La Conferenza internazionale su sviluppo e migrazione, tenutasi a Roma il 23 luglio scorso, è stata organizzata congiuntamente da Italia e Tunisia, da qui il protagonismo, altrimenti inspiegabile, del Presidente Tunisino Kais Saied, il maggior beneficiario di questa operazione politica.

Sulla partecipazione c’è da notare che tra i cinque capi di Stato, otto primi ministri e otto ministri presenti, solo Italia, Grecia, Cipro e Malta erano rappresentati tra i Paesi europei; vi erano invece sia la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, entrambi collocati in posizioni marginali. D’altra parte, è stato detto e ripetuto dalla Presidente Meloni che questo processo che lei, scimmiottando il Processo di Barcellona del 1995, ha voluto chiamare “il Processo di Roma”, si basa sul protagonismo dei singoli Stati e su accordi bilaterali definiti, appunto, “partenariati su misura”.

Il quadro istituzionale appare, quindi, molto precario e segnala una pericolosa concorrenza con Paesi europei fondamentali quali Francia e Spagna (il primo non invitato, il secondo, che esprime la Presidenza semestrale dell’UE, impegnato nelle elezioni politiche).

A proposito di risorse, poi, la presa in giro è plateale. Per ora si tratta, infatti, di 250 milioni di euro del bilancio europeo previsti dal Memorandum in favore della Tunisia di cui 105 devono essere dedicati al “controllo delle frontiere”. Così come appare inconsistente il quadro finanziario contenuto nella dichiarazione finale della Conferenza, il quale prevede che “gli Stati e le organizzazioni partecipanti – che lo desiderino – metteranno a disposizione dei singoli progetti le risorse finanziarie adeguate”.

Nel dibattito, poi, sono risultate particolarmente indigeribili le affermazioni dei rappresentanti della mezza Libia presente (il generale Haftar, infatti, non c’era), i quali hanno rivendicato, seppure in assenza di sottoscrizione di accordi internazionali fondamentali, il pieno rispetto dei diritti dei migranti; o quelle del Ministro degli Esteri marocchino circa il legame tra ONG e trafficanti di esseri umani; o ancora, quelle dello stesso Presidente Saied, il quale ha liquidato le proteste delle associazioni in difesa dei diritti dei migranti di fronte alle recenti morti nel deserto al confine libico come “dichiarazioni di nessun valore”.

Tutti indistintamente hanno sostenuto di voler contrastare le organizzazioni criminali individuate come uniche responsabili del traffico di esseri umani; e tutti, a cominciare dalla Libia, hanno sostenuto che queste agiscono al di fuori dei loro Stati come soggetti criminali internazionali.

Come si può dar credito a queste affermazioni dopo le comprovate responsabilità della Guardia costiera libica nel traffico o di fronte alla corruzione della polizia tunisina che sfrutta economicamente i profughi sub-sahariani?

Questa conferenza lo ha fatto.

Non si può, peraltro, ignorare il punto di vista dell’altra sponda, a cominciare dalla Tunisia, oggi al centro dell’attenzione politica e mediatica.

A questo proposito, è importante sapere che i ripetuti viaggi del terzetto Meloni-von der Leyen-Rutte, in Tunisia, fino alla firma del Memorandum avvenuto il 16 luglio a Cartagine, sono stati accompagnati da forti contestazioni a cominciare dalla prima visita a Tunisi del 6 luglio. In tale occasione è stato sottoscritto un documento da numerose associazioni in cui si segnala lo scambio ineguale tra qualche ingresso legale in più in Italia contro un rimpatrio forzato di cittadini tunisini, i quali costituiscono la nazionalità più numerosa tra le persone trattenute nei Centri di permanenza per i rimpatri, e si sottolinea come tutto questo stia già provocando conseguenze terribili sulla repressione dei migranti sub-sahariani, abbandonati nel deserto, al fine di preservare l’integrità etnica del Paese come dichiarato dal Presidente Saied.

Il Memorandum accresce la preoccupazione della società civile tunisina che la Tunisia possa divenire, al di là delle parole del Presidente Saied, il “guardiano delle frontiere europee”, aumentando le sofferenze dei popoli africani.

Nel documento delle associazioni si richiama la posizione di Amnesty International e dell’Alto Commissariato per i diritti umani, contro la pratica illegale dei respingimenti collettivi e la posizione del Parlamento europeo critica sulla deriva del regime tunisino, il che avrebbe dovuto consigliare maggior prudenza alle massime autorità europee nel dare piena copertura a questa operazione.

Sia il Memorandum UE-Tunisia che la dichiarazione finale della Conferenza di Roma rimandano ad accordi di là da venire non avendo alcun impatto sulla realtà immediata; tuttavia i due eventi fanno parte di una operazione politico-mediatica che, invece, delle conseguenze le ha già e sono sotto i nostri occhi. Infatti, oltre ai riflessi nefasti sulla politica italiana, ciò che è oltremodo grave è che si sta consapevolmente enfatizzando il ruolo del Presidente Kais Saied, il quale, dalla sua elezione nel 2019, ha sciolto il Parlamento e il Consiglio Superiore della Magistratura, ha modificato la Costituzione attraverso un referendum senza quorum (cui ha partecipato il 37% degli aventi diritto), e infine ha impedito ai partiti di partecipare alle elezioni politiche del 2022-2023, sostenendo che la sua è una democrazia senza partiti e ottenendo così il 9% della partecipazione al voto. Nel frattempo la Tunisia è sprofondata in una crisi economica e sociale senza precedenti.

A quest’uomo e al suo regime è stato dato l’incarico di preparare la riunione a Tunisi della futura tappa del neonato “Processo di Roma” che ha come scopo non dichiarabile quello di spostare il cimitero dei migranti dal Mediterraneo al Sahara.

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Un commento a “Lasciar morire. Dal mare al deserto”

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