Materiali

Le forme della periferia

Rapporto finale della ricerca “La periferia metropolitana come bene comune” realizzata dal Centro per la Riforma dello Stato e da Altramente – scuola per tutti con il contributo della Camera di Commercio di Roma)
Tre Sguardi sulla trasformazione della città

A metà del 2010 il Centro per la Riforma dello Stato (Crs) e l’associazione AltraMente hanno iniziato a lavorare sulle periferie romane raccogliendo una serie di dati eterogenei nel tentativo di spiegare la mutazione politica e sociale avvenuta in quei territori che fino al 2008 presentavano alcuni tratti comuni, pur nelle rispettive peculiarità e una certa omogeneità politica. Con le elezioni comunali del 2008, quelle stesse periferie hanno evidenziato un cambiamento che, a ben vedere, molto prima che il dato elettorale lo formalizzasse, aveva da tempo iniziato un profondo processo di trasformazione. Il famoso decentramento, più annunciato che realizzato dalle varie giunte succedutesi dal 1993 ad oggi, è stato un primo, fondamentale, elemento di discussione del gruppo di lavoro. Come vedremo, l’analisi sul Decimo Municipio (il territorio scelto per la ricerca sul campo), supera a ritroso il fatidico 1993. Questa data è uno spartiacque perché, per la prima volta a Roma, così come nel resto d’Italia, si vota con la legge 81/93, cioè per l’elezione diretta del sindaco1. Casualmente la ricerca si svolge in un periodo come quello attuale che presenta tratti di forte similitudine con quanto accadeva esattamente venti anni fa. Oggi come allora il senso di corruzione è dilagante, c’è una profonda sfiducia nella politica, nelle classi dirigenti, nelle istituzioni, nonché un desiderio rabbioso di cambiamento cui si alternano umori depressivi amplificati da una grande crisi economica. Il ragionamento intorno alle periferie è di fondamentale importanza per cercare di analizzare l’evoluzione di una metropoli come Roma che rischia di cristallizzare la propria identità in un passato storico mal gestito (oppure, peggio, abbandonato) e un’urbanistica delegata al potere dei costruttori, da sempre caratterizzante l’economia della Capitale. Come ricordava Ettore Scola in un’intervista a La Repubblica del 14 gennaio 2013, la battuta: “Io non moro” del palazzinaro senza scrupoli di C´eravamo tanto amati impersonato da Aldo Fabrizi «Fu un modo per dire che a Roma la sola continuità storica è stata data dai costruttori». La L.81/93 non è qui solo citata come spartiacque neutrale tra un sistema elettorale e un altro, ma anche per i suoi effetti di ulteriore trasformazione della politica come era stata conosciuta fino a quel momento. In un colpo solo, quella legge, ha ridimensionato la funzione tradizionale dei partiti (con l’affermazione delle liste coalizzate rispetto alla candidatura per espressione spesso di un solo partito) nonché il potere del consiglio comunale. È del tutto evidente che, se i partiti non fossero stati in crisi d’identità, una legge simile non avrebbe mai visto la luce. Concepita per garantire stabilità e alternanza ai governi locali, la L.81/93, con l’accelerazione della balcanizzazione dei partiti e la focalizzazione sulla gestione amministrativa in luogo della visione politica, ha contribuito anche all’emersione di nuovi modelli di rappresentanza. Oltre alla L.81/93, a livello locale, sono stati compiuti importanti passaggi politico-amministrativi per configurare in senso moderno le metropoli italiane, fino al neonato ente territoriale Roma Capitale2. La prima traccia di città metropolitana si riscontra nel capo VI° della L. 142/903. Dieci anni dopo fu la volta del D.Lgs 267/2000, il cosiddetto TUEL (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – aggiornato poi nel 2009). Lì si tornò a parlare di area metropolitana romana come di un territorio che comprende il comune di Roma e le città limitrofe (la legge costituzionale 3/014 sembrò agevolare questo percorso). Con la delibera 21 del 18 gennaio 2001, il consiglio comunale capitolino partecipò formalmente alla costituzione dell’Area Metropolitana proponendo alla regione l’istituzione dell’ente Città Metropolitana per il coordinamento delle decisioni nell’area circostante al comune5. La città metropolitana riappare a metà del 2009 con la legge delega sul federalismo fiscale (n. 42/09). Infine, con la delibera del consiglio comunale n. 11 dell’11 marzo 2013, gli attuali diciannove municipi, nati con la delibera 22 del 19 gennaio 20016, sono stati ridotti a quindici. Dopo questa lunga teoria fatta di date, false partenze e titubanze, la domanda resta invariata: che cos’è la città metropolitana? E soprattutto: quale forma avrà, come funzionerà, con quali risorse e quali finalità? Noi non potevamo esimerci dal raccontare sommariamente questi passaggi che, nella tediosità del calendario, restituiscono un’immagine precisa della nostra classe dirigente. A convalidare questo pesante giudizio, basti pensare che, nello stesso arco temporale di cui stiamo parlando, la Berlino post Muro è riuscita nell’intento storico dell’unificazione7 e che Roma, pur contando sui finanziamenti straordinari per il Giubileo del 2000 e su quelli di Roma Capitale, non si può dire che sia progredita di pari passo nella direzione di una moderna metropoli europea. È in questo contesto frammentato che prende le mosse il ragionamento sulle periferie romane, sull’evoluzione e la mutazione delle forme di rappresentanza, sulla mediazione politica e sull’impresa sociale in Decimo Municipio.

Roma vista dal Decimo Municipio e la città oltre il GRA: modelli e strumenti di sviluppo urbano.

Date queste premesse, abbiamo indirizzato il nostro ragionamento nel cercare di capire cosa siano diventate le periferie romane, e soprattutto come il welfare territoriale trasforma le relazioni sociali, se e come emergono nuove forme di impresa sociale, se e come hanno funzionato vecchi strumenti politicoamministrativi quali i consorzi di auto recupero nati nel 1997, come e se l’istituzione municipale riesce a mediare tra le varie istanze e i tanti attori, quali finalità e che spessore politico hanno forme di rappresentanza quali i comitati di quartiere i nuovi soggetti che si stanno auto-organizzando. Abbiamo scelto di concentrare la nostra indagine sul Decimo municipio perché esistono una serie di ragioni che rendono questo territorio rappresentativo. Il Decimo è infatti densamente popolato, esteso8 e con una composizione sociale variegata. Inoltre è attraversato, dal Quadraro fino ad Anagnina, dalla Linea A della Metropolitana di Roma9 che sulla Tuscolana conta ben sette fermate. Il Decimo municipio inizia proprio con il Quadraro. Entro il raccordo c’è una zona di tessuto urbanistico consolidato con aree densamente abitate come Don Bosco, altre residenziali con densità abitativa più contenuta come l’Appio Claudio, quindi quartieri più recenti, come Cinecittà est. Qui c’è la grande area verde del parco degli Acquedotti, gli stabilimenti di Cinecittà, l’Istituto Luce e il Centro sperimentale di cinematografia. Il territorio del Decimo municipio è tagliato in due dal Grande Raccordo Anulare e solcato da due direttrici principali e fortemente connotanti, la via Tuscolana in direzione Frascati e la Via Anagnina che collega con Grottaferrata. La ferrovia, infrastruttura di collegamento con i Castelli realizzata nei primi anni del ’900, la avvolge morbidamente verso sud, con riflessi molto marcati sulle strutture urbane formatesi nel tempo sul territorio. Il sistema infrastrutturale connota indelebilmente la struttura dei tessuti urbani dell’area fuori dal Raccordo. A partire dall’avvio della costruzione della ferrovia di collegamento con i Castelli, nei primi anni del ‘900, gli insediamenti informali prima e formali poi si sono via via agglutinati intorno alla ferrovia e alle strade principali, formando delle vere e proprie enclaves commerciali e residenziali. La frammentarietà delle connessioni trasversali rimane ancora oggi uno dei nodi principali in aree sottoposte ad una repentina crescita del carico insediativo e trasportistico, in gran parte dovuto alla localizzazione negli ultimi venti anni di diversi insediamenti legati alla grande distribuzione e al commercio. L’avvio della trasformazione dell’agro può essere identificato in una Delibera del Comune di Frascati del 1946 che assegnava a cittadini frascatani Combattenti e Reduci appezzamenti di terreno agricolo di 2.500 mq, al fine di promuovere lo sviluppo degli insediamenti nelle aree di proprietà comunale più distanti dal centro. I terreni erano vincolati dai cosiddetti usi civici, ovvero legati ad un uso agricolo, sebbene potenzialmente assoggettabili ad una redistribuzione (Clementi & Perego 1983, pag.296). Tale redistribuzione doveva avvenire all’interno della popolazione meno abbiente del comune ed unicamente a determinate condizioni10, tra cui l’inalienabilità, l’inusucapibilità, l’indivisibilità. Di fatto, attraverso la Delibera il Comune dava avvio alla lottizzazione delle aree, nel rispetto delle previsioni normative. A dispetto di queste, però, molti beneficiari considerarono i lotti assegnati troppo distanti dal loro Comune di residenza o poco adatti all’esercizio agricolo, fattore che comportò una svendita impropria degli stessi agli immigrati che nel frattempo si trasferivano verso Roma nel processo di spopolamento delle campagne, nonché ai romani che venivano nel medesimo periodo espulsi dalla città dentro le mura. La cessione dei lotti ha rappresentato l’innesco del fenomeno di espansione dei tessuti abusivi che contraddistingue gran parte dell’area (Borgata Centroni, Romanina, Gregna, Vermicino), specialmente a ridosso dei confini di Roma, acuitosi nel corso degli anni successivi. La formazione delle borgate attirava a cavallo degli anni ’50 una popolazione che cresceva di circa 90.000 unità l’anno. Alle micro-lottizzazioni abusive, dagli anni ’50 iniziano ad affiancarsi le lottizzazioni dei vasti latifondi che si estendevano intorno alle aree di proprietà del Comune di Frascati appartenenti a diverse famiglie: i Gerini (attuale Cinecittà est), i Parmeggiani (Romanina), i Picara (Giardini di Tor di Mezzavia). A queste si aggiungeva l’area di proprietà Italcable, che si estendeva tra Romanina e Ponte Linari. Il periodo tra gli anni ’70 e ’90 vede l’intensificazione di una attività edilizia che riguarda ormai l’intera superficie dell’area e procede attraverso lottizzazioni private o espansioni informali. A partire dagli anni ’60, con la prima generazione dei piani per l’edilizia economica e popolare, alle lottizzazioni private si affianca la previsione localizzativa di una serie di interventi di edilizia residenziale pubblica. Realizzati soltanto molto più tardi, questi interventi hanno mutato profondamente il paesaggio urbano dell’area e connotato indelebilmente la sua struttura, sia in termini di carico insediativo che di relazione tra le diverse zone. La realizzazione della maggior parte dei piani previsti risale agli ultimi dieci anni. In questo arco temporale il territorio si è costellato di edifici prevalentemente in linea e di palazzine afferenti alcuni principali piani di zona: Anagnina 2, presso i Giardini di Tor di Mezza Via, a ridosso dell’area della vecchia lottizzazione Picara; Romanina 1 e 2, alle spalle della vecchia borgata lungo Via Biagio Petrocelli; Tor Vergata Nuova (1 e 2), lungo l’Autostrada A1 all’altezza di Via di Tor Vergata. Sono inoltre stati avviati i sondaggi per la realizzazione di ulteriori alloggi e servizi nel comprensorio di Anagnina 1 tra Via Anagnina e Via Tuscolana all’altezza di Via Campo Romano (Tor dei Santi Quattro). Un ulteriore comprensorio, l’originario Tor dei Santi Quattro, è in attesa di trasformazione, nonostante ne sia stata modificata l’originaria destinazione a piano di zona per l’espansione dei tessuti abusivi poi legalizzati sull’area. Dal punto di vista non residenziale, le aree extra GRA hanno assunto in generale negli ultimi venti anni una forte connotazione commerciale. Se in una prima fase questo fenomeno riguardava magazzini e contenitori per il commercio all’ingrosso localizzati a ridosso del raccordo, per i quali si è costruita nel tempo una fitta rete di complanari soprattutto nel ramo che delimita l’area di Gregna, a partire dagli anni ’90 le strutture sono deflagrate sul territorio, costellandolo. L’area oltre il raccordo che si estende nel settore sud-est è definita triangolo del commercio (Scarso 2005, pag.87). Nel corso degli anni si susseguono la realizzazione di un ragguardevole numero di centri commerciali, che riuniscono diversi negozi all’interno del medesimo complesso, e contenitori per il commercio mono-marca che si innestano su un territorio destinato dal PRG del ’65 a magazzini e costellato di capannoni e punti vendita all’ingrosso. Inaugura la stagione, all’inizio degli anni ’90, il centro commerciale Romanina (inaugurato nel 1992), uno dei primi di Roma. Seguono a distanza di qualche anno e a valle dell’insediamento di diversi edifici del Polo Universitario di Tor Vergata il primo contenitore Ikea di Roma (delibera positiva in conferenza dei servizi: 2000), Leroy Merlin (delibera 2002), centro commerciale Anagnina e Tor Vergata (delibera 2004), Decathlon (delibera 2004), Conbipel, Castorama e Mediaworld (delibera 2004), centro commerciale Domus (delibera 2007)11. Il centro commerciale Petrocelli, ultimo nato, è stato inaugurato in Via Biagio Petrocelli nella primavera del 2011. La deflagrazione è intervenuta su un territorio debole, non pronto ad accoglierla e non ha risposto in alcun modo alle esigenze relazionali espresse dai singoli insiemi insediativi.
Le infrastrutture realizzate anche a supporto della localizzazione delle nuove strutture si sono giustapposte alla rete preesistente senza migliorarne le condizioni. La struttura urbana che si configura attraverso questo processo di progressiva urbanizzazione e densificazione si àncora alle arterie principali dell’area (la via Anagnina e la via Tuscolana), lasciando alcuni grandi vuoti, tra cui l’area Agricola di Gregna verso ovest e l’area ex Italcable verso nord est, tra via di Tor Vergata e viale Biagio Petrocelli. I terreni dell’area di Gregna sono per gran parte di proprietà del Comune di Frascati, che ad oggi sembra intenzionato a mantenerne e valorizzarne la vocazione agricola, aprendo alla fruizione pedonale e ciclabile. La seconda è un’area ancora incolta, un vero e proprio vuoto urbano, destinato a essere colmato dalla centralità Romanina prevista dal Nuovo Piano Regolatore di Roma. L’entità e la configurazione delle trasformazioni sin qui brevemente delineate costituisce una eccezionalità nel panorama romano da diversi punti di vista. In un’area che fino al secondo dopoguerra costituiva la campagna romana ed era in gran parte proprietà del Comune di Frascati, s’innescano a partire dagli anni ’40 fenomeni di urbanizzazione costanti e di notevole entità, sebbene differenziati per tipologia, funzione, finalità. Proprio la dimensione di queste trasformazioni rende estremamente significativo e interessante lo studio di questi territori e delle forme che pratiche e risposte degli abitanti assumono anche rispetto alle ulteriori trasformazioni previste. Il territorio infatti è interessato da diversi strumenti urbanistici, tra cui due PRINT, programmi integrati di attuazione del PRG, che lasciano presagire una notevole trasformazione dei tessuti e attivano gli abitanti in processi di partecipazione, non solo istituzionale. Gli interventi previsti riguardano sia nuove trasformazioni urbane che recupero di situazione fortemente compromesse come i tessuti abusivi. Il portato di questa ambivalenza, molto difficile da incontrare all’interno della città consolidata, restituisce alcune suggestioni estremamente significative sia in termini di valutazione delle politiche urbane sino ad oggi attuate che di capacità di comprendere, supportare e in diversi casi contrastare le trasformazioni previste. I tre ambiti della ricerca Abbiamo individuato tre ambiti a livello micro sociale. Tre casi su cui concentrare la nostra attenzione: la formazione della Comunità Territoriale del Decimo Municipio nell’ambito del processo di definizione della centralità Romanina studiata da Mara Cossu con il contributo di Viola Mordenti; quello dei consorzi di auto recupero e dei primi passi di un Print a Morena e Centroni con lo studio di Alessandro Coppola e infine l’ambito sociale, caratterizzato dall’impresa sociale formale e informale, il cosiddetto nuovo welfare, con la ricerca di Federico Bonadonna, Francesca Lulli, Francesco Marchianò, Anna Pacilli. Secondo Giovanni Caudo, docente di urbanistica a Roma Tre, intercettato in uno dei tre focus group realizzati, queste tre prospettive rappresentano tre sguardi diversi sulla trasformazione della città e sono riassumibili in tre titoli suggestivi: l’ambito della resistenza, quello dei piccoli proprietari e quello della cura. Per questa indagine di natura qualitativa abbiamo utilizzato il metodo della ricerca sul campo, basandoci sulla raccolta di interviste in profondità, anche per mezzo di occasioni di osservazione partecipante e di alcune, caratterizzanti, storie di vita di testimoni privilegiati alle cui parole ricorreremo assiduamente nel corso del testo. Lo schema della ricerca prevedeva oltre cinquanta interviste con questionario aperto, nonché l’organizzazione di tre focus group con soggetti del terzo settore, docenti universitari, politici locali, esperti di settore. Nella ricerca, un ruolo fondamentale è stato svolto dai rappresentanti dell’istituzione municipale. Anche se la nostra ricerca non intende fare il bilancio di un singolo rappresentante politico, per quanto riguarda il Decimo Municipio non abbiamo potuto prescindere dal lavoro dell’attuale presidente Sandro Medici, del suo assessore alle politiche sociali Maria Mazzei e dell’assessore al Bilancio e alle politiche economiche Massimo De Simoni. L’analisi dei primi due casi studio, la lettura dell’esperienza della Comunità Territoriale del Decimo Municipio e di quella dei consorzi di auto recupero e più complessivamente dell’urbanistica contrattata nelle borgate di Morena e Centroni, raccontano del modo in cui questi territori affrontano il doppio livello posto dalle sfide in atto, quello locale e quello sovra locale. Ovvero, restituiscono una fotografia della loro capacità di porre in tensione interessi privati e interessi collettivi, istanze del pubblico, debolezza delle forme di coinvolgimento dei cittadini e loro capacità di autorganizzazione.

La Comunità Territoriale del Decimo Municipio

Nell’ambito del territorio del Decimo Municipio, troviamo una realtà emergente che cerca invece di preservare, o meglio di limitare i tanti danni già realizzati. Stiamo parlando delle esperienze maturate dalla Comunità Territoriale del decimo municipio dal 2003, anno della sua costituzione, sino a oggi, attraverso il caso della Centralità Romanina dove nel 2008, il costruttore Scarpellini12 ha cercato di incrementare le cubature passando da 1,1 a 1,8 milioni di metri cubi a scomputo della realizzazione del prolungamento della linea A della metropolitana da Anagnina a Romanina, fermata prevista nel cuore della centralità. Questa cementificazione è intollerabile per la Comunità Territoriale che cerca di resistere agli interessi del costruttore e della giunta capitolina. Questo caso costituisce il progetto simbolo delle grandi trasformazioni urbane sull’area e può essere letto come nodo di relazione tra soggetto pubblico, soggetto collettivo e soggetto privato. Lo studio racconta come a partire dal Nuovo Piano Regolatore Generale di Roma nel Decimo Municipio si siano attivate energie capaci di superare la logica localista tradizionalmente caratterizzante i Comitati di Quartiere. La Comunità Territoriale ha avviato un’esperienza peculiare che in questo periodo si sta estendendo ad altre realtà territoriali (per esempio la rete del quarto Municipio) e tende a sua volta a collegarsi con altri raggruppamenti nati intorno a istanze specifiche come la rete contro il progetto di raddoppio del GRA. Lo studio ipotizza la nascita di una nuova e diversa stagione per la partecipazione, che si affianca ai percorsi partecipativi diretti e consolidati e gestiti dai soggetti titolari pubblici o privati delle singole trasformazioni. Sembra infatti che una diversa consapevolezza dei territori sia cresciuta e si sia agglutinata intorno alla Comunità Territoriale, che nel tempo è divenuta in grado di interagire a diversi livelli, sia direttamente con le popolazioni e gli abitanti, proponendosi come cassa di risonanza e struttura di monitoraggio delle trasformazioni in atto, sia con i diversi livelli istituzionali. Non solo in forma conservativa dunque, ma anche propositiva. Come scrive infatti Mara Cossu: “Questa partecipazione attiva non aspetta che il soggetto pubblico o privato arrivi a proporre una trasformazione, ma si muove per diffondere una propria visione del territorio, presentando proposte e attivando per quanto possibile le popolazioni, anche attraverso la coniugazione tra istanze microlocali e problematiche di scala ampia, sapendo stimolare l’interesse del singolo per riportarlo su questioni complessive”.

I consorzi di auto recupero e l’urbanistica contrattata a Morena e Centroni

Nati sul finire degli anni novanta come risposta innovativa al problema della gestione dei processi di infrastrutturazione delle borgate abusive, i consorzi hanno rappresentato il convergere di temi diversi e in certa misura opposta fra quelli oggetto in anni recenti della ricerca urbana e delle politiche urbane. Da un lato a essere al centro dell’esperienza dei consorzi sta il tema più tradizionale della partecipazione ai processi decisionali in ambito urbanistico e dall’altro quello del coinvolgimento diretto, nell’ambito di questi, degli interessi privati e della proprietà diffusa. Coniugando questi due temi in modo irrituale, i consorzi hanno promosso forme di partecipazione diretta dei singoli proprietari alla costruzione della città pubblica in contesti, quelli dell’abusivismo di massa delle borgate romane, caratterizzati come evidente da un forte deficit di infrastrutturazione pubblica sia primaria sia secondaria. Per mezzo del versamento degli oneri di urbanizzazione dovuti all’amministrazione comunale nell’ambito dei programmi di regolarizzazione degli abusi edilizi nelle casse di organismi ad hoc – per l’appunto, i consorzi di autorecupero – i proprietari coinvolti hanno formulato e implementato priorità infrastrutturali che nella gran parte dei casi hanno riguardato gli ambiti primari: opere stradali, fognarie e relative alle reti, verde pubblico. Nel testo sono considerati i casi di due consorzi di autorecupero che insistono nel territorio del Decimo municipio – quelli operanti nelle aree di Morena e di Centroni – che, strettamente associati ai rispettivi comitati di quartiere, hanno prodotto nel corso degli anni duemila nuove opere infrastrutturali primarie negli ambiti di riferimento. Dei consorzi e dei comitati sono restituiti l’agenda, le modalità di funzionamento e i programmi realizzati; dei loro leader è restituita la percezione del ruolo di questi organismi e dei limiti di cui sono stati oggetto. Complessivamente, si rivela come l’esperienza dei consorzi abbia espresso solo parzialmente le proprie potenzialità in un quadro caratterizzato dalla scarsità del capitale sociale e culturale accumulato nei contesti delle borgate e dall’altro per la debolezza – in termini di capacità complessive – del governo urbano. Il valore di queste esperienze è risultato senza dubbio limitato dal suo esclusivo riferimento – nel caso dei due consorzi trattati – alle opere primarie e dall’assenza di modalità di gestione innovative delle opere realizzate. Il potenziale innovativo rappresentato dal binomio proprietà e partecipazione – che si presterebbe a più di un argomento critico – pare essere stato solo in parte realizzato: una nuova fase del governo urbano dovrebbe quindi procedere ad una rivisitazione di questi strumenti. Le imprese sociali formali e informali in Decimo municipio In questa ricerca, useremo il termine impresa sociale in modo estensivo, cioè che non risponde pedissequamente alla legge n. 118/05, per riferirci a quei soggetti operanti sul territorio del Decimo e che trasformano il territorio attraverso relazioni sociali dense di significato. Sinteticamente definiamo l’impresa sociale come noncapitalistica, che sceglie di offrire beni comuni e di impiegare in maniera non privatistica tutti gli eventuali profitti. Volendo schematizzare, possiamo dire che in Decimo esistono oggi sostanzialmente due tipologie di imprese sociali, quelle formali e quelle informali13. L’impresa formale comprende le cooperative sociali storiche presenti sul territorio da oltre un trentennio, ( Cecilia, Consorzio Bastiani, Cantieri Sociali, La città dei Mestieri e la New Horizonts che fanno parte del Consorzio nazionale Solco). Il sistema di servizi sociali proposto dalle imprese formali rientra nello schema tipico di offerta di servizi alla persona erogati da tre decenni dalle cooperative sociali. L’ente gestore (la cooperativa) riceve la commessa pubblica che, in regime di esternalizzazione – secondo la L.328/00 – subappalta i servizi. I servizi sono quelli fondamentali rivolti a un’utenza suddivisa in categorie sociali: anziani, minori, disabili, disagiati, poveri. Le imprese sociali “formali” si rivolgono quindi a utenze specifiche, confinate entro schemi predefiniti e procedure rigidamente codificate. Operare all’interno del circuito istituzionale e funzionare con dinamiche tipiche delle istituzioni (sede e orario di lavoro prestabiliti, contratti di lavoro, interventi standardizzati) sono caratteristiche dell’impresa sociale formale che è composta da professionisti e tecnici (operatori sociali, educatori, assistenti sociali con tanto di ordine professionale nazionale e regionale, ma anche da ragionieri, contabili, presidenti, manager) che prestano la propria opera in cambio di salario. Definiamo la seconda tipologia di impresa sociale incontrata sul territorio del Decimo municipio “informale” (anche se, come vedremo, questa ha saputo progredire e sviluppare rapporti istituzionali stabili e continuativi) che è caratterizzata – in questo contesto – dalla creatività, dall’innovazione, dalla sperimentazione nonché connotata politicamente, nel senso che la matrice politica assume un importanza centrale e condiziona le scelte e le azioni. In luogo del salario, nell’impresa sociale informale si parla di auto reddito, alla prestazione lavorativa (con un orario, un luogo, delle mansioni specifiche, pure presenti in quelle attività volte al guadagno economico), qui si affianca l’appartenenza e la militanza politica – che è cosa diversa dal volontariato – e la pratica del lavoro di gruppo e delle scelte collettive. L’impresa informale crea un tipo di relazione non istituzionalmente codificata (operatore/utente, datore di lavoro/ prestatore d’opera) e soprattutto non si rivolge a un target predefinito, quindi, come abbiamo visto, a categorie sociali e, anzi, parte delle sue risorse, sono dedicate alla ricerca, su un territorio circoscritto, di persone da coinvolgere in quel “discorso politico” da portare avanti congiuntamente. In questo senso l’impresa sociale informale è aggregativa e partecipativa. Di questa tipologia di impresa fanno parte, a diverso titolo, il centro sociale Corto Circuito, lo Spartaco, Garage Zero, LuchaySestia. Tutte realtà che si basano su strategie diversificate di guadagno (sovvenzioni popolari, auto reddito, performance, raccolta fondi).

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