La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo non ha dato minimamente il senso dei processi che a livello continentale sono già in atto e che possono trovare ulteriori e diversi sviluppi dall’esito del voto. Questo non è accaduto solo in Italia, purtroppo. Più o meno in ogni Paese, il voto europeo viene usato dai singoli Governi come una specie di elezione di midterm al fine di sondare il consenso dei cittadini e, quel che è peggio, spesso anche le varie opposizioni giocano lo stesso gioco. Questa tendenza si è accentuata con l’accrescersi del carattere “intergovernativo” dell’Unione, e va di pari passo con l’aumento dell’astensionismo dei potenziali elettori.
Rinascono nazionalismi perfettamente compatibili con quell’Unione che Giorgia Meloni definisce “confederazione di Stati-nazione”. Un unicum in Europa la sua candidatura come Presidente del Consiglio nelle liste europee dove la sovrapposizione tra potere legislativo e esecutivo appare platealmente.
A est come a ovest si avverte un clima di disillusione nei confronti dell’Europa e delle promesse che la sua riunificazione aveva suscitato.
La prima e più importante di queste promesse riguarda la guerra e il riarmo. Quel dividendo della pace che la caduta del sistema antagonista avrebbe dovuto assicurare dopo l’89 si è dimostrato alla fine inesistente, e il crollo dell’Unione sovietica si è rivelato foriero di nuovi e devastanti conflitti.
La guerra torna nel Vecchio continente, e la cosa più grave è che a essa non si cercano alternative.
La Conferenza di Helsinky, che nel 1975 aveva, con il suo atto finale, affrontato con successo il problema della sicurezza europea, Unione sovietica compresa, appare oggi fuori dalla portata culturale prima che politica delle attuali classi dirigenti.
Le guerre già in atto ne stanno preparando altre ancor più estese e devastanti, e questo, insieme al riarmo e all’economia di guerra, richiede di preparare le società: con una informazione compiacente, con l’attacco alla libertà di espressione, col ripristino della leva militare, con investimenti che assorbiranno risorse sottratte al già precario welfare e che l’UE, nel suo rinnovato Patto di stabilità, consentirà.
L’Europa “culla dei diritti” dimostra, poi, il suo volto più crudele nei confronti dei migranti. Il recente “pacchetto immigrazione” rende legali la privazione delle libertà personali dei richiedenti asilo, i respingimenti collettivi, l’identificazione con impronte digitali e dati biomedici dei minori, già dall’età di sei anni, la proliferazione in Paesi terzi di centri di detenzione con espulsioni finanziate da fondi UE. Un’altra guerra.
Di conseguenza la questione sociale, peraltro da sempre subordinata al mercato e alla concorrenza, e la stessa difesa ambientale sono di fatto fuori dalle priorità politiche.
Nel Parlamento europeo molti di questi provvedimenti, purtroppo, sono stati possibili per una sintonia tra i maggiori gruppi, con il concorso di quelle destre, o parte di esse, che oggi si presentano a queste elezioni con una precisa visione istituzionale e politica dell’Unione. A fronte della quale è apparsa debole o inesistente un’idea alternativa dell’Europa come soggetto capace di affrontare la grande questione della necessità di nuovi equilibri in un mondo che non accetta più di subire la sudditanza imposta dall’Occidente con il dominio del dollaro e da istituzioni quali il Fondo monetario internazionale. Gli USA reagiscono con minacce di protezionismo, peraltro difficili da mettere in atto, e soprattutto, essendo la più grande potenza militare, con la guerra. E l’Europa?
Infine, esiste in Europa una questione democratica esistenziale. Il “funzionalismo” del passo dopo passo, del procedere per “crisi” è arrivato al capolinea. È pensabile una politica estera e di sicurezza comune che si spinga fino all’idea di un unico esercito senza una Costituzione? Nell’attuale Trattato questa politica, seppure in embrione, è completamente nella disponibilità del Consiglio il quale non deve rendere conto a nessuno se non, a posteriori, informare il Parlamento. Si può di conseguenza capire che la questione del suo voto a maggioranza o all’unanimità impallidisce di fronte all’abnormità di un potere senza bilanciamenti democratici. Non bisogna essere costituzionalisti per capire che questa è una follia.
Sul piano politico le destre hanno tentato la riscrittura della storia al punto di ottenere nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo nel 2019 l’attenuazione della condanna del nazismo e del fascismo equiparati genericamente alla categoria dei totalitarismi e sono riusciti a modificare la stessa agenda della Commissione von der Leyen, con una sorprendente duttilità della stessa, su questioni cruciali quali il contrasto al riscaldamento globale, la politica agricola, l’immigrazione.
Il raduno di Vox a Barcellona ha mostrato la volontà delle destre di voler sovvertire gli stessi equilibri politici europei in proprio favore con movimenti tra i due gruppi parlamentari di appartenenza e collocazioni che saranno più chiare dopo il voto e che dipenderanno dall’esito dello stesso.
Tutti questi motivi dovrebbero spingere le elettrici e gli elettori a riprendere nelle proprie mani il futuro dell’Unione, e a farlo affinché non sia la destra nazionalista a dettare le regole del gioco. È importante votare, e votare quelle liste e quei candidati/e che diano sufficienti garanzie di saper corrispondere a queste terribili e pressanti sfide.
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