A 50 anni dalla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e cooperazione in Europa la Fondazione Basso, il CRS, La Fondazione Di Vittorio e Salviamo la Costituzione hanno promosso un appello per riprendere un percorso politico verso la pace che coinvolga popoli e governi, una via contrapposta ai nuovi imperialismi e al dominio del più forte. Una via basata su una prospettiva multipolare in cui il diritto internazionale, trattati multilaterali e non imposti rappresentino la via maestra per la risoluzione dei conflitti. Dal nostro punto di vista questa iniziativa dovrebbe accompagnarsi e sollecitare allo stesso tempo nel fronte dell’alternativa al Governo Meloni una discussione seria e profonda, aliena dalla (miope) ricerca di posizionamenti e vantaggi di partito o di fazione. Di fronte a una svolta storica di portata epocale è inconcepibile voltarsi dall’altra parte e aspettare che passi la nottata. Quello a cui stiamo assistendo è la fine dell’atlantismo, che è stato un punto di riferimento costante di gran parte della sinistra europea ed italiana dagli anni Ottanta in poi. Si è dibattuto molto, negli anni, sulla famosa dichiarazione di Berlinguer circa la protezione offerta – nel quadro di un più ampio processo di distensione – dall’ombrello della NATO a un processo di trasformazione sociale: non intendiamo qui ragionare se quello fu o meno un errore. Riteniamo solo che si debba prendere atto del fatto che quella “protezione” non c’è più. E che non c’è più nemmeno un fronte della democrazia contrapposto alle diverse dittature del mondo, perché Trump la democrazia liberale, per come l’abbiamo conosciuta, non solo è impegnato a smantellarla nel suo paese, ma sta anche costruendo l’Internazionale di tutti quelli che, nel mondo, la democrazia e lo Stato di diritto sono impegnati a metterli in discussione. Trump, del resto, è il prodotto finale di una regressione della democrazia rispetto agli interessi del capitalismo selvaggio iniziata 50 anni fa. Su questo le responsabilità enormi delle sinistre occidentali a partire dal democratici di Bill Clinton sono note e non è questa la sede per richiamarle. Il capitale oligarchico ora diviene Stato, ma non è una invenzione di Trump. 

Costruire un‘idea nuova a sinistra, di cosa significhi oggi (anche ma non solo) sicurezza sul piano internazionale, è un compito urgente da affrontare per forze che si propongono come alternativa di governo a tutte le destre. A partire da un assunto semplice: i popoli considerano come valore supremo la pace. Se passa nel senso comune l’idea che la guerra sia alle porte, e che bisogna prepararsi, vince la destra ed è in pericolo la democrazia. Questi tre anni ne sono l’ennesima conferma.

Ed è in pericolo ancor di più la democrazia sociale, quella che dei diritti sociali di cittadinanza fa un punto di avanzamento determinante rispetto alla democrazia liberale. Intendiamo per “democrazia sociale” quella forma politica che nel nostro paese abbiamo formalmente conquistato con la sconfitta del nazifascismo e poi con la carta costituzionale; ma che, nella sostanza, abbiamo costruito grazie a grandi lotte sociali, protrattesi appunto dalla seconda metà degli anni ’60 fino alla prima metà degli anni ’70. È vero: da quel momento in poi, questa democrazia ha iniziato – prima lentamente, poi sempre più velocemente – a indebolirsi, man mano che quelle lotte venivano meno. Ma una cosa è certa: lo stato di guerra ne rappresenterebbe la fine certificata.

Questa forma della democrazia, per noi, si difende e si diffonde innanzitutto con la pace. Certo non basta, ma ne è comunque il presupposto.

Opporsi a Trump e alla sua apertura unilaterale alla Russia, alla sua transactional diplomacy non può volere dire rimpiangere i bei tempi della guerra e dello scontro frontale fra l’Occidente e i suoi nemici. Bisognerà allora ragionare sugli errori e sulle omissioni di iniziativa politica della parte maggioritaria della sinistra in Italia e in Europa. L’autocritica fondamentale dovrebbe riguardare l’acquiescenza a finanziare tutti gli invii di armi a Kiev, coprendosi ogni volta con la foglia di fico dell’idea secondo cui quell’invio avrebbe dovuto essere accompagnato dall’apertura di una trattativa diplomatica che non si è mai aperta. Perché era impossibile aprire qualsiasi tipo di trattativa con la Russia, se si poneva come condizione la sua sconfitta militare sul campo. Una ben strana trattativa che avrebbe dovuto cominciare dopo la sconfitta militare del nemico, che del resto tutti sapevano essere impossibile, tranne che al prezzo di una guerra diretta con la Russia, con conseguenze ancora più catastrofiche.

Trump ha agito su questo vuoto totale di proposta dell’Europa, subalterna alla strategia di allargamento ad est della NATO iniziata nel 1994, accelerata dal bombardamento di Belgrado, proseguita per tutto l’ultimo ventennio.

Non esistono guerre giuste, guerre legittime: c’è sempre un’alternativa ma rimuovere tutto quello che è accaduto prima dell’invasione dell’Ucraina non ci aiuterà a definire un progetto autonomo. È fondamentale averlo ben chiaro in mente.

Trump ha certamente meno remore di noi a trattare con Putin. Anzi, trattare con gli autocrati è per lui più naturale che confrontarsi con le nostre democrazie. Così, con altrettanta facilità, può sostenere l’apartheid praticato da Netanyahu, e può promettere a suo modo di portare alla pace. Con la trattativa per l’Ucraina, con le deportazioni e il massacro dei riottosi in Palestina.

Ma sarebbe davvero ingenuo omettere che Trump ha riconosciuto un dato di fatto: la guerra per procura in Ucraina è persa.

La grande responsabilità dell’Europa sull’Ucraina è di aver permesso di giocare a Trump per primo la carta della trattativa. La sinistra avrebbe potuto esigere dall’Europa di aprirla davvero la trattativa. Almeno connotarsi per questa rivendicazione, sostenendo ad esempio la linea che Bergoglio porta avanti dal primo giorno del conflitto.

Riconoscendo magari una e una sola ragione della Russia: l’insofferenza cioè per il diffondersi al suoi confini di decine di nuove basi della NATO. Troviamo quindi del tutto insensato proporre – come alternativa alla mossa di Trump – l’ aumento della spesa militare dell’Unione e di tutti gli Stati europei. Il ventilato superamento del Patto di Stabilità al fine di poter acquistare più armi porterà ogni singolo Stato europeo a una dipendenza ancora maggiore dagli USA, visto che sono loro che da questo mercato di morte sono pronti a guadagnare di più. Rientra nella strategia trumpiana di reindustrializzazione degli Stati Uniti e di riduzione del deficit della bilancia commerciale: ma a noi, cosa porta?

Von der Leyen vede in questo addirittura un fatto positivo. Se compriamo più armi dagli USA, e magari più gas a un costo quatto volte superiore a quanto quel gas costa agli statunitensi, potremmo evitare dazi eccessivi alle nostre esportazioni verso gli USA. Questa sarebbe la vittoria più eclatante di Trump. Tenerci fuori da ogni trattativa sul futuro dell’Ucraina e nello stesso tempo renderci ancora più subalterni imponendoci l’acquisto delle sue armi e del suo gas, con in più l’aver dato un colpo mortale non solo allo stesso progetto del Green Deal europeo, che Trump e Musk – da feroci negazionisti climatici – vedono come fumo negli occhi. Ma, lo ribadiamo, anche al nostro Stato sociale, spendendo in armi quello che dovremmo spendere in scuola, sanità, anche in questo coerenti con l’opera di smantellamento del welfare che la destra al potere sta disinvoltamente mettendo in atto negli USA.

Cosa dovremmo proporci allora? Di quale proposta la sinistra italiana tutta dovrebbe farsi interprete in Europa? La prima è ovvia. Se ci sarà la pace ci vorranno meno armi. Se la Russia non è più il nemico per gli USA, perché dovrebbe continuare a essere il nostro, quello contro cui continuare ad armarsi? Può essere la guerra il progetto dell’Europa? Non era la pace ad ispirare il manifesto di Ventotene? Se pensiamo di dare una chance al progetto politico mai realizzato dell’Unione europea, dobbiamo proprio pensare all’opposto di come abbiamo fatto in questi tre anni.

L’Europa dovrebbe impegnarsi perché contestualmente alla trattativa sull’Ucraina ne parta una sulla sicurezza europea, a cui associare anche la Russia, e una sul disarmo, a partire da quello nucleare. La maggioranza degli Stati che siedono alle Nazioni Unite guarderebbero con grande favore a una iniziativa di questo tipo. La pace e la sua tenuta richiederebbero il rafforzamento di tutti gli organismi dell’ONU attualmente sotto attacco. A partire dalla Corte Penale Internazionale. Il nostro governo, oltre a riportare in Libia un assassino, ha più volte detto che non arresterebbe Netanyahu se decidesse di venire in Italia. Sarebbe bello sentir dire dalla sinistra italiana che se governasse lei lo arresterebbe, e che questo sarebbe un grande contributo per arrivare a una pace in Palestina rispettosa dei diritti e delle sofferenze della popolazione palestinese.

Un’ultima cosa. C’è chi dice che Trump voglia sbarazzarsi dell’Ucraina e dell’Europa per concentrarsi sul suo vero nemico, la Cina, quello che più lo impensierisce per la sua potenza economica e per i suoi straordinari risultati tecnologici. Ma c’è, d’altro canto, chi pensa che potrebbe cercare un accordo con la Cina per una più tranquilla spartizione del mondo, spingendola ad accantonare il multilateralismo su cui continua a insistere. Anche a questo proposito sarebbe opportuno per l’Europa muoversi subito verso la Cina, concordando in autonomia le regole degli scambi economici, della collaborazione tecnologica. Guardando, insieme, alla vera sfida dell’umanità: ovvero, il contrasto all’aumento delle temperature attraverso la riduzione massiccia di CO2, da basare su un investimento straordinario in scienza e nelle tecnologie da applicare alle fonti rinnovabili, anche in considerazione della loro ricaduta sicura su tutti i settori della manifattura che deve guardare ad una transizione giusta.

Sapendo che se la partita Trump se la giocherà in proprio, sia che con la Cina punti allo scontro, sia che punti ad un accordo, ciò avverrà a discapito dell’Europa. E dentro l’Europa del nostro Paese.

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