stati Uniti). Milei è una figura sconosciuta a Washington e i suoi piani per la dollarizzazione e la chiusura della Banca Centrale hanno causato una certa sfiducia non solo al FMI ma anche al Tesoro e a Wall Street. Il sostegno degli Stati Uniti è vitale per qualsiasi negoziato con il FMI ed è probabile che i funzionari statunitensi abbiano voluto sentire le posizioni di Milei in materia di difesa della democrazia e dei diritti umani visto che si è dichiarato sostenitore di Donald Trump e Jair Bolsonaro, due figure avversate dall’amministrazione Biden. Gli avranno anche fatto notare che per la Casa Bianca, il riscaldamento globale e gli obiettivi dell’energia pulita – due questioni che Milei ha sempre minimizzato6 – sono questioni importanti per gli Stati Uniti.
Il fenomeno Milei
L’ascesa politica di Milei è stata rapidissima. Era stato eletto deputato nel novembre 2021 (con il 16,5% dei voti a Buenos Aires), dopo una lunga carriera da economista (consulente del miliardario argentino Eduardo Eurnekian, proprietario di Corporación América, e di Antonio Domingo Bussi, generale di Videla successivamente condannato per crimini contro l’umanità) e da onnipresente ospite dei talk show televisivi (dal 2016) in cui, nella veste di una sorta di clown mediatico, che apparentemente nessuno prendeva sul serio, esponeva le sue controverse opinioni come il rifiuto di farsi vaccinare contro il Covid-19 e il negazionismo sul surriscaldamento climatico. È conosciuto soprattutto per le sue qualità stravaganti: i quattro mastini clonati, che prendono il nome da economisti neoliberisti come Milton Friedman, Murray Rothbard e Robert Lucas, ai quali presumibilmente Milei si ispira7; il suo passato da portiere di calcio, da frontman di una cover band dei Rolling Stones e da “allenatore del sesso tantrico”; e il suo appello a privatizzare e immettere sul mercato letteralmente tutto ciò che ha valore sociale (compresi organi umani e bambini, in contrapposizione all’attuale sistema di donazione e adozione regolato dallo Stato), oltre a liberalizzare la vendita di droghe e armi da fuoco. Durante la campagna elettorale si è presentato sul palco con una iconica motosega – la cui violenza richiama l’immaginario dell’estrema destra globale – e lo slogan “¡Que se vayan todos!”, mutuato dalla crisi del 2001, per indicare la sua volontà di distruggere la presenza dello Stato nell’economia e il potere della “casta peronista”. Ha anche espresso apprezzamento per Margaret Thatcher (persona considerata non grata in Argentina per la guerra delle Malvinas/Falklands), definendola “uno dei grandi leader della storia dell’umanità”. Prima di essere eletto, Milei ha attaccato virulentemente Papa Francesco, definendolo un “gesuita che promuove il comunismo”, e addirittura il “rappresentante del maligno [il Diavolo] sulla Terra” per aver promosso la dottrina della “giustizia sociale” per aiutare i meno privilegiati, dichiarazioni che hanno causato attriti con la Chiesa cattolica locale e il Vaticano8.
Al tempo stesso, Milei è un fenomeno profondamente argentino. Ciò potrebbe essere meno ovvio in un paese caratterizzato dalla fissazione dei prezzi, dal controllo dei movimenti dei capitali e da un’elevata densità sindacale – tutto ciò contro cui si oppone – ma Milei sta attingendo a una gran parte della storia nazionale caratterizzata dal liberismo (in particolare, quello associato alla maggior parte dei colpi di Stato e dittature del paese – 1930, 1943, 1955, 1962, 1966 e 1976 nel XX secolo), promuovendo la sua versione di come “Fare di nuovo Grande l’Argentina”9.
Lo storico argentino Ezequiel Adamovsky sostiene che il neoliberismo autoritario proposto da Milei è una versione “radicale” del liberismo che è sempre stata presente in forme diverse nel corso della storia argentina e che fa leva su un “individualismo autoritario” che esalta il successo economico individuale ed esprime un’aperta animosità e ostilità verso qualsiasi progetto di vita che non sia inquadrato negli obiettivi dell’accumulazione capitalistica. Milei vuole trasformare l’Argentina in un paradiso libertario dove l’efficienza capitalista sostituisce l’assistenza sociale, le tasse sono ridotte al minimo e gli individui a corto di soldi possono vendere i propri organi nel libero mercato. Adamovsky ritiene che “la vera novità del momento attuale sembra essere che questo impulso autoritario e aggressivo sembra provenire sia dal basso che dall’alto. Vediamo nella società argentina espressioni sempre più forti di animosità e risentimento tra vicini e gente comune. Questa dinamica è particolarmente palpabile tra coloro che si sentono ‘convalidati’ dal mercato e coloro i cui ‘fallimenti’ li hanno portati a fare affidamento sui sussidi statali”.
Le enormi dimensioni della crisi economico-finanziaria e sociale
L’Argentina è un grande paese di 45 milioni di abitanti che fa parte del G20 ed è la seconda economia del Sud America (al 90% basata su produzioni agroindustriali). Ma oggi si trova nel mezzo di una tempesta perfetta, una crisi economico-finanziaria iniziata otto anni fa con il governo di destra di Mauricio Macri (2015-2019) e poi proseguita e peggiorata con il governo peronista di Alberto Fernández (2020-2023)10. Un’inflazione ad oltre il 10% al mese, ossia intorno al 140% all’anno (nel 2015 era al 10%), con salari e stipendi che non tengono il passo11. Un debito pubblico che si aggira intorno ai $ 419 miliardi. Il 40% della popolazione vive sotto la soglia della povertà (nel 2015 era il 7%) e dipende da sussidi e welfare pubblico per le prime necessità e i beni di largo consumo, come elettricità, trasporti e carburante per le auto. La fame e i senzatetto sono in aumento. Una grave siccità durata tre anni ha privato il paese di quasi un quarto dei proventi delle esportazioni di cereali (grano e mais), soia12, agrumi e carne che normalmente riceve (il Governo ha stimato una perdita di $ 23 miliardi). Inoltre, l’eredità della pandemia ha lasciato ferite profonde a livello soggettivo. Le misure di quarantena in Argentina sono state molto severe e questo tipo di intervento statale dalla mano pesante ha lasciato un’impressione sfavorevole nella mente delle persone.
Dagli anni ’60 del secolo scorso in poi l’Argentina ha vissuto in una costante instabilità politica, in cui si sono susseguiti una serie di governi (o in certi casi di dittature) che ciclicamente hanno ribaltato del tutto la politica economica argentina. Ci sono stati periodi di generosissime ed economicamente insostenibili politiche sociali, a cui poi sono seguite fasi di rigida austerità e di forte riduzione della spesa pubblica. Periodi ciclici che gli argentini racchiudono nella formula illusione-disincanto e dai quali la maggior parte dei governi sono usciti tutt’altro che indenni. Nei decenni i governi che hanno finanziato gli ingenti piani sociali accumulando un enorme debito pubblico lo hanno finanziato soprattutto grazie alla collaborazione della Banca centrale, che ha stampato moneta proprio con questo fine. Una politica di “monetizzazione del debito” – una pratica nota localmente come la “piccola macchina” – che è stata progressivamente abbandonata nei paesi delle economie avanzate (con l’indipendenza della Banca centrale dal ministero del Tesoro) per tutte le distorsioni che comporta, tra cui un’altissima probabilità di creare inflazione13.
La vittoria di Milei, con le sue proposte economiche radicali, va vista in questo contesto: molti argentini hanno perso fiducia nel fatto che le misure economiche offerte dai partiti tradizionali – peronismo e destra moderata – possano risolvere questi problemi di lungo corso e hanno dunque visto come allettanti proposte come la dollarizzazione dell’economia14.
La dollarizzazione prospettata da Milei consentirebbe di ottenere tre obiettivi che dal suo punto di vista sono auspicabili:
– si fermerebbe istantaneamente la crescita dei prezzi, perché il dollaro americano non subisce la stessa inflazione del peso argentino, moneta molto debole e storicamente instabile;
– semplificherebbe notevolmente la vita degli argentini, perché renderebbe ufficiale la valuta che spesso oggi è ottenuta in modo clandestino; con la dollarizzazione gli stipendi verrebbero pagati in dollari e gli argentini li riceverebbero dunque dai canali ufficiali;
– con la dollarizzazione verrebbe tolto qualsiasi potere alla Banca centrale argentina (definita da Milei “la peggior schifezza mai esistita sulla terra”), che in questo modo non potrebbe più stampare moneta perché il dollaro americano viene stampato solo dalla Federal Reserve (FED) degli Stati Uniti.
Un enorme ostacolo politico è che abbandonare la Banca Centrale e rendere il dollaro statunitense a corso legale richiederebbe l’approvazione del Congresso argentino dove Milei non ha una maggioranza, e potrebbe persino richiedere la modifica della costituzione. Inoltre, la maggior parte degli esperti riconosce che non solo questa politica non è concretamente attuabile nel breve termine, ma che non risolverebbe affatto i problemi del paese. Innanzitutto, la dollarizzazione richiederebbe una quantità di dollari (tra i 35 e i 50 miliardi) di cui l’Argentina, già fortemente indebitata, non dispone e non può avere in prestito nell’immediato (non ha un credit rating). Attualmente, l’Argentina non riesce neanche a ripagare gli interessi sul proprio debito ($ 44 miliardi) in dollari nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, il suo principale creditore15. Ma l’economista Emilio Ocampo, consulente di Milei, sostiene che la carenza di dollari è più apparente che reale perché è già in atto una “dollarizzazione spontanea”, con gli argentini che hanno più di $ 200 miliardi in banconote nascoste nelle cassette di sicurezza delle banche o a casa “sotto il materasso”.
L’abolizione della Banca centrale eliminerebbe la possibilità di usare la politica monetaria per stabilizzare l’economia quando ce n’è bisogno (come quando si aumentano i tassi di interesse per combattere l’inflazione). L’Argentina sarebbe dipendente dalla politica monetaria degli Stati Uniti e si alimenterebbe il tossico legame del paese con il dollaro, che è da sempre un grosso problema per la maggior parte dei paesi emergenti/poveri e un grosso ostacolo allo sviluppo. L’imposizione di una valuta forte, come il dollaro statunitense, a un’economia debole e sull’orlo del default, come quella Argentina, creerebbe una serie di distorsioni che finirebbero solo per danneggiare ulteriormente il sistema economico. L’economia argentina sarebbe più vulnerabile agli shock esterni che coinvolgono il dollaro statunitense, ad esempio improvvisi aumenti dei prezzi delle importazioni di petrolio e carburante, che potrebbero rendere gli aggiustamenti interni ancora più dolorosi nel paese.
La ricetta economica di Milei per risolvere la crisi argentina contempla anche una “terapia d’urto” con ampie privatizzazioni dell’industria di Stato e dei servizi pubblici (compresi energia, trasporti e comunicazioni), liberalizzazioni, eliminazione dei controlli valutari e dei limiti all’esportazione di cereali e carne, e taglio a bilancio dello Stato, ministeri16 e dazi all’importazione. Sebbene venerdì scorso Milei abbia affermato che la chiusura della Banca centrale è “non negoziabile”, prima di tutto servirà un programma di stabilizzazione dell’economia. Incontrando i rappresentanti delle banche Caputo ha detto che affrontare con forza l’inflazione è una priorità assoluta, anche se non ha fornito dettagli su come il futuro governo intende contenere i prezzi. Ridurre drasticamente il deficit fiscale significherà smettere di fare lavori pubblici, di investire in istruzione e sanità pubbliche, di erogare sussidi sociali e, se i soldi non bastano, dover vendere aziende statali.
Quello che appare chiaro è che ora, finita la campagna elettorale e dovendo governare, Milei deve confrontarsi con la realtà e assumere un approccio quanto meno graduale e pragmatico nel costruire un programma di governo e trattare le questioni economiche e sociali (una sorta di revival del menemismo o un “macrismo 2.0”?). Probabilmente Milei nel breve/medio periodo (almeno fino alle elezioni parlamentari di medio termine del 2025) concentrerà la sua attenzione sulla riduzione del peso economico dello Stato, con l’obiettivo di raggiungere il pareggio del bilancio fiscale attraverso il taglio dei sussidi dei programmi antipovertà e delle pensioni (quindi colpendo milioni di famiglie già povere) e dei dipendenti pubblici, e con una campagna di privatizzazioni: dalla TV pubblica alla compagnia aerea Aerolineas Argentinas (AA) e alla compagnia petrolifera YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales, controllata dallo Stato al 51%) che, come la compagnia aerea AA, era stata rinazionalizzata dal governo argentino dell’allora presidente Cristina Fernandez de Kirchner, togliendola al controllo della spagnola Repsol nel 201217. È assai probabile che allo scontento e alle proteste di piazza delle vittime delle sue politiche economiche e sociali (lavoratori, poveri, sindacati, associazioni, peronisti, sinistra) risponderà con la politica repressiva della “mano dura”. Il rischio reale è che l’Argentina crolli a seguito del tentativo di Milei di trasformare radicalmente l’economia, con uno scenario oscuro caratterizzato da un massiccio disordine sociale, scioperi nazionali da parte dei sindacati, potenziale violenza politica e pressioni contro le istituzioni democratiche.
Milei aveva anche annunciato l’intenzione di bloccare l’ingresso argentino nei BRICS Plus, previsto a partire dal prossimo primo gennaio. Si propone di “lavorare fianco a fianco con tutte le nazioni del mondo libero per contribuire a costruire un mondo migliore“, sostenendo di “non voler stringere patti con i comunisti“, il che è stato letto come l’intendimento di rompere i legami con la Cina (destinataria dell’8,6% delle esportazioni del paese, oltre che il secondo acquirente dei prodotti argentini nel mondo dopo il Brasile e con importanti rapporti finanziari con Buenos Aires18), e assumendo come potenze di riferimento Stati Uniti e Israele19. Alcuni giorni dopo le elezioni, tuttavia, sembrano esserci chiari segnali che non è prevista alcuna rottura importante nei rapporti con Cina e Brasile (né con altri paesi con governi di sinistra come Colombia, Cile e Messico). Milei ha ricevuto una lettera personale di “congratulazioni e auguri” dal presidente cinese Xi Jinping e lo stesso Milei ha voluto ringraziare Xi sui social media. Anche la scelta di Milei per il ministro degli Esteri, Diana Mondino, ha respinto come “assurdità” qualsiasi suggerimento che ci sarebbe stata una rottura nelle “relazioni commerciali” con Cina o Brasile20.
Il tramonto del “progetto kirchnerista”
Quando l’esercito argentino governava il paese (1976-1983), il FMI prestò generosamente denaro, facendo lievitare il debito del paese dai $ 7 miliardi nel momento in cui l’esercito prese il potere a $ 42 miliardi quando l’esercito fu deposto. Chiaramente, la fornitura di fondi da parte del FMI alla giunta militare argentina mise in moto il terribile ciclo di debito e disperazione che continua fino ad oggi. Con il ritorno alla democrazia, dopo la presidenza di Raul Alfonsin (con la coalizione centrista Unión Civica Radical), arrivò al potere il peronista di destra Carlos Saúl Menem, che fu presidente tra il 1989 e il 1999 e che è generalmente accusato di aver portato l’Argentina alla grande crisi del 2001/2002, che provocò il collasso dell’economia gettando nella povertà milioni di argentini. Menem diede vita al menemismo. Sebbene durante la sua campagna elettorale avesse promesso di rilanciare l’industria nazionale e aumentare i salari, cambiò rotta mentre era in carica e tentò di portare a termine ciò che la dittatura aveva iniziato: privatizzare le aziende pubbliche (la compagnia petrolifera YPF, la compagnia aerea Aerolineas Argentina, etc.), smantellare gli ultimi resti dello stato sociale e ricostruire l’Argentina sull’immagine del Washington Consensus. Il neoliberista Domingo Cavallo, il ministro dell’Economia, ancorò il valore del peso a quello del dollaro, riuscendo a far scendere l’inflazione, ma creando anche le condizioni per un disastro finanziario, economico e sociale21. Durante gli anni ’90 la povertà divenne endemica, la disoccupazione aumentò e l’economia informale si espanse. Tali problemi furono aggravati dalla gravissima crisi finanziaria nel 2001 che investì il peso.
Tuttavia, quando il peronista Nestor Kirchner vinse le elezioni nazionali nel 2003, l’economia cominciò a vedere i benefici del boom globale delle materie prime. Seguì un periodo di relativa prosperità, con politiche di welfare più forti e standard di vita più elevati. La moglie Cristina Fernández de Kirchner è succeduta a Kirchner nel 2007 e ha mantenuto queste disposizioni socialdemocratiche, vincendo la rielezione nel 2011 con oltre il 54% dei voti. Con loro, in meno di 5 anni, anche grazie ai crescenti prezzi sul mercato mondiale delle materie prime agricole (soia, grano e carne), l’Argentina aveva recuperato il PIL perduto, ricostituito la base industriale, riportato al lavoro oltre 6 milioni di persone e ridotto il rapporto debito/PIL dal 120% al 40%, mantenendo però l’inflazione al 20% per via del finanziamento del deficit e della scala mobile che indicizzava i salari al 100% dell’aumento dei prezzi. Dal 2012 il crollo dei prezzi delle materie prime agricole ha ridotto il valore delle esportazioni e gli introiti derivanti dalla loro tassazione (l’export di soia era tassato al 35%, quello di mais al 20% e quello di grano al 23%), e reso difficile l’afflusso di valuta forte per le crescenti importazioni ed il risparmio della ri-nascente classe media.
Oggi, quello a cui stiamo assistendo è l’esaurimento del “progetto kirchnerista” all’interno del peronismo, cioè del movimento politico associato ai coniugi Néstor e Cristina Fernández de Kirchner, che ha perseguito il ritorno all’idea di uno Stato forte e presente, di aziende nazionalizzate e di garanzie di aiuti economici e sociali ai più vulnerabili. Quel progetto di stampo socialdemocratico suscitò grande entusiasmo e dominò la politica argentina nei primi due decenni del XXI secolo. Il kirchnerismo riuscì a mettere insieme gli affollati sobborghi intorno a Buenos Aires, dove coloro che avevano lavori a basso reddito vivevano insieme ai lavoratori informali, con un settore strategico della classe media che aveva beneficiato del boom delle materie prime. L’istruzione universitaria gratuita e l’assegno universale per i figli sono state tra le principali conquiste.
La gente riponeva molta speranza in quel movimento, con i suoi slogan progressisti come “la patria es el otro” (la patria sono gli altri), che aveva promesso di rimodellare la patria in una direzione progressista. Così, negli ultimi due decenni l’Argentina è diventata un paese dove hanno fatto enormi passi avanti i diritti umani e civili, le richieste collettive delle femministe, del movimento LGBTQI+, degli antirazzisti o dei sindacati. Di recente, ci sono stati cambiamenti molto drammatici nella posizione dello Stato argentino sulle questioni di genere e sulle minoranze LGBTQI+. Negli ultimi anni, l’Argentina ha visto l’emergere di un movimento femminista molto potente (la “marea verde”) la cui intensa presenza pubblica ha portato il governo a legalizzare l’aborto prima delle 14 settimane nel 202022. Allo stesso tempo, lo Stato ha annunciato un cambio di paradigma nella sua politica verso i diritti LGBTQI+, legalizzando, tra le altre cose, il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2010 e creando quote di lavoro per le persone transgender nel 2021. Lo Stato ha anche compiuto progressi in termini di legislazione antirazzista per proteggere i diritti di coloro che sono spesso discriminati razzialmente dalla società argentina: popolazioni indigene (Mapuche), persone di colore e altri. Tradizionalmente i movimenti sociali hanno mantenuto una forte capacità di influenzare l’agenda pubblica, soprattutto attraverso la politica della protesta nelle strade, ma i nuovi movimenti per i diritti civili (spesso guidati da esponenti della sinistra politica) hanno avuto difficoltà a tradurre la loro influenza in vittorie elettorali e nella ricomposizione della leadership peronista (con la quale hanno deciso di allearsi, ma dalla quale sono stati fagocitati23).
Lo stesso “progetto kichnerista” ha via via esaurito la sua forza24 e la prova è che questa ultima competizione presidenziale è stata la terza elezione consecutiva in cui i kirchneristi non sono stati in grado di presentare un candidato di loro scelta. Probabilmente ora il kirchnerismo verrà riassorbito nell’ombrello più ampio del peronismo, che è una formazione molto più eterogenea del kirchnerismo. Il movimento conta ancora alcune figure forti, come Axel Kicillof rieletto governatore della provincia di Buenos Aires (fortemente sostenuto da Cristina Kirchner), dove vivono oltre 16,6 milioni dei 45 milioni del paese25. Ma la leadership kirchnerista, impersonata da Cristina, sembra disintegrarsi e riassorbirsi nel Partito Giustizialista (il partito peronista). Nessuno sa dove questo lascia il numero considerevole di elettori kirchneristi che desiderano cambiamenti più profondi di quelli che il peronismo può offrire.
Il fallimento del “progetto kirchnerista” sembra aver rafforzato l’unica altra alternativa a disposizione, ovvero l’idea che non esiste altro che l’interesse individuale e che ognuno deve battersi da solo per sé stesso per sviluppare il proprio progetto di vita senza essere disturbato dagli altri.
In Argentina, come altrove nel mondo occidentale, è emersa una nuova soggettività, che Adamovsky chiama “individualismo autoritario” e che nel mio libro ho incluso come una delle manifestazioni del “suprematismo bianco”, secondo cui gli individui credono di avere il diritto di difendere il proprio spazio vitale dai vicini, che percepiscono come una minaccia, con un fucile automatico in mano se necessario. E cercano figure autoritarie come Donald Trump, Jair Bolsonaro, Giorgia Meloni o Javier Milei, che promettono di ripristinare quello spazio personale usando la violenza e andando oltre la legge, se necessario.
I sostenitori di Milei
Secondo gli osservatori, la vittoria di Milei alle elezione segnala che esiste un nucleo di elettori “ideologici” di Milei, convinti del suo programma di estremo neoliberismo autoritario. C’è anche un altro settore, come le forze militari e di sicurezza, che hanno votato a stragrande maggioranza per Milei perché garantiti dalla scelta dell’avvocato noto per essere figlia di un militare attivo durante la dittatura al potere tra il ’76 e l’83, Victoria Villarruel, come sua vice, e che vogliono dare libero sfogo alla violenza statale26. Ma ce ne sono altri che sono semplicemente antiperonisti, cioè persone che detestano il peronismo e voterebbero letteralmente per qualsiasi cosa si opponga a questo movimento politico. Altri sono soltanto frustrati e stufi della sistematica incapacità ultra decennale della classe politica argentina (vista come il “sistema”) di affrontare la crisi economico-finanziaria, il malgoverno, le inefficienze e la corruzione di politici27, magistrati, leader sociali e imprenditori che hanno lasciato briglia sciolta a evasione fiscale e fuga di capitali28. Tra loro c’è una parte importante di elettori delle classi subalterne che tradizionalmente sostengono il peronismo, ma che questa volta hanno votato per Milei. Secondo gli analisti Milei avrebbe ricevuto un ampio sostegno dalla fascia più povera della società e da quella più giovane29. Alcuni di questi elettori meno ideologici potrebbero diventare disincantati mentre il suo governo porta al disastro – cosa che senza dubbio accadrà se manterrà alcune delle promesse economiche più radicali. Ma è importante sottolineare il fatto che molti di quegli elettori un tempo non ideologici si sono spostati verso la destra autoritaria, e che quella parte dell’elettorato sarà presente nel breve e medio termine.
Milei ha anche cavalcato la reazione negativa e la profonda ostilità di parte della società argentina (machista e patriarcale) nei confronti del femminismo e di tutte le rivendicazioni di genere. Per Milei, la questione di genere è di per sé un abominio totale. Si nasconde dietro la tipica idea liberale secondo cui ciò che si fa a porte chiuse sono affari propri. Ma è ovviamente una visione molto omofobica perché nega il diritto alla visibilità pubblica. Per Milei, la questione centrale è che a nessun gruppo collettivo dovrebbe essere consentito avanzare pretese nei confronti del pubblico in modi che possano interferire con il regolare funzionamento del mercato. In questo senso, le opinioni di Milei sono completamente compatibili con quelle dei conservatori più reazionari30.
L’opposizione che verrà
Gli argentini hanno voluto punire il Governo peronista in carica di Alberto Fernández – e i quasi due decenni della versione kirchnerista del peronismo. La gente ha votato contro lo status quo perché vuole che il Paese ritorni “sulla strada giusta”. Non ha votato per sostenere tutti gli esperimenti economici radicali per i quali Milei si è battuto e che non sono stati tentati da nessun’altra parte. Dopotutto, al primo turno, Milei ha ricevuto meno del 30% dei voti. Poiché gli manca una maggioranza effettiva nella legislatura, Milei dovrà dimostrare di poter essere un giocatore di squadra e un costruttore di consenso se vuole evitare che la nave affondi ulteriormente sotto il suo controllo.
Lo status quo in Argentina è insostenibile. Milei non può permettersi di limitarsi a riforme annacquate. Abolire la Banca Centrale e procedere con la dollarizzazione non sarà possibile. Ma tagliare i sussidi governativi e ridurre il numero dei lavoratori del settore pubblico è fattibile, a condizione che si riesca a mettere insieme il sostegno politico necessario al Congresso. I voti più probabili saranno tra i deputati di centrodestra del partito di Mauricio Macri, del Partito radicale e forse anche di alcuni membri dell’ala destra del partito peronista.
Per raggiungere l’obiettivo di formare una maggioranza legislativa, Milei dovrà mantenere il sostegno popolare. La sua luna di miele sarà breve. Gli argentini approveranno Milei se vedranno prove che il Paese si sta muovendo nella giusta direzione. Se Milei continua con la sua strategia elettorale e polarizza l’elettorato parlando di argentini buoni e cattivi, i moderati inizieranno a respingerlo. Per avere successo, Milei dovrebbe mettere da parte la motosega e capire che gli argentini lo hanno eletto non perché credevano veramente nel suo programma economico, ma perché pensavano che lo status quo in carica fosse insostenibile. Sarà necessario un approccio misurato e calcolato.
In realtà, il futuro di Milei e del suo governo dipenderà soprattutto dal chiarimento interno al movimento peronista che rimane la prima forza parlamentare e per capacità di mobilitazione popolare, dalla sua capacità di arrivare ad un accordo sul significato del peronismo nel 21° secolo, ovvero sulla necessità della sua reinvenzione in un nuovo contesto politico-culturale caratterizzato da una potenziale ondata reazionaria. Negli ultimi quattro anni due posizioni interne si sono scontrate duramente su come poter ridurre l’inflazione e stimolare la crescita: da un lato, Fernandez (con il tecnocrate centrista Sergio Massa) era più desideroso di ridurre la spesa pubblica e migliorare le condizioni per gli investitori internazionali, dall’altro i kichneristi volevano mantenere vivo l’assistenzialismo attraverso una tassazione più progressiva.
Mentre Perón era riuscito a incorporare la classe operaia nello Stato e ad approvare politiche redistributive, i suoi successori peronisti non hanno avuto tale successo. Dal 2011, l’assenza di un motore di crescita economica li ha privati di un programma riformista praticabile. Nonostante la speranza inizialmente ispirata dal kirchnerismo, i peronisti non sono riusciti a sanare le divisioni strutturali dell’Argentina – tra settori economici altamente integrati nei mercati globali e industrie/attività informali dove i lavoratori lottano per sopravvivere anche come “imprenditori di sé stessi”. Secondo i dati più recenti del Ministero del Lavoro, oltre il 27% dei lavoratori sono lavoratori autonomi. Nella seconda metà di quest’anno, secondo l’Indec (l’Istat argentino), solo il 9,9% dei giovani fino a 29 anni aveva un lavoro formale. Il movimento peronista non si è fatto carico della rappresentanza politica di questi settori precari del mondo del lavoro e della società argentina, abbandonandoli quindi alle lusinghe dell’estrema destra.
Milei ha vinto le elezioni capitalizzando la delusione nei confronti del kirchnerismo. Ma anche Milei e la destra tradizionale con cui si è alleato faranno fatica a costruire una maggioranza politica stabile, poiché la loro visione ideologica si fonda sulla convinzione di lunga data che i problemi dell’Argentina saranno risolti e che, una volta che avrà rotto con il peronismo, diventerà finalmente una tipica nazione sviluppata. Questa convinzione, che ha guidato i colpi di Stato degli anni ’50 e ’70, significa che la destra argentina è sempre stata priva di un progetto politico distintivo.
In questo senso, nessuna delle due principali forze politiche argentine è in grado di presentare una visione egemonica. Ai peronisti kirchneristi manca una diagnosi unitaria dei problemi del Paese, mentre i macristi si aggrappano a un approccio palesemente sbagliato.
È stata questa paralisi che ha creato un’apertura affinché un outsider come Milei potesse presentare una soluzione radicale. Il programma di Milei è simile a quello di Bolsonaro in Brasile. Presentandosi come un outsider, incolpa l’espansione della spesa pubblica e la forza dei sindacati – insieme ai costumi culturali liberali – per i mali che affliggono l’Argentina. La sua soluzione è abolire la Banca centrale, eliminare ogni regolamentazione del mercato, sostenere la repressione statale e promuovere la famiglia tradizionale (per esempio, vietando l’aborto e restringendo i diritti delle donne).
Dopo quarant’anni di democrazia, le persone sono frustrate nei confronti della classe politica tradizionale e molto preoccupate per il futuro – una combinazione che l’estrema destra ha sfruttato per arrivare al potere ottenendo la legittimazione e il sostegno da parte della destra tradizionale. Il paese avrà bisogno di sindacati, movimenti sociali e di una sinistra attiva e resiliente per contrastarla. La storia argentina è costellata di numerosi esempi di resistenza e, sebbene la società sia molto cambiata negli ultimi anni, non è detto che forme di resistenza e rivolta popolare non possano riapparire con forza, anche in assenza di strutture organizzative adeguate31.
Myriam Bregman, avversaria di Milei al primo turno delle presidenziali, dove correva col trotskista Frente de Izquierda, ha espresso il suo pensiero riguardo al nuovo presidente, il quale: “usando la demagogia ha vinto il voto popolare, contrapponendosi a un governo dove i ricchi si sono arricchiti a discapito di lavoratori e lavoratrici” e ha ricordato che il neopresidente si troverà a operare “senza governatori locali né maggioranza parlamentare con ampi settori sociali contrari alle sue proposte. Saremo in piazza di fronte a ogni attacco, perché la ‘libertà’ di cui parla è la libertà di sfruttare senza limiti”.
“L’Argentina ha perso sovranità, potere economico e quello che abbiamo di fronte sarà ancora peggiore: verranno per il litio32, per il petrolio, per un sacco di risorse che abbiamo e di cui dovremmo prenderci cura. Prepariamoci a scendere in strada ogni giorno”, sostiene Nora Cortiñas, una delle mamme e nonne di Plaza de Mayo. “Mi fa paura perché non basteranno 20 anni per rifare tutte le cose che distruggeranno, se rispetteranno quello che hanno promesso: privatizzazioni, apertura delle importazioni, indottrinamento nelle scuole… Bisogna parlare con i giovani, organizzare delle campagne per reagire”.
Note
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Nome *
Email *
Sito web
Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento.