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Articolo pubblicato su “Tranform!Italia” il 29.11.2023.

Al ballottaggio per le elezioni presidenziali del 19 novembre il libertario di estrema destra Javier Milei ha battuto il peronista centrista Sergio Massa, ministro dell’Economia in carica, di quasi il 12% (55,7% a 44,3%). Una vittoria molto netta: Milei ha vinto in quasi tutte le province argentine (20 su 24) e ha ottenuto più voti di qualunque altro presidente argentino da quando il paese è tornato alla democrazia nel 19831.

Milei è un 53enne outsider rispetto all’establishment politico argentino. È emerso come personaggio politico nel 2020; non ha alcuna esperienza politico-amministrativa e ha pochi collaboratori: la sua principale consigliera è sua sorella, soprannominata “la jefa”, la capa. Ha un piccolo partito alle spalle, La Libertad Avanza, privo di una seria organizzazione territoriale2 e che alla Camera può contare solo su 38 deputati su 257 (mentre i peronisti ne hanno 104) e al Senato solo su 7 senatori su 72 (dove la maggioranza è di nuovo peronista con 32 seggi3). Deve cercare alleanze nei partiti tradizionali, soprattutto in quello della destra tradizionale dell’ex presidente Mauricio Macri4, per creare una coalizione politica che sostenga il suo governo e per reclutare il personale tecnico-politico necessario per ricoprire le cariche governative e istituzionali. Dovrà entrare in carica il 10 dicembre avendo formato un proprio governo che dovrà presentare il budget dello Stato per il 2024 e portare avanti il suo ambizioso e controverso programma economico.

Molti sperano che l’influenza su Milei di Macri e di altri politici dell’establishment della destra tradizionale possa contribuire a moderare l’estremismo del nuovo presidente e delle sue proposte economiche più radicali (abolizione sia della moneta argentina – il peso, con la dollarizzazione dell’economia – sia della Banca centrale5). Al momento, sembra che Milei non abbia altra scelta che assecondare Macri e i suoi alleati più moderati, cambiandole, ma non è chiaro cosa potrà succedere in futuro.

Lunedì Milei è volato negli Stati Uniti dove prima ha fatto una visita alla tomba del rabbino ortodosso Menachem Mendel Schneerson, il Rebbe dei Lubavitch, nel Queens a New York, che Milei considera la sua guida spirituale (Milei dice che sta valutando di convertirsi dal cattolicesimo al giudaismo). Ha anche incontrato l’ex presidente Bill Clinton e l’inviato di Biden per l’America Latina, Christopher Dodd. Poi è andato a Washington dove ha avuto un incontro con il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan e funzionari del Dipartimento di Stato con i quali ha “parlato di quale sarà il nuovo inquadramento della nazione argentina all’interno delle nazioni che rispettano la libertà”. Altri contatti con funzionari del Dipartimento del Tesoro e del Fondo Monetario Internazionale sono stati tenuti da un ristretto gruppo di collaboratori (al viaggio hanno partecipato, tra gli altri, Luis Caputo, che dovrebbe essere il nuovo ministro dell’Economia, e Gerardo Werthein, imprenditore ed ex presidente del Comitato Olimpico argentino che dovrebbe essere l’ambasciatore di Milei negli Stati Uniti). Milei è una figura sconosciuta a Washington e i suoi piani per la dollarizzazione e la chiusura della Banca Centrale hanno causato una certa sfiducia non solo al FMI ma anche al Tesoro e a Wall Street. Il sostegno degli Stati Uniti è vitale per qualsiasi negoziato con il FMI ed è probabile che i funzionari statunitensi abbiano voluto sentire le posizioni di Milei in materia di difesa della democrazia e dei diritti umani visto che si è dichiarato sostenitore di Donald Trump e Jair Bolsonaro, due figure avversate dall’amministrazione Biden. Gli avranno anche fatto notare che per la Casa Bianca, il riscaldamento globale e gli obiettivi dell’energia pulita – due questioni che Milei ha sempre minimizzato6 – sono questioni importanti per gli Stati Uniti.

Il fenomeno Milei

L’ascesa politica di Milei è stata rapidissima. Era stato eletto deputato nel novembre 2021 (con il 16,5% dei voti a Buenos Aires), dopo una lunga carriera da economista (consulente del miliardario argentino Eduardo Eurnekian, proprietario di Corporación América, e di Antonio Domingo Bussi, generale di Videla successivamente condannato per crimini contro l’umanità) e da onnipresente ospite dei talk show televisivi (dal 2016) in cui, nella veste di una sorta di clown mediatico, che apparentemente nessuno prendeva sul serio, esponeva le sue controverse opinioni come il rifiuto di farsi vaccinare contro il Covid-19 e il negazionismo sul surriscaldamento climatico. È conosciuto soprattutto per le sue qualità stravaganti: i quattro mastini clonati, che prendono il nome da economisti neoliberisti come Milton Friedman, Murray Rothbard e Robert Lucas, ai quali presumibilmente Milei si ispira7; il suo passato da portiere di calcio, da frontman di una cover band dei Rolling Stones e da “allenatore del sesso tantrico”; e il suo appello a privatizzare e immettere sul mercato letteralmente tutto ciò che ha valore sociale (compresi organi umani e bambini, in contrapposizione all’attuale sistema di donazione e adozione regolato dallo Stato), oltre a liberalizzare la vendita di droghe e armi da fuoco. Durante la campagna elettorale si è presentato sul palco con una iconica motosega – la cui violenza richiama l’immaginario dell’estrema destra globale – e lo slogan “¡Que se vayan todos!”, mutuato dalla crisi del 2001, per indicare la sua volontà di distruggere la presenza dello Stato nell’economia e il potere della “casta peronista”. Ha anche espresso apprezzamento per Margaret Thatcher (persona considerata non grata in Argentina per la guerra delle Malvinas/Falklands), definendola “uno dei grandi leader della storia dell’umanità”. Prima di essere eletto, Milei ha attaccato virulentemente Papa Francesco, definendolo un “gesuita che promuove il comunismo”, e addirittura il “rappresentante del maligno [il Diavolo] sulla Terra” per aver promosso la dottrina della “giustizia sociale” per aiutare i meno privilegiati, dichiarazioni che hanno causato attriti con la Chiesa cattolica locale e il Vaticano8.

Al tempo stesso, Milei è un fenomeno profondamente argentino. Ciò potrebbe essere meno ovvio in un paese caratterizzato dalla fissazione dei prezzi, dal controllo dei movimenti dei capitali e da un’elevata densità sindacale – tutto ciò contro cui si oppone – ma Milei sta attingendo a una gran parte della storia nazionale caratterizzata dal liberismo (in particolare, quello associato alla maggior parte dei colpi di Stato e dittature del paese – 1930, 1943, 1955, 1962, 1966 e 1976 nel XX secolo), promuovendo la sua versione di come “Fare di nuovo Grande l’Argentina9.

Lo storico argentino Ezequiel Adamovsky sostiene che il neoliberismo autoritario proposto da Milei è una versione “radicale” del liberismo che è sempre stata presente in forme diverse nel corso della storia argentina e che fa leva su un “individualismo autoritario” che esalta il successo economico individuale ed esprime un’aperta animosità e ostilità verso qualsiasi progetto di vita che non sia inquadrato negli obiettivi dell’accumulazione capitalistica. Milei vuole trasformare l’Argentina in un paradiso libertario dove l’efficienza capitalista sostituisce l’assistenza sociale, le tasse sono ridotte al minimo e gli individui a corto di soldi possono vendere i propri organi nel libero mercato. Adamovsky ritiene che “la vera novità del momento attuale sembra essere che questo impulso autoritario e aggressivo sembra provenire sia dal basso che dall’alto. Vediamo nella società argentina espressioni sempre più forti di animosità e risentimento tra vicini e gente comune. Questa dinamica è particolarmente palpabile tra coloro che si sentono ‘convalidati’ dal mercato e coloro i cui ‘fallimenti’ li hanno portati a fare affidamento sui sussidi statali”.

Le enormi dimensioni della crisi economico-finanziaria e sociale

L’Argentina è un grande paese di 45 milioni di abitanti che fa parte del G20 ed è la seconda economia del Sud America (al 90% basata su produzioni agroindustriali). Ma oggi si trova nel mezzo di una tempesta perfetta, una crisi economico-finanziaria iniziata otto anni fa con il governo di destra di Mauricio Macri (2015-2019) e poi proseguita e peggiorata con il governo peronista di Alberto Fernández (2020-2023)10. Un’inflazione ad oltre il 10% al mese, ossia intorno al 140% all’anno (nel 2015 era al 10%), con salari e stipendi che non tengono il passo11. Un debito pubblico che si aggira intorno ai $ 419 miliardi. Il 40% della popolazione vive sotto la soglia della povertà (nel 2015 era il 7%) e dipende da sussidi e welfare pubblico per le prime necessità e i beni di largo consumo, come elettricità, trasporti e carburante per le auto. La fame e i senzatetto sono in aumento. Una grave siccità durata tre anni ha privato il paese di quasi un quarto dei proventi delle esportazioni di cereali (grano e mais), soia12, agrumi e carne che normalmente riceve (il Governo ha stimato una perdita di $ 23 miliardi). Inoltre, l’eredità della pandemia ha lasciato ferite profonde a livello soggettivo. Le misure di quarantena in Argentina sono state molto severe e questo tipo di intervento statale dalla mano pesante ha lasciato un’impressione sfavorevole nella mente delle persone.

Dagli anni ’60 del secolo scorso in poi l’Argentina ha vissuto in una costante instabilità politica, in cui si sono susseguiti una serie di governi (o in certi casi di dittature) che ciclicamente hanno ribaltato del tutto la politica economica argentina. Ci sono stati periodi di generosissime ed economicamente insostenibili politiche sociali, a cui poi sono seguite fasi di rigida austerità e di forte riduzione della spesa pubblica. Periodi ciclici che gli argentini racchiudono nella formula illusione-disincanto e dai quali la maggior parte dei governi sono usciti tutt’altro che indenni. Nei decenni i governi che hanno finanziato gli ingenti piani sociali accumulando un enorme debito pubblico lo hanno finanziato soprattutto grazie alla collaborazione della Banca centrale, che ha stampato moneta proprio con questo fine. Una politica di “monetizzazione del debito” – una pratica nota localmente come la “piccola macchina” – che è stata progressivamente abbandonata nei paesi delle economie avanzate (con l’indipendenza della Banca centrale dal ministero del Tesoro) per tutte le distorsioni che comporta, tra cui un’altissima probabilità di creare inflazione13.

La vittoria di Milei, con le sue proposte economiche radicali, va vista in questo contesto: molti argentini hanno perso fiducia nel fatto che le misure economiche offerte dai partiti tradizionali – peronismo e destra moderata – possano risolvere questi problemi di lungo corso e hanno dunque visto come allettanti proposte come la dollarizzazione dell’economia14.

La dollarizzazione prospettata da Milei consentirebbe di ottenere tre obiettivi che dal suo punto di vista sono auspicabili:

– si fermerebbe istantaneamente la crescita dei prezzi, perché il dollaro americano non subisce la stessa inflazione del peso argentino, moneta molto debole e storicamente instabile;

– semplificherebbe notevolmente la vita degli argentini, perché renderebbe ufficiale la valuta che spesso oggi è ottenuta in modo clandestino; con la dollarizzazione gli stipendi verrebbero pagati in dollari e gli argentini li riceverebbero dunque dai canali ufficiali;

– con la dollarizzazione verrebbe tolto qualsiasi potere alla Banca centrale argentina (definita da Milei “la peggior schifezza mai esistita sulla terra”), che in questo modo non potrebbe più stampare moneta perché il dollaro americano viene stampato solo dalla Federal Reserve (FED) degli Stati Uniti.

Un enorme ostacolo politico è che abbandonare la Banca Centrale e rendere il dollaro statunitense a corso legale richiederebbe l’approvazione del Congresso argentino dove Milei non ha una maggioranza, e potrebbe persino richiedere la modifica della costituzione. Inoltre, la maggior parte degli esperti riconosce che non solo questa politica non è concretamente attuabile nel breve termine, ma che non risolverebbe affatto i problemi del paese. Innanzitutto, la dollarizzazione richiederebbe una quantità di dollari (tra i 35 e i 50 miliardi) di cui l’Argentina, già fortemente indebitata, non dispone e non può avere in prestito nell’immediato (non ha un credit rating). Attualmente, l’Argentina non riesce neanche a ripagare gli interessi sul proprio debito ($ 44 miliardi) in dollari nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, il suo principale creditore15. Ma l’economista Emilio Ocampo, consulente di Milei, sostiene che la carenza di dollari è più apparente che reale perché è già in atto una “dollarizzazione spontanea”, con gli argentini che hanno più di $ 200 miliardi in banconote nascoste nelle cassette di sicurezza delle banche o a casa “sotto il materasso”.

L’abolizione della Banca centrale eliminerebbe la possibilità di usare la politica monetaria per stabilizzare l’economia quando ce n’è bisogno (come quando si aumentano i tassi di interesse per combattere l’inflazione). L’Argentina sarebbe dipendente dalla politica monetaria degli Stati Uniti e si alimenterebbe il tossico legame del paese con il dollaro, che è da sempre un grosso problema per la maggior parte dei paesi emergenti/poveri e un grosso ostacolo allo sviluppo. L’imposizione di una valuta forte, come il dollaro statunitense, a un’economia debole e sull’orlo del default, come quella Argentina, creerebbe una serie di distorsioni che finirebbero solo per danneggiare ulteriormente il sistema economico. L’economia argentina sarebbe più vulnerabile agli shock esterni che coinvolgono il dollaro statunitense, ad esempio improvvisi aumenti dei prezzi delle importazioni di petrolio e carburante, che potrebbero rendere gli aggiustamenti interni ancora più dolorosi nel paese.

La ricetta economica di Milei per risolvere la crisi argentina contempla anche una “terapia d’urto” con ampie privatizzazioni dell’industria di Stato e dei servizi pubblici (compresi energia, trasporti e comunicazioni), liberalizzazioni, eliminazione dei controlli valutari e dei limiti all’esportazione di cereali e carne, e taglio a bilancio dello Stato, ministeri16 e dazi all’importazione. Sebbene venerdì scorso Milei abbia affermato che la chiusura della Banca centrale è “non negoziabile”, prima di tutto servirà un programma di stabilizzazione dell’economia. Incontrando i rappresentanti delle banche Caputo ha detto che affrontare con forza l’inflazione è una priorità assoluta, anche se non ha fornito dettagli su come il futuro governo intende contenere i prezzi. Ridurre drasticamente il deficit fiscale significherà smettere di fare lavori pubblici, di investire in istruzione e sanità pubbliche, di erogare sussidi sociali e, se i soldi non bastano, dover vendere aziende statali.

Quello che appare chiaro è che ora, finita la campagna elettorale e dovendo governare, Milei deve confrontarsi con la realtà e assumere un approccio quanto meno graduale e pragmatico nel costruire un programma di governo e trattare le questioni economiche e sociali (una sorta di revival del menemismo o un “macrismo 2.0”?). Probabilmente Milei nel breve/medio periodo (almeno fino alle elezioni parlamentari di medio termine del 2025) concentrerà la sua attenzione sulla riduzione del peso economico dello Stato, con l’obiettivo di raggiungere il pareggio del bilancio fiscale attraverso il taglio dei sussidi dei programmi antipovertà e delle pensioni (quindi colpendo milioni di famiglie già povere) e dei dipendenti pubblici, e con una campagna di privatizzazioni: dalla TV pubblica alla compagnia aerea Aerolineas Argentinas (AA) e alla compagnia petrolifera YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales, controllata dallo Stato al 51%) che, come la compagnia aerea AA, era stata rinazionalizzata dal governo argentino dell’allora presidente Cristina Fernandez de Kirchner, togliendola al controllo della spagnola Repsol nel 201217. È assai probabile che allo scontento e alle proteste di piazza delle vittime delle sue politiche economiche e sociali (lavoratori, poveri, sindacati, associazioni, peronisti, sinistra) risponderà con la politica repressiva della “mano dura”. Il rischio reale è che l’Argentina crolli a seguito del tentativo di Milei di trasformare radicalmente l’economia, con uno scenario oscuro caratterizzato da un massiccio disordine sociale, scioperi nazionali da parte dei sindacati, potenziale violenza politica e pressioni contro le istituzioni democratiche.

Milei aveva anche annunciato l’intenzione di bloccare l’ingresso argentino nei BRICS Plus, previsto a partire dal prossimo primo gennaio. Si propone di “lavorare fianco a fianco con tutte le nazioni del mondo libero per contribuire a costruire un mondo migliore“, sostenendo di “non voler stringere patti con i comunisti“, il che è stato letto come l’intendimento di rompere i legami con la Cina (destinataria dell’8,6% delle esportazioni del paese, oltre che il secondo acquirente dei prodotti argentini nel mondo dopo il Brasile e con importanti rapporti finanziari con Buenos Aires18), e assumendo come potenze di riferimento Stati Uniti e Israele19. Alcuni giorni dopo le elezioni, tuttavia, sembrano esserci chiari segnali che non è prevista alcuna rottura importante nei rapporti con Cina e Brasile (né con altri paesi con governi di sinistra come Colombia, Cile e Messico). Milei ha ricevuto una lettera personale di “congratulazioni e auguri” dal presidente cinese Xi Jinping e lo stesso Milei ha voluto ringraziare Xi sui social media. Anche la scelta di Milei per il ministro degli Esteri, Diana Mondino, ha respinto come “assurdità” qualsiasi suggerimento che ci sarebbe stata una rottura nelle “relazioni commerciali” con Cina o Brasile20.

Il tramonto del “progetto kirchnerista

Quando l’esercito argentino governava il paese (1976-1983), il FMI prestò generosamente denaro, facendo lievitare il debito del paese dai $ 7 miliardi nel momento in cui l’esercito prese il potere a $ 42 miliardi quando l’esercito fu deposto. Chiaramente, la fornitura di fondi da parte del FMI alla giunta militare argentina mise in moto il terribile ciclo di debito e disperazione che continua fino ad oggi. Con il ritorno alla democrazia, dopo la presidenza di Raul Alfonsin (con la coalizione centrista Unión Civica Radical), arrivò al potere il peronista di destra Carlos Saúl Menem, che fu presidente tra il 1989 e il 1999 e che è generalmente accusato di aver portato l’Argentina alla grande crisi del 2001/2002, che provocò il collasso dell’economia gettando nella povertà milioni di argentini. Menem diede vita al menemismo. Sebbene durante la sua campagna elettorale avesse promesso di rilanciare l’industria nazionale e aumentare i salari, cambiò rotta mentre era in carica e tentò di portare a termine ciò che la dittatura aveva iniziato: privatizzare le aziende pubbliche (la compagnia petrolifera YPF, la compagnia aerea Aerolineas Argentina, etc.), smantellare gli ultimi resti dello stato sociale e ricostruire l’Argentina sull’immagine del Washington Consensus. Il neoliberista Domingo Cavallo, il ministro dell’Economia, ancorò il valore del peso a quello del dollaro, riuscendo a far scendere l’inflazione, ma creando anche le condizioni per un disastro finanziario, economico e sociale21. Durante gli anni ’90 la povertà divenne endemica, la disoccupazione aumentò e l’economia informale si espanse. Tali problemi furono aggravati dalla gravissima crisi finanziaria nel 2001 che investì il peso.

Tuttavia, quando il peronista Nestor Kirchner vinse le elezioni nazionali nel 2003, l’economia cominciò a vedere i benefici del boom globale delle materie prime. Seguì un periodo di relativa prosperità, con politiche di welfare più forti e standard di vita più elevati. La moglie Cristina Fernández de Kirchner è succeduta a Kirchner nel 2007 e ha mantenuto queste disposizioni socialdemocratiche, vincendo la rielezione nel 2011 con oltre il 54% dei voti. Con loro, in meno di 5 anni, anche grazie ai crescenti prezzi sul mercato mondiale delle materie prime agricole (soia, grano e carne), l’Argentina aveva recuperato il PIL perduto, ricostituito la base industriale, riportato al lavoro oltre 6 milioni di persone e ridotto il rapporto debito/PIL dal 120% al 40%, mantenendo però l’inflazione al 20% per via del finanziamento del deficit e della scala mobile che indicizzava i salari al 100% dell’aumento dei prezzi. Dal 2012 il crollo dei prezzi delle materie prime agricole ha ridotto il valore delle esportazioni e gli introiti derivanti dalla loro tassazione (l’export di soia era tassato al 35%, quello di mais al 20% e quello di grano al 23%), e reso difficile l’afflusso di valuta forte per le crescenti importazioni ed il risparmio della ri-nascente classe media.

Oggi, quello a cui stiamo assistendo è l’esaurimento del “progetto kirchnerista” all’interno del peronismo, cioè del movimento politico associato ai coniugi Néstor e Cristina Fernández de Kirchner, che ha perseguito il ritorno all’idea di uno Stato forte e presente, di aziende nazionalizzate e di garanzie di aiuti economici e sociali ai più vulnerabili. Quel progetto di stampo socialdemocratico suscitò grande entusiasmo e dominò la politica argentina nei primi due decenni del XXI secolo. Il kirchnerismo riuscì a mettere insieme gli affollati sobborghi intorno a Buenos Aires, dove coloro che avevano lavori a basso reddito vivevano insieme ai lavoratori informali, con un settore strategico della classe media che aveva beneficiato del boom delle materie prime. L’istruzione universitaria gratuita e l’assegno universale per i figli sono state tra le principali conquiste.

La gente riponeva molta speranza in quel movimento, con i suoi slogan progressisti come “la patria es el otro” (la patria sono gli altri), che aveva promesso di rimodellare la patria in una direzione progressista. Così, negli ultimi due decenni l’Argentina è diventata un paese dove hanno fatto enormi passi avanti i diritti umani e civili, le richieste collettive delle femministe, del movimento LGBTQI+, degli antirazzisti o dei sindacati. Di recente, ci sono stati cambiamenti molto drammatici nella posizione dello Stato argentino sulle questioni di genere e sulle minoranze LGBTQI+. Negli ultimi anni, l’Argentina ha visto l’emergere di un movimento femminista molto potente (la “marea verde”) la cui intensa presenza pubblica ha portato il governo a legalizzare l’aborto prima delle 14 settimane nel 202022. Allo stesso tempo, lo Stato ha annunciato un cambio di paradigma nella sua politica verso i diritti LGBTQI+, legalizzando, tra le altre cose, il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2010 e creando quote di lavoro per le persone transgender nel 2021. Lo Stato ha anche compiuto progressi in termini di legislazione antirazzista per proteggere i diritti di coloro che sono spesso discriminati razzialmente dalla società argentina: popolazioni indigene (Mapuche), persone di colore e altri. Tradizionalmente i movimenti sociali hanno mantenuto una forte capacità di influenzare l’agenda pubblica, soprattutto attraverso la politica della protesta nelle strade, ma i nuovi movimenti per i diritti civili (spesso guidati da esponenti della sinistra politica) hanno avuto difficoltà a tradurre la loro influenza in vittorie elettorali e nella ricomposizione della leadership peronista (con la quale hanno deciso di allearsi, ma dalla quale sono stati fagocitati23).

Lo stesso “progetto kichnerista” ha via via esaurito la sua forza24 e la prova è che questa ultima competizione presidenziale è stata la terza elezione consecutiva in cui i kirchneristi non sono stati in grado di presentare un candidato di loro scelta. Probabilmente ora il kirchnerismo verrà riassorbito nell’ombrello più ampio del peronismo, che è una formazione molto più eterogenea del kirchnerismo. Il movimento conta ancora alcune figure forti, come Axel Kicillof rieletto governatore della provincia di Buenos Aires (fortemente sostenuto da Cristina Kirchner), dove vivono oltre 16,6 milioni dei 45 milioni del paese25. Ma la leadership kirchnerista, impersonata da Cristina, sembra disintegrarsi e riassorbirsi nel Partito Giustizialista (il partito peronista). Nessuno sa dove questo lascia il numero considerevole di elettori kirchneristi che desiderano cambiamenti più profondi di quelli che il peronismo può offrire.

Il fallimento del “progetto kirchnerista” sembra aver rafforzato l’unica altra alternativa a disposizione, ovvero l’idea che non esiste altro che l’interesse individuale e che ognuno deve battersi da solo per sé stesso per sviluppare il proprio progetto di vita senza essere disturbato dagli altri.

In Argentina, come altrove nel mondo occidentale, è emersa una nuova soggettività, che Adamovsky chiama “individualismo autoritario” e che nel mio libro ho incluso come una delle manifestazioni del “suprematismo bianco”, secondo cui gli individui credono di avere il diritto di difendere il proprio spazio vitale dai vicini, che percepiscono come una minaccia, con un fucile automatico in mano se necessario. E cercano figure autoritarie come Donald Trump, Jair Bolsonaro, Giorgia Meloni o Javier Milei, che promettono di ripristinare quello spazio personale usando la violenza e andando oltre la legge, se necessario.

I sostenitori di Milei

Secondo gli osservatori, la vittoria di Milei alle elezione segnala che esiste un nucleo di elettori “ideologici” di Milei, convinti del suo programma di estremo neoliberismo autoritario. C’è anche un altro settore, come le forze militari e di sicurezza, che hanno votato a stragrande maggioranza per Milei perché garantiti dalla scelta dell’avvocato noto per essere figlia di un militare attivo durante la dittatura al potere tra il ’76 e l’83, Victoria Villarruel, come sua vice, e che vogliono dare libero sfogo alla violenza statale26. Ma ce ne sono altri che sono semplicemente antiperonisti, cioè persone che detestano il peronismo e voterebbero letteralmente per qualsiasi cosa si opponga a questo movimento politico. Altri sono soltanto frustrati e stufi della sistematica incapacità ultra decennale della classe politica argentina (vista come il “sistema”) di affrontare la crisi economico-finanziaria, il malgoverno, le inefficienze e la corruzione di politici27, magistrati, leader sociali e imprenditori che hanno lasciato briglia sciolta a evasione fiscale e fuga di capitali28. Tra loro c’è una parte importante di elettori delle classi subalterne che tradizionalmente sostengono il peronismo, ma che questa volta hanno votato per Milei. Secondo gli analisti Milei avrebbe ricevuto un ampio sostegno dalla fascia più povera della società e da quella più giovane29. Alcuni di questi elettori meno ideologici potrebbero diventare disincantati mentre il suo governo porta al disastro – cosa che senza dubbio accadrà se manterrà alcune delle promesse economiche più radicali. Ma è importante sottolineare il fatto che molti di quegli elettori un tempo non ideologici si sono spostati verso la destra autoritaria, e che quella parte dell’elettorato sarà presente nel breve e medio termine.

Milei ha anche cavalcato la reazione negativa e la profonda ostilità di parte della società argentina (machista e patriarcale) nei confronti del femminismo e di tutte le rivendicazioni di genere. Per Milei, la questione di genere è di per sé un abominio totale. Si nasconde dietro la tipica idea liberale secondo cui ciò che si fa a porte chiuse sono affari propri. Ma è ovviamente una visione molto omofobica perché nega il diritto alla visibilità pubblica. Per Milei, la questione centrale è che a nessun gruppo collettivo dovrebbe essere consentito avanzare pretese nei confronti del pubblico in modi che possano interferire con il regolare funzionamento del mercato. In questo senso, le opinioni di Milei sono completamente compatibili con quelle dei conservatori più reazionari30.

L’opposizione che verrà

Gli argentini hanno voluto punire il Governo peronista in carica di Alberto Fernández – e i quasi due decenni della versione kirchnerista del peronismo. La gente ha votato contro lo status quo perché vuole che il Paese ritorni “sulla strada giusta”. Non ha votato per sostenere tutti gli esperimenti economici radicali per i quali Milei si è battuto e che non sono stati tentati da nessun’altra parte. Dopotutto, al primo turno, Milei ha ricevuto meno del 30% dei voti. Poiché gli manca una maggioranza effettiva nella legislatura, Milei dovrà dimostrare di poter essere un giocatore di squadra e un costruttore di consenso se vuole evitare che la nave affondi ulteriormente sotto il suo controllo.

Lo status quo in Argentina è insostenibile. Milei non può permettersi di limitarsi a riforme annacquate. Abolire la Banca Centrale e procedere con la dollarizzazione non sarà possibile. Ma tagliare i sussidi governativi e ridurre il numero dei lavoratori del settore pubblico è fattibile, a condizione che si riesca a mettere insieme il sostegno politico necessario al Congresso. I voti più probabili saranno tra i deputati di centrodestra del partito di Mauricio Macri, del Partito radicale e forse anche di alcuni membri dell’ala destra del partito peronista.

Per raggiungere l’obiettivo di formare una maggioranza legislativa, Milei dovrà mantenere il sostegno popolare. La sua luna di miele sarà breve. Gli argentini approveranno Milei se vedranno prove che il Paese si sta muovendo nella giusta direzione. Se Milei continua con la sua strategia elettorale e polarizza l’elettorato parlando di argentini buoni e cattivi, i moderati inizieranno a respingerlo. Per avere successo, Milei dovrebbe mettere da parte la motosega e capire che gli argentini lo hanno eletto non perché credevano veramente nel suo programma economico, ma perché pensavano che lo status quo in carica fosse insostenibile. Sarà necessario un approccio misurato e calcolato.

In realtà, il futuro di Milei e del suo governo dipenderà soprattutto dal chiarimento interno al movimento peronista che rimane la prima forza parlamentare e per capacità di mobilitazione popolare, dalla sua capacità di arrivare ad un accordo sul significato del peronismo nel 21° secolo, ovvero sulla necessità della sua reinvenzione in un nuovo contesto politico-culturale caratterizzato da una potenziale ondata reazionaria. Negli ultimi quattro anni due posizioni interne si sono scontrate duramente su come poter ridurre l’inflazione e stimolare la crescita: da un lato, Fernandez (con il tecnocrate centrista Sergio Massa) era più desideroso di ridurre la spesa pubblica e migliorare le condizioni per gli investitori internazionali, dall’altro i kichneristi volevano mantenere vivo l’assistenzialismo attraverso una tassazione più progressiva.

Mentre Perón era riuscito a incorporare la classe operaia nello Stato e ad approvare politiche redistributive, i suoi successori peronisti non hanno avuto tale successo. Dal 2011, l’assenza di un motore di crescita economica li ha privati di un programma riformista praticabile. Nonostante la speranza inizialmente ispirata dal kirchnerismo, i peronisti non sono riusciti a sanare le divisioni strutturali dell’Argentina – tra settori economici altamente integrati nei mercati globali e industrie/attività informali dove i lavoratori lottano per sopravvivere anche come “imprenditori di sé stessi”. Secondo i dati più recenti del Ministero del Lavoro, oltre il 27% dei lavoratori sono lavoratori autonomi. Nella seconda metà di quest’anno, secondo l’Indec (l’Istat argentino), solo il 9,9% dei giovani fino a 29 anni aveva un lavoro formale. Il movimento peronista non si è fatto carico della rappresentanza politica di questi settori precari del mondo del lavoro e della società argentina, abbandonandoli quindi alle lusinghe dell’estrema destra.

Milei ha vinto le elezioni capitalizzando la delusione nei confronti del kirchnerismo. Ma anche Milei e la destra tradizionale con cui si è alleato faranno fatica a costruire una maggioranza politica stabile, poiché la loro visione ideologica si fonda sulla convinzione di lunga data che i problemi dell’Argentina saranno risolti e che, una volta che avrà rotto con il peronismo, diventerà finalmente una tipica nazione sviluppata. Questa convinzione, che ha guidato i colpi di Stato degli anni ’50 e ’70, significa che la destra argentina è sempre stata priva di un progetto politico distintivo.

In questo senso, nessuna delle due principali forze politiche argentine è in grado di presentare una visione egemonica. Ai peronisti kirchneristi manca una diagnosi unitaria dei problemi del Paese, mentre i macristi si aggrappano a un approccio palesemente sbagliato.

È stata questa paralisi che ha creato un’apertura affinché un outsider come Milei potesse presentare una soluzione radicale. Il programma di Milei è simile a quello di Bolsonaro in Brasile. Presentandosi come un outsider, incolpa l’espansione della spesa pubblica e la forza dei sindacati – insieme ai costumi culturali liberali – per i mali che affliggono l’Argentina. La sua soluzione è abolire la Banca centrale, eliminare ogni regolamentazione del mercato, sostenere la repressione statale e promuovere la famiglia tradizionale (per esempio, vietando l’aborto e restringendo i diritti delle donne).

Dopo quarant’anni di democrazia, le persone sono frustrate nei confronti della classe politica tradizionale e molto preoccupate per il futuro – una combinazione che l’estrema destra ha sfruttato per arrivare al potere ottenendo la legittimazione e il sostegno da parte della destra tradizionale. Il paese avrà bisogno di sindacati, movimenti sociali e di una sinistra attiva e resiliente per contrastarla. La storia argentina è costellata di numerosi esempi di resistenza e, sebbene la società sia molto cambiata negli ultimi anni, non è detto che forme di resistenza e rivolta popolare non possano riapparire con forza, anche in assenza di strutture organizzative adeguate31.

Myriam Bregman, avversaria di Milei al primo turno delle presidenziali, dove correva col trotskista Frente de Izquierda, ha espresso il suo pensiero riguardo al nuovo presidente, il quale: “usando la demagogia ha vinto il voto popolare, contrapponendosi a un governo dove i ricchi si sono arricchiti a discapito di lavoratori e lavoratrici” e ha ricordato che il neopresidente si troverà a operare “senza governatori locali né maggioranza parlamentare con ampi settori sociali contrari alle sue proposte. Saremo in piazza di fronte a ogni attacco, perché la ‘libertà’ di cui parla è la libertà di sfruttare senza limiti”.

L’Argentina ha perso sovranità, potere economico e quello che abbiamo di fronte sarà ancora peggiore: verranno per il litio32, per il petrolio, per un sacco di risorse che abbiamo e di cui dovremmo prenderci cura. Prepariamoci a scendere in strada ogni giorno”, sostiene Nora Cortiñas, una delle mamme e nonne di Plaza de Mayo. “Mi fa paura perché non basteranno 20 anni per rifare tutte le cose che distruggeranno, se rispetteranno quello che hanno promesso: privatizzazioni, apertura delle importazioni, indottrinamento nelle scuole… Bisogna parlare con i giovani, organizzare delle campagne per reagire”.

Note

  1. Al primo turno del 22 ottobre Massa aveva ottenuto 9,6 milioni di voti e Milei 7,9; al ballottaggio Milei ha raccolto altri 6,5 milioni di voti (arrivando a 14,4 totali), Massa solo 1,8 (11,4 complessivi). Milei ha ottenuto un rilevante successo nelle province dell’interno e in quelle che rappresentano i centri produttivi del paese come Córdoba, Santa Fe e Mendoza.
  2. Il partito non ha nessun governatore nelle 24 province argentine, che sono molto importanti perché l’Argentina è uno Stato federale, dove le province hanno ampi poteri su sanità, istruzione e altro.
  3. La coalizione peronista aveva subito una cocente sconfitta alle elezioni di medio termine (novembre 2021) nelle quali aveva perso la maggioranza al Senato per la prima volta dal 1983.
  4. Macri ha sostenuto Milei fin dalla campagna elettorale per il ballottaggio. Le analisi del flusso di voti indicano che quasi l’80% dei voti ottenuti al primo turno (pari al 24%) dalla candidata della coalizione politica della destra tradizionale, Juntos por el Cambio, Patricia Bullrich (ex ministro della Difesa e Sicurezza tra il 2015 e il 2019), si sia spostata verso Milei, anche grazie all’accordo trovato prima del ballottaggio. Macri è figlio di un magnate multimilionario ed è arrivato alla presidenza dell’Argentina attraverso la presidenza della squadra di calcio del Boca Juniors e poi la carica di sindaco di Buenos Aires. È stato presidente tra il 2015 e il 2019 ed è il leader del partito Proposta Repubblicana (PRO), che insieme a Unione Civica Radicale (UCR) e Unione Civica Coalizione (CC-ARI) faceva parte della coalizione Juntos por el Cambio. Il PRO ha un buon numero di deputati e senatori (anche se non arriva alla maggioranza assoluta dei seggi). Dal giorno della vittoria elettorale Macri sta trattando con Milei per aiutarlo a formare il suo governo. Per esempio, secondo i giornali argentini i due candidati più vicini a ottenere l’importante carica di ministro dell’Economia sono entrambi persone fedeli a Macri: Federico Sturzenegger, governatore della Banca centrale sotto Macri, e soprattutto Luis Caputo, ex capo del trading per l’America Latina presso JPMorgan negli anni ’90, poi alla Deutsche Bank e ministro delle Finanze di Macri dal 2017 al 2018 (per un breve tempo è stato anche lui governatore della Banca centrale nel 2018). Caputo, il “Messi della finanza”, come lo definì allora Macri, è stato uno degli ideatori del prestito con il Fondo monetario internazionale erogato all’Argentina nel 2018. Inoltre, Bullrich sarà il ministro della Difesa e Sicurezza a suggello dell’alleanza tra Milei e la destra tradizionale. Bullrich aveva denunciato Milei in tribunale dopo che lui l’aveva accusata di essere una “terrorista” e di “aver lanciato bombe negli asili nido” durante la sua militanza giovanile nei Montoneros, il gruppo guerrigliero del peronismo degli anni ‘70. Tutto è stato sepolto dopo il primo round elettorale.
  5. Emilio Ocampo, professore di storia economica ed ex banchiere d’investimento, è stato il principale sostenitore all’interno del team di Milei dell’abbandono del peso argentino a favore del dollaro statunitense. Autore di un recente articolo a sostegno della dollarizzazione, ha lavorato su un progetto per attuare il piano dopo che il nuovo governo si insedierà il 10 dicembre. Milei aveva detto durante la campagna elettorale che Ocampo sarebbe stato a capo della Banca centrale con la missione di chiuderla. Ma nei giorni scorsi Ocampo ha fatto sapere che non accetterà più l’incarico perché non è disponibile ad attuare un piano diverso da quello originale pensato da lui.
  6. Non nego il cambiamento climatico. Quello che sto dicendo è che c’è un ciclo di temperatura nella storia della Terra… Pertanto, tutte quelle politiche che incolpano gli esseri umani per il cambiamento climatico sono false“, ha detto Milei durante un dibattito presidenziale, provocando molti commenti e critiche. Nella sua proposta di programma di governo, uno dei numerosi ministeri che ha dichiarato di voler eliminare sarebbe l’attuale ministero dell’Ambiente.
  7. Che cos’è lo Stato se non il banditismo organizzato?”, ha scritto Rothbard nel suo Manifesto Libertario (1973). “Cos’è la tassazione se non un furto su scala gigantesca e incontrollata? Cos’è la guerra se non un omicidio di massa su una scala impossibile da parte delle forze di polizia private?”. Come ha acutamente scritto Pablo Stefanoni: “Il discorso libertarista di Milei rappresenta un’importazione sui generis del cosiddetto paleolibertarismo americano, teorizzato da Rothbard, che proponeva un’alleanza tra libertaristi e la “vecchia destra” anti-New Deal per combattere lo Stato federale. In Argentina, questo libertarismo di estrema destra è inserito in una tradizione politica molto diversa, è una sorta di “idea fuori luogo”, ma è servito a Milei per mettere insieme una coalizione di destra radicalizzata”.
  8. Tuttavia, questo antagonismo sembra essersi miracolosamente dissipato solo pochi giorni dopo la sua vittoria elettorale, quando Milei ha avuto quella che ha definito una telefonata “molto amichevole” con il Papa, al quale si è rivolto come “Sua Santità”, invitandolo a visitare l’Argentina nel 2024. Interrogato in un’intervista televisiva su questo cambiamento di opinione, Milei ha ammesso che, quando si è presidente, “ci sono alcune cose che richiedono maggiori dosi di pragmatismo“.
  9. Milei, come la destra tradizionale di Mauricio Macri, pensa che oggi l’Argentina sia un “paese fallito” che in precedenza è stata una potenza economica prospera e liberale. Ma, mentre Milei ritiene che il declino nazionale sia iniziato con il suffragio popolare maschile nel 1916, sotto la presidenza del radicale Hípolito Yrigoyen, per la destra tradizionale il declino sarebbe iniziato con il peronismo a partire dalla metà del secolo scorso, quando nel febbraio 1946 Juan Domingo Perón, eletto presidente (ma era stato ministro del Lavoro dal 1943 al 1945), aveva avviato lo sviluppo industriale (seguendo una strategia di sostituzione delle importazioni) e messo in piedi un potente apparato statale con politiche di welfare (supervisionate dalla moglie Evita). La destra tradizionale contrappone alla narrativa peronista il mito della prospera Argentina della fine del XIX secolo e inizio del XX secolo, quando il paese era una potenza esportatrice di cereali, carne e altre materie prime. Per la destra questa prosperità è finita a seguito dell’intervento statale nell’economia e con i “settanta anni di peronismo”. Evocando la retorica dell’ex dittatura militare, afferma che l’eredità di Perón è una patologia che impedisce all’Argentina di diventare un tipico paese occidentale con un fiorente libero mercato. Prima viene abbandonato, meglio è. Questa è stata la piattaforma che ha portato Mauricio Macri al potere nel 2015. Alle elezioni del 2015 Macri aveva promesso un “Paese meraviglioso” con zero inflazione e zero povertà e i mercati finanziari erano entusiasti della sua elezione a presidente dell’Argentina, felici di vedere un uomo d’affari responsabile di un Paese che avevano da tempo evitato. Il Financial Times aveva affermato che avrebbe segnato “l’inizio di una nuova era politica“, mentre il “club dei globalisti” di Davos aveva trovato una nuova stella. Ma Macri non è riuscito ad attuare alcuna riforma strutturale significativa e, sebbene abbia ridotto il deficit fiscale, ciò è avvenuto al prezzo dell’abolizione dei sussidi energetici e del taglio dei posti di lavoro nel settore pubblico, il che ha provocato un crescente malcontento della classe media e il ritorno al potere della coalizione peronista nel 2019.
  10. In una recente intervista a El Pais, Alberto Fernández ha ammesso che: “Non sapevamo come sintonizzarci con la società argentina”. I quattro anni alla guida del Paese sono stati turbolenti, segnati dal debito con il FMI ereditato dal governo Macri, dalla pandemia di Covid-19 (durante la quale ci sono stati oltre 120 mila morti e anche la morte e il funerale di Diego Armando Maradona), dalla rottura con la vicepresidente Cristina Kirchner (apertamente critica nei confronti del FMI e favorevole ad una maggiore spesa pubblica), dalle conseguenze economiche negative della guerra Russia-Ucraina, e da un’economia indebitata, senza riserve, con un’inflazione superiore al 140% (che si stima possa arrivare al 185% entro la fine dell’anno) e tassi di interesse che superano di diversi punti il tasso di inflazione. Nelle continue trattative per trovare un accordo con il FMI sul debito, il punto critico era sempre come ridurre (tempi e dimensioni) il deficit fiscale senza una “politica di spesa restrittiva” (aumento dei tassi di interesse reali, congelamento dei salari del settore pubblico, l’aumento e l’introduzione delle imposte sul valore aggiunto e profondi tagli alla spesa pubblica, in particolare per i sussidi al consumo, e tagli ai sussidi) che mandasse in recessione il paese. Il governo Fernández ha anche cercato (vanamente) di migliorare la riscossione delle tasse e di reperire fondi da altri finanziatori come la Cina (accordo swap valutario e ingresso nella BRI.
  11. Il Governo stima che, in media, molti lavoratori abbiano ricevuto un aumento del 92% nell’ultimo anno, una cifra che sembra sbalorditiva se non si tiene conto del fatto che i prezzi sono aumentati ancora più velocemente. Inoltre, metà della popolazione economicamente attiva dell’Argentina appartiene alla cosiddetta economia informale – un elenco che comprende autisti Uber, venditori ambulanti, babysitter e lavoratori autonomi – e i loro salari sono aumentati molto poco. Molti di loro sono sovraoccupati piuttosto che sottoccupati: lavori multipli e lavori temporanei sono un mezzo necessario di sopravvivenza.
  12. L’Argentina rappresenta il 41% delle esportazioni globali di farina di soia e il 48% delle esportazioni mondiali di olio di soia. Le tasse sull’esportazione di questi (al 31%) e altri prodotti agricoli sono vitali per il bilancio dello Stato, creando tensioni continue con gli agricoltori e gli esportatori (questi ultimi sono soprattutto global corporations come Cargill, Archer Daniels Midland Argentina, Bunge Argentina, Dreyfus, e Noble Argentina). L’elezione di Javier Milei a presidente dell’Argentina offre un’opportunità per un “cambiamento radicale” nella politica del settore agricolo, hanno detto le principali associazioni agricole del paese, offrendo di lavorare “fianco a fianco” con lui per ridurre o addirittura eliminare le tasse e i limiti sulle esportazioni di cereali, soia e carne.
  13. Stampare moneta è come “dopare” l’economia, che cresce perché il governo ha finanziato la spesa pubblica grazie a soldi stampati appositamente, e non grazie a un sistema economico che cresce e che paga in proporzione sempre più tasse. L’inflazione elevata causa enormi danni all’economia e alla società: genera incertezza ed è come una tassa che colpisce tutti i cittadini, soprattutto le fasce più povere. Ed è proprio quello che è successo in Argentina, dove 45 milioni di abitanti hanno imparato a convivere con l’inflazione da sempre. Con un’inflazione galoppante, il denaro perde la sua funzione di riserva di valore e serve solo come mezzo di pagamento. Non c’è nessuna tranquillità nel mettere i soldi da parte perché di fatto nel tempo varranno sempre meno. La Banca centrale lotta per trovare acquirenti per il debito a breve termine denominato in peso, che emette per risucchiare la valuta locale dal sistema, segnalando che i suoi sforzi per contenere l’inflazione si stanno indebolendo di fronte all’incertezza del mercato.
  14. La dollarizzazione non è un’idea originale di Milei e ci sono già paesi che hanno adottato il dollaro statunitense come valuta ufficiale ottenendo risultati generalmente fallimentari: Ecuador, Panama ed El Salvador, tre paesi ben più piccoli e molto meno problematici dell’Argentina. D’altra parte, il dollaro ha già un ruolo significativo in Argentina. Gran parte del debito pubblico è in dollari, e proprio per le difficoltà della valuta locale consumatori e aziende usano i dollari anche per i piccoli acquisti quotidiani, detengono parte della loro ricchezza in dollari, consapevoli del fatto che è una moneta che realisticamente non perderà valore, e proteggono così il loro potere di acquisto. Secondo alcune stime, circa il 10% di tutta la valuta statunitense in circolazione si trova in Argentina, ovvero circa $ 200 miliardi, più che in qualsiasi altro paese al di fuori degli Stati Uniti. Ciò rappresenta una media di 4.400 dollari in contanti per ogni argentino, rispetto ai 3.100 dollari per ogni statunitense. Nel paese esiste un cambio ufficiale con il dollaro e uno clandestino, definito dólar blue, quasi tre volte rispetto a quello ufficiale e perfettamente accettato a livello pubblico, con tanto di quotazioni sui giornali. Le autorità tollerano l’esistenza delle cosiddette cuevas (letteralmente, grotte), locali dove si va per cambiare dollari o euro in pesos e viceversa. Per strada si viene spesso avvicinati da persone chiamate arbolitos (piccoli alberi in spagnolo), che indicano la strada per raggiungere una delle tante cuevas. Apparentemente si tratta di banchi di pegno o “compro oro”, ma in realtà lì avviene lo scambio di valute. Gli argentini oggi usano le cuevas per comprare dollari nella speranza di ottenere più pesos cambiandoli dopo solo qualche settimana. Nell’aprile 2020, all’inizio della pandemia, con 1 dollaro si potevano acquistare 80 pesos al tasso di cambio del dólar blue. Un anno fa, con 1 dollaro si potevano comprare 300 pesos. Il 22 novembre, quando i mercati argentini hanno aperto per la prima volta dopo la vittoria di Milei, il valore del peso è sceso al minimo storico. Quel giorno, 1 dollaro valeva 1.075 pesos. Poi, nei giorni successivi è sceso sotto quota mille.
  15. L’Argentina ha scadenze milionarie a dicembre e anche a gennaio con l’FMI. Milei e il suo entourage cercano un accordo per ottenere un ritardo nel pagamento in modo amichevole e, in cambio, Milei offrirebbe un aggiustamento molto più drastico di quello che il FMI aveva inizialmente cercato. Sembra che Caputo aveva contattato giorni fa i funzionari del Fondo per richiedere anche circa $ 12 miliardi per sostenere la crisi immediata fino al nuovo raccolto di soia e cereali. I $ 44 miliardi vennero concessi dal FMI di Christine Lagarde nel secondo semestre 2018 in formula stand-by su pressione dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, amico ed ex socio della famiglia Macri. Il maggior credito mai autorizzato dal Fondo, che ha poi riconosciuto di aver commesso un grave errore. Il documento Ex Post Evaluation del FMI (gennaio 2022) ha ribadito che la diagnosi del ministero dell’Economia di Macri, sulla cui base fu deciso il prestito, era sbagliata: aggravò invece di alleviare il processo inflattivo (che “non era un fenomeno semplicemente monetario, in quanto provocato da squilibri di mercato e redistributivi… Una politica di coordinamento di prezzi e salari ne avrebbe favorito il contenimento, ma fu giudicata inadeguata dal Presidente Macri”). È stato il maggiore fallimento del FMI e l’anno successivo, l’amministrazione Macri è stata estromessa alle elezioni dalla coalizione peronista di centrosinistra Frente de Todos, che aveva condotto una campagna su un forte programma anti-austerità e anti-FMI. Quando il presidente Alberto Fernández è entrato in carica nel dicembre 2019, ha rifiutato l’ultima tranche di $ 13 miliardi del pacchetto di prestiti del FMI, una mossa applaudita da ampi settori della società argentina. L’anno successivo, il governo Fernández è riuscito a ristrutturare il debito di $ 66 miliardi detenuto da ricchi obbligazionisti e ad avviare un dialogo con il FMI per ritardare il rimborso del debito contratto dal governo Macri. Ma il FMI è stato rigido e ha insistito sul rimborso. Né il prestito Macri né un nuovo accordo (gennaio/marzo 2022) sotto il presidente Fernández – che prevedeva una riduzione del deficit di bilancio dal 3% nel 2021 allo 0,9% nel 2024 e allo 0% nel 2025 – hanno risolto la lotta a lungo termine dell’Argentina con le sue finanze pubbliche. Il paese è stato salvato dal default da un nuovo accordo da $ 7,5 miliardi con il FMI alla fine di luglio 2023. In vista delle elezioni di ottobre/novembre, Massa ha preso i soldi del FMI senza attenersi alle condizioni del prestatore: invece di frenare la spesa, ha aperto i rubinetti. La sua strategia si è basata su tassi di interesse elevati per rendere il peso più attraente del dollaro, tagliando le tasse per i lavoratori e aumentando la spesa pubblica. Nell’anno elettorale ha aumentato la spesa pubblica per un valore pari al 2% del PIL, alzando pensioni a milioni di pensionati e sussidi ai 10 milioni di argentini che li ricevono. Ha anche eliminato l’imposta sul reddito per tutti i lavoratori dipendenti del settore formale, per cui in Argentina solo circa 800 mila individui con un reddito sopra i $ 5.057 al mese pagano le tasse. Ma non è stato sufficiente per riuscire a vincere le elezioni.
  16. Circa 4 milioni sono i dipendenti della pubblica amministrazione. Milei ha detto di voler ridurre il numero dei ministeri di più del 50% (da 18 a 8), creando un unico ministero del Capitale umano che tenga insieme cultura, sanità, trasporti, istruzione, ambiente e donne, genere e diversità, e che subordinerà il welfare al lavoro.
  17. Per ora Miliei ha nominato Horacio Marin alla guida di YPF, un manager proveniente da Tecpetrol, una unità della Techint (la finanziaria lussemburghese controllata dalla famiglia italo-argentina Rocca), la società madre dei produttori di acciaio Tenaris e Ternium. Techint è un gruppo da oltre $ 25 miliardi di fatturato annuo che controlla 450 società con 75 mila dipendenti diretti ed indiretti in 45 Paesi, producendo acciaio e costruendo oleodotti, gasdotti e centrali di energia in tutti i continenti.
  18. La Cina ha contribuito a sostenere le riserve finanziarie dell’Argentina con un importante accordo di swap valutario, un sostegno significativo per un paese fortemente indebitato nei confronti del FMI.
  19. Nel corso della campagna elettorale Milei ha promesso di seguire la decisione di Trump, spostando a Gerusalemme l’ambasciata presso lo Stato israeliano, col quale esistono relazioni storiche, anche perché l’Argentina ospita la maggiore comunità ebraica del continente sudamericano. Non a caso la sua elezione è stata salutata con favore da diversi media israeliani.
  20. In Brasile, l’invito rivolto da Milei all’ex presidente Jair Bolsonaro a partecipare al suo insediamento il 10 dicembre è stato interpretato come “ostile” nei confronti dell’attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Ma Milei da allora ha detto che Lula sarebbe “ben accolto“, se volesse venire.
  21. Alla fine degli anni ‘90, un’impennata del valore del dollaro (e, quindi, del peso) contribuì a far sì che le esportazioni argentine diventassero non competitive sui mercati mondiali. L’economia precipitò in una profonda recessione e i capitali iniziarono ad abbandonare il paese. Dopo che Cavallo tornò alla carica nel 2001, la fuga di capitali accelerò e alla fine ordinò alle banche di limitare i prelievi settimanali di contanti (il cosiddetto “corralito”), mentre le pensioni venivano pagate in 12 rate. Il 19-20 dicembre del 2001 scoppiarono disordini a Buenos Aires e in altre città con decine di morti e un’ondata di saccheggi delle imprese locali. Cavallo si dovette dimettere. Lo stesso ha fatto il presidente Fernando de la Rúa. Poco dopo, l’Argentina è andata in default sui propri debiti, e alla fine ha abbandonato l’ancoraggio valutario. Un default da $ 95 miliardi sul debito pubblico, nel quale rimasero incastrati anche migliaia di piccoli risparmiatori italiani che complessivamente detenevano titoli del debito pubblico estero per $ 14 miliardi e che, con la ristrutturazione, persero oltre il 60% del valore dei titoli.
  22. L’Argentina è stato il quarto Paese dell’America Latina a legalizzare l’aborto. L’Uruguay ha depenalizzato l’aborto nel 2012, la Guyana nel 1995. A Cuba la pratica è legale dal 1965, mentre abortire non è reato a Città del Messico e nello Stato messicano di Oaxaca.
  23. L’unica organizzazione politica che ha mantenuto la propria indipendenza dal peronismo e ha costruito un’importante base popolare è conosciuta come Ciudad Futura. Ha sede nella città di Rosario ed è diventata una forza politica locale molto importante che è arrivata persino a un passo dal conquistare il controllo del governo della città. Lo hanno fatto tenendo primarie aperte, in cui tutti i candidati, dalla sinistra al centrosinistra e al peronismo, hanno gareggiato insieme, e il candidato vincitore di Ciudad Futura è stato in grado di costruire una forte base elettorale, anche se ha perso di poco le elezioni generali.
  24. In realtà, già dal 2011, tre anni dopo la grande crisi finanziaria del 2008, questo progetto ha cominciato a sgretolarsi. Quando i prezzi delle materie prime crollarono e i mercati furono colpiti dal crollo finanziario, l’inflazione diventò un problema cronico. La crescita si è arrestata insieme ai progressi del governo nella riduzione della povertà. Per sopravvivere nella giungla dell’economia mondiale era necessaria una strategia di sviluppo coerente, che includesse una riforma fiscale progressiva, un piano per aumentare l’esportazione dei servizi argentini e una riduzione della spesa pubblica regressiva. Ma tali misure non si sono materializzate e l’Argentina è rimasta senza alcuna protezione dai venti contrari globali.
  25. Dopo l’esito delle presidenziali quella di Kicillof rimane una delle poche cariche politiche rilevanti in mano al peronismo, tanto che il governatore di Buenos Aires viene già indicato come possibile riferimento politico per l’opposizione peronista.
  26. Milei, come la destra tradizionale, condivide l’idea della “mano dura”, che consiste nel ridare potere alla polizia e rimuoverla dal controllo civile, e persino cambiare le leggi per dare alle forze armate un ruolo nella sicurezza interna. Macri e la destra insistono da tempo su questo punto. Per quanto riguarda Milei, è molto significativo che abbia scelto Victoria Villarruel come vicepresidente. Villarruel, uno dei più accesi sostenitori della dittatura militare, non ha procurato a Milei nuovi voti, ma è servita allo scopo di conquistargli la simpatia dei settori militari. Anche se non è riuscita ad arrivare al ballottaggio, Patricia Bullrich per Juntos por el Cambio (la coalizione di destra di Macri) aveva manifestato posizioni simili nella sua campagna elettorale. Aveva promesso molto chiaramente che le forze di sicurezza avrebbero avuto mano libera, potendo fare ciò che avrebbero voluto nella totale impunità. La destra argentina detesta il paese e il popolo argentino, e avrà poche riserve sull’uso della violenza contro di esso. Inoltre, sfidando le posizioni tradizionali sostenute da governo e società argentina negli ultimi 40 anni, Milei ha suscitato indignazione contestando la stima generalmente accettata di coloro che sono stati rapiti e “scomparsi” durante la dittatura – 30mila – affermando che il numero reale era più vicino a 9mila. Da candidato ha sostenuto che la violenza politica degli anni ’70 in Argentina è stata una “guerra” a due facce in cui “le forze dello Stato hanno commesso eccessi ma i terroristi [guerriglia antigovernativa]… [anche] hanno commesso crimini contro l’umanità“. Questa equivalenza di presentazione delle due parti, nonostante le numerose sentenze che hanno condannato per crimini contro l’umanità più di mille militari, tra i quali la giunta guidata da Jorge Raphael Videla, e che hanno dimostrato la pianificazione sistematica della morte e della sparizione delle persone, ha sollevato vive proteste da parte di gruppi che si battono per “verità, memoria e giustizia” come le madri e le nonne delle persone scomparse di Plaza de Mayo. Questo è stato un altro modo in cui la coppia Milei-Villarruel ha cercato di scuotere lo status quo politico in Argentina.
  27. Cristina Fernández de Kirchner è stata condannata in primo grado il 6 dicembre 2022 a sei anni di carcere e all’interdizione a vita dai pubblici uffici dopo essere stata giudicata colpevole di un caso di frode da $ 1 miliardo relativo a lavori pubblici. Questa sentenza è stata la prima volta che ha visto Fernández de Kirchner condannata. Ma è stata precedentemente accusata in numerosi altri casi in cui è stata assolta prima che il caso andasse in tribunale o i casi fossero stati archiviati. Lei ha sempre affermato che le accuse contro di lei erano motivate politicamente. È accusata di aver fatto aggiudicare 51 appalti di lavori pubblici nella provincia patagonica di Santa Cruz a un’impresa appartenente a Lázaro Báez, amico e socio in affari della Fernández e del suo defunto marito, Néstor Kirchner. I pubblici ministeri hanno sostenuto che la società di Báez è stata creata per sottrarre introiti attraverso false offerte per progetti che soffrivano di superamenti dei costi e che in molti casi non sono mai stati completati. Báez, anch’egli condannato a sei anni insieme a Fernández de Kirchner, è stato giudicato colpevole di riciclaggio di denaro nel febbraio 2021 ed è finito agli arresti domiciliari in attesa dell’appello contro la sua condanna.
  28. È comunemente accettata la stima che equipara il complessivo indebitamento del paese alla somma dei beni posseduti all’estero da alcune centinaia di migliaia di argentini: $ 350/400 miliardi.
  29. In Argentina si vota dai 16 anni, la fascia 16-29 anni (27% dell’elettorato totale) era storicamente favorevole al kirchnerismo: in questa occasione ha votato prevalentemente per Milei. I poveri e i giovani sono fra i più colpiti dalla enorme crisi economica e sociale che l’Argentina sta attraversando ormai da anni e molti di loro hanno votato Milei perché l’hanno considerato un’opportunità di cambiamento radicale, in quanto candidato che si opponeva dichiaratamente al “sistema”.
  30. Un’area in cui Milei non ha fatto dichiarazioni pubbliche evidenti riguarda l’immigrazione, o le questioni razziali più in generale. Ci sono alcuni politici di La Libertad Avanza che hanno espresso opinioni più apertamente razziste, come Ramiro Marra, il candidato a capo del governo di Buenos Aires. Ma questo tipo di politica xenofoba e razzista è più palpabile nel macrismo e in Juntos por el Cambio. Il che non vuol dire che Milei non possa muoversi in quella direzione. Una delle narrazioni nazionali prevalenti sostiene che l’Argentina è un paese europeo e bianco, diverso dal resto dell’America Latina; un paese costruito su idee europee ma anche sull’importazione di organismi europei che presumibilmente portarono abitudini morali adatte al progresso sociale. Ciò contrasta con una visione, particolarmente forte tra gli antiperonisti, che vedono il fenomeno peronista come una moderna rinascita di precedenti fasi di barbarie e di popolazioni meticce scarsamente o parzialmente europeizzate. Ancora una volta, questa prospettiva razzista è più forte all’interno del macrismo, in quanto veicolo politico dell’antiperonismo.
  31. Il “Cordobazo” del 1969 e l’insurrezione popolare del 19 e 20 dicembre 2001 sono spettri che senza dubbio turberanno i sogni di chi cerca di distruggere le conquiste economiche, sociali e culturali che il popolo argentino ha ottenuto con grandi lotte negli ultimi 40 anni di democrazia.
  32. Gran parte del litio del mondo proviene da un’area chiamata “triangolo del litio” in Cile, Argentina e Bolivia. Attualmente, un terzo del litio globale viene dal Cile, che ha il 50% delle riserve mondiali. Nel mondo il resto del litio si trova in pochi altri luoghi. Nell’area sud-occidentale della Bolivia (nel deserto del Salar de Uyuni a 3.650 metri di altitudine), nei pressi di Potosì, la città mineraria fondata dagli spagnoli per estrarre argento e oro. Poi, nel deserto Salar de Hombre Muerto in Argentina. La cinese Ganfeng Lithium che ha già diverse attività australiane e ha come clienti BMW, Tesla e LG Chem, ha speso 216 milioni di dollari per acquisire una partecipazione del 51% in un progetto di estrazione del litio nel nord dell’Argentina (Cauchari-Olaroz) dalla canadese Lithium Americas Corporation.

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