Articolo pubblicato su “trasform!italia” il 06.04.2022.

La Cina promette all’Unione Europea una partnership basata su pace e prosperità economica attraverso l’implementazione dell’Accordo globale in materia di investimenti siglato il 30 dicembre 2020, ma rimasto bloccato da allora. Esorta l’UE ad esercitare la sua “autonomia strategica” rispetto agli USA che da tempo hanno identificato la Cina come loro “rivale strategico”. Ora si tratta di vedere se le classi dirigenti europee decideranno di perseguire gli interessi economici e politici europei riconoscendo l’ascesa pacifica della Cina allo status di grande potenza. Oppure se, come già avvenuto nei confronti della Russia ancor prima dell’aggressione criminale di Putin all’Ucraina, si allineeranno, in qualità di junior partners, ai desideri della potenza americana ormai in declino, ma ancora con formidabili capacità economiche, tecnologiche e militari, che vuole combattere una nuova Guerra Fredda per il contenimento della Cina, accelerando così la deglobalizzazione e la regionalizzazione del mondo in blocchi economico-militari contrapposti guidati da Stati Uniti e Cina.

Venerdì 1° aprile i leader dell’UE – Ursula von der Leyen e Charles Michel, presidenti della Commissione Europea e del Consiglio Europeo – hanno incontrato online i leader cinesi – Xi Jinpig e Li Keqiang, il presidente e il premier della Cina. E’ stato il primo incontro formale tra i leader delle due parti dal 30 dicembre 2020. Un vertice bilaterale (il 23°) virtuale durato circa un’ora e descritto da un diplomatico dell’UE come “difficile“, avvenuto all’inizio del secondo mese di guerra in Ucrania, con grandi pressioni, soprattutto dagli USA, affinché gli europei rinnovassero gli avvertimenti ai leader cinesi di non indebolire le sanzioni contro la Russia1.

In effetti, uno dei messaggi di von der Leyen e Michel è stata la velata minaccia che le aziende europee potrebbero ritirarsi dagli affari con la Cina se Pechino si schiererà troppo a stretto contatto con Mosca (soprattutto, inviando un supporto militare). “Contiamo sul sostegno della Cina per raggiungere un cessate il fuoco duraturo, porre fine a questa guerra ingiustificabile e affrontare la drammatica crisi umanitaria che ha generato“, ha detto Michel. Nella conferenza stampa, von der Leyen ha detto che le due parti avevano semplicemente “punti di vista opposti” riguardo alla crisi ucraina: per gli europei (come per gli americani) è una crisi internazionale – per cui “l’invasione russa dell’Ucraina rappresenta un momento di svolta non solo per il nostro continente, ma anche per le nostre relazioni con il resto del mondo; è un momento decisivo perché niente sarà più come prima della guerra” -, mentre per XI è una crisi europea, ossia regionale. “La crisi ucraina deve essere gestita correttamente… e non si può vincolare il mondo intero alla questione, tanto meno facendo pagare un prezzo pesante ai cittadini di tutti i Paesi a causa di ciò“, ha detto Xi. “Se la situazione peggiora, potrebbero essere necessari anni, un decennio o decenni per riprendere [la normalità] in seguito”. Sebbene non sia del tutto chiaro se il governo cinese consideri la guerra in Ucraina positiva o negativa, è assai probabile che nel complesso la consideri più come negativa perché è un disturbo generale per i flussi economici globali e le importazioni cinesi di grano, olio di girasole, fertilizzanti ed altre materie prime dall’Ucraina e dalla Russia.

Il timore dei leader europei (ed americani) è che Pechino faccia qualcosa per aiutare la Russia a eludere le sanzioni occidentali, sebbene finora le abbia rispettate (ad esempio, rifiutandosi di fornire componenti per aerei). “Ci aspettiamo che la Cina, se non sostiene le sanzioni, almeno faccia di tutto per non interferire in alcun modo“, ha affermato von der Leyen. “Nessun cittadino europeo comprenderebbe qualsiasi sostegno alla capacità della Russia di trainare la guerra. Inoltre, comporterebbe un grave danno reputazionale per la Cina qui in Europa: i rischi reputazionali sono anche le forze trainanti dell’esodo delle compagnie internazionali dalla Russia“.

La dirigenza cinese ha offerto all’Unione Europea assicurazioni che sta cercando di sostenere una trattativa di pace in Ucraina, ma alle condizioni decise dalla Cina (“a modo suo“), rifiutando la pressione per una posizione più dura nei confronti della Russia2. Dal punto di vista cinese, Cina e Russia sviluppano legami basati sul reciproco vantaggio e non c’è niente di sbagliato che due membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) conducano normali scambi commerciali. Le relazioni tra Cina e Russia dovrebbero essere decise dai due Paesi piuttosto che dall’UE, dagli USA e dalla NATO (che nel giugno 2021 ha inserito la Cina tra le grandi sfide sistemiche della sicurezza globale, a fianco del tradizionale rivale, la Russia3.

La presidente della Commissione Europea ha aggiunto che il settore imprenditoriale europeo “sta seguendo da vicino gli eventi e valutando come si stanno posizionando i Paesi. Questa è una questione di fiducia, di affidabilità e, naturalmente, di decisioni sugli investimenti a lungo termine. Mi permetto di ricordare che ogni giorno Cina e Unione Europea scambiano beni e servizi per un valore di quasi 2 miliardi di euro e, in confronto, il commercio tra Cina e Russia è solo di circa 300 milioni di euro al giorno“. La Cina è il più grande partner commerciale della UE4 e anche il principale investitore. I legami economici e commerciali rimangono stretti e continuano ad espandersi con una forte complementarità. Il commercio della Cina con l’UE nel 2021 è stato di 828,1 miliardi di dollari, con un aumento del 27,5% su base annua, e la Cina è stata il secondo destinatario delle esportazioni di beni dell’UE e la principale fonte di importazioni di beni dell’UE. Nei primi due mesi del 2022, l’UE ha superato l’ASEAN come principale partner commerciale della Cina dopo aver perso la posizione nel 2021, poiché il commercio tra Cina e UE è aumentato del 14,8% su base annua a 137,16 miliardi di dollari.

Nel 2019 Xi ha definito Putin il suo “migliore amico e collega” e nel corso dell’incontro tra Putin e Xi Jinping a Pechino lo scorso 4 febbraio sono stati firmati nuovi accordi economici nell’ambito di quella che Xi ha definito una “cooperazione senza limiti” tra Cina e Russia, una partnership che i media occidentali mainstream hanno subito bollato “asse autoritario” (sulle relazioni economiche e politiche tra Cina e Russia vedi il nostro articolo), che sarebbe deciso ad estinguere l’architettura della sicurezza globale che da decenni salvaguarda la pace e la democrazia5. Sul piano delle relazioni internazionali, Cina e Russia appaiono allineate sulla maggior parte delle questioni più contrastanti con gli USA – Iran, Corea del Nord, Venezuela, Siria, Taiwan6 – e condividono l’ostilità degli Stati Uniti. Mosca sta combattendo una guerra in Ucraina con il dichiarato obiettivo di contrastare l’espansionismo di Washington realizzato attraverso la NATO, mentre Pechino è alle prese con la guerra politico-commerciale-finanziaria scatenata da Trump e continuata da Biden all’interno di un approccio da nuova guerra fredda (su questo tema vedi il nostro articolo). Cina e Russia si oppongono a qualsiasi ulteriore allargamento della NATO e hanno invitato il blocco ad abbandonare “gli approcci ideologizzati da guerra fredda”, che si basano sulla logica manichea “amico o nemico7.

Ci sono, però, anche profonde differenze tra gli interessi, le motivazioni e le visioni russe e cinesi per l’ordine interno e globale. La Cina e la Russia hanno sistemi politici molto diversi ed economie molto diverse, con andamenti molto diversi: la Cina è la “fabbrica del mondo” ancora in crescita che crea ricchezza per la propria popolazione e per l’economia mondiale, la Russia è un esportatore di materie prime in declino, senza una vera forza economica autonoma. La Cina è uno Stato comunista in cui il Partito Comunista – che ha circa 105 milioni di membri e circa 81 milioni iscritti alla Lega Giovanile – governa per conto del popolo ed è impegnato a realizzare il “sogno cinese di rinascimento nazionale” (dopo il cosiddetto “secolo dell’umiliazione nazionale” durante la dinastia Qing, il periodo tra il 1839 e il 1949, dalla prima Guerra dell’Oppio alla vittoria dei comunisti di Mao Zedong sui nazionalisti di Chiang Kai-shek), una nuova era di “prosperità armoniosa” con una società xiakang, “moderatamente prospera” all’interno di un “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”. Un modello politico che ha l’ambizione di combinare insieme elementi di capitalismo e socialismo – dalla proprietà delle imprese ai processi di pianificazione multilivello, dai diritti di utilizzo della terra di proprietà pubblica alle imprese statali, dalle riforme del welfare state (con un decisivo impegno per eradicare la povertà economica ed educativa) ai valori culturali politici incorporati in una combinazione di marxismo-leninismo, capitalismo e confucianesimo in cui la collettività viene prima dell’individuo. La Russia è una dittatura nazionalista conservatrice personalizzata che si maschera da democrazia, e con un’economia improntata ad un capitalismo oligarchico di stampo predatorio neoliberista. Entrambe le economie sono molto controllate dai governi (anche se una ricerca del think-tank europeo Bruegel sulle strutture proprietarie delle più grandi aziende rileva che il settore privato è avanzato nell’era di Xi Jinping), per cui tutto diventa politico, ma ciò non garantisce alcuna commensurabilità. Inoltre, si aggiungono profonde differenze culturali. Xi si muove all’interno della millenaria cultura cinese rinnovata dall’incontro con il marxismo (da cui il “socialismo con caratteristiche cinesi”). Putin, nonostante identifichi la Russia come una potenza euroasiatica, ha più volte specificato di inserirla all’interno del contesto culturale occidentale cristiano e antimodernista (non certo quello del socialismo o della liberal-democrazia che Putin ha detto essere “diventata obsoleta”). Come ha notato Simone Pieranni: “Per questo per Putin la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (alla Clausewitz). Xi è cinese. È Sun Tsu a indicare la strada e la guerra migliore è quella che si vince senza combattere.

Soprattutto, sebbene i leader di Russia e Cina condividano una serie comune di rimostranze sulla sicurezza contro il blocco di forze guidato dagli Stati Uniti, temendo sia la sovversione interna sia le limitazioni esterne alle loro aspirazioni regionali, l’obiettivo di Putin è semplicemente quello di distruggere queste minacce con una politica aggressiva, anche di tipo militare, mentre Xi si muove in modo più felpato, pur non disdegnando di usare l’economia come strumento per portare gli equilibri internazionali dalla propria parte, e soprattutto ha articolato un’ambiziosa visione positiva per il mondo che va oltre il desiderio di acquisire per la Cina lo status di grande potenza regionale e che intreccia gli interessi del popolo cinese con il perseguimento del bene comune globale. Il fulcro di questa visione è la Belt and Road Initiative (BRI), un programma composto da una miriade di investimenti, prestiti e progetti infrastrutturali che hanno portato all’investimento di quasi due trilioni di miliardi di dollari nei Paesi emergenti e poveri sotto forma di infrastrutture, attività produttive, servizi logistici e sanitari e connettività digitale. Investimenti essenziali che sono stati trascurati per decenni dagli investitori occidentali e dalle agenzie di sviluppo, e che quindi sono stati accolti favorevolmente nel Sud del mondo8. Lungi dall’imporre un nuovo ordine globale, la Cina invita l’Occidente a lavorare insieme per riformare lo status quo9, una proposta che purtroppo viene sistematicamente rifiutata dagli USA10.

Finora la Cina ha mantenuto una linea bilanciata e prudente, cercando di navigare con attenzione, reagendo in tempo reale11. Non ha approvato l’invasione russa dell’Ucraina, anche perché uno dei cardini della politica internazionale cinese dal 1949 è l’opposizione a qualsiasi atto che violi la sovranità ed integrità territoriale di uno Stato, come previsto dalla Carta dell’ONU. Inoltre, Xi vuole dimostrare la capacità della Cina di essere pronta ad operare come una “potenza mondiale responsabile“. Nonostante i grandi accordi economici con la Russia (a cominciare dalle forniture di petrolio e gas), Xi e il governo cinese hanno ripetutamente invitato “le parti ad esercitare moderazione e a evitare che la situazione vada fuori controllo”. La Cina si muove con grande cautela, non ha nessuna intenzione di farsi trascinare nella crisi, di prendere parte, almeno per ora, soprattutto non vuole rischiare di antagonizzare l’Unione Europea – il suo principale mercato di esportazione -, come non ha alcun interesse che quest’ultima rimanga allineata al volere degli USA12.

Non a caso, riguardo al vertice Cine-UE la stampa cinese ha evidenziato soprattutto l’invito di Xi all’Europa a sviluppare la propria politica “autonoma” dagli USA nei confronti della Cina13 e a “stare dalla parte giusta della storia”, prendendo il controllo del proprio destino e agendo per la sua sicurezza14.

Al tempo stesso, la Cina non approva le sanzioni per risolvere i conflitti internazionali. Per cui non ha aderito direttamente (come tanti altri Paesi asiatici, mediorientali, africani e sudamericani) alle misure a carico della Russia dopo l’invasione. La Cina si è sempre opposta a sanzioni unilaterali al di sopra del diritto internazionale (e senza un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU), ritenendo che oltre a creare gravi problemi economici per entrambe le parti, determinino nuovi problemi critici per l’economia globale (nel commercio e crescita economica, nella finanza15, nell’energia16, nella sicurezza alimentare e nelle catene industriali e di approvvigionamento) e non aiutino la risoluzione dei conflitti. La preoccupazione cinese deriva dal timore che troppe sanzioni possono comportare stagnazione economica, inflazione galoppante senza crescita (stagflazione) e persino una crisi del debito per l’Europa e tanti Paesi emergenti e poveri. Inoltre, la leadership cinese teme che gli USA (come hanno fatto in altre occasioni) amplieranno il campo di applicazione e creeranno “sanzioni secondarie” (che penalizzano società o Paesi non americani per aver fatto affari con l’obiettivo delle sanzioni primarie, in questo caso la Russia), che potranno portare ad un tiro alla fune sul sostegno alla Russia da parte della Cina e a colpire il suo ampio ruolo nel commercio globale17.

Da questo punto di vista, il summit virtuale tra Cina e UE ha rappresentato un tentativo, almeno da parte cinese, di attenuare le crescenti tensioni tra le due parti e migliorare la cooperazione. Negli ultimi mesi le relazioni si sono complicate, l’accordo di investimento (CAI), fortemente voluto da Germania (per il cui apparato industriale di esportazione la Cina rappresenta un mercato cruciale) e Francia, era stato concluso con la Cina dopo sette anni di negoziati il 30 dicembre 2020, ma è stato bloccato lo scorso maggio dopo che Bruxelles ha imposto sanzioni a quattro funzionari cinesi coinvolti nella politica di Pechino nello Xinjiang per il mancato rispetto dei diritti umani e Pechino ha imposto controsanzioni su alcuni membri del Parlamento Europeo, altre istituzioni UE e soggetti individuali che erano intervenuti sulla questione della repressione contro la minoranza uigura nello Xinjiang18. E’ sorta anche  una controversia economica tra Cina e Lituania quando quest’ultima ha consentito a Taiwan di aprire un’ambasciata de facto a Vilnius. Anche l’adesione della Cina agli standard dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) è ancora un punto critico (soprattutto, per quanto riguarda la ratifica e l’attuazione delle convenzioni n. 29 e n. 105 sul lavoro forzato).

Da alcuni anni ormai l’UE guarda alla Cina in una prospettiva di “cooperazione, competizione e rivalità“. Nel 2019, l’UE è improvvisamente passata da un linguaggio diplomatico morbido ad etichettare la Cina come “rivale sistemico19. Oggi, la UE considera la Cina un rivale in alcuni campi, ma un partner in settori come la lotta al cambiamento climatico (in vista della convenzione COP 27 di Sharm el-Sheikh), la transizione energetica, la salvaguardia della biodiversità (in vista della Convenzione COP 15 di Kunming), e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU. La UE vuole anche coinvolgere la Cina nella sua spinta a riformare le regole commerciali presso il WTO20. Inoltre, Cina e UE lavorano insieme per salvaguardare il multilateralismo, affrontare congiuntamente la pandemia di CoVid-19 (con la Cina che continua ad adottare una politica zero-CoVid-19, con chiusure di intere città e regioni per bloccare i contagi della variante Omicron, assestando duri colpi all’economia cinese), assicurare la sicurezza alimentare, e promuovere la risoluzione di questioni calde come la questione nucleare iraniana Entrambe le parti hanno convenuto che il vertice del 1° aprile è stato caratterizzato da una discussione sincera e approfondita e hanno deciso di intensificare la comunicazione e di mantenere il coordinamento e la cooperazione. Per i leader cinesi ciò che è più importante è che non ci sono né conflitti geopolitici fondamentali tra  Cina e UE, né conflitti di interessi inconciliabili21.

Ad oggi il principale beneficiario del conflitto in Ucraina sarebbe la Cina e il secondo beneficiario sarebbero gli USA (che hanno rilanciato la NATO come organizzazione militare sotto il loro pieno controllo), mentre il più grande perdente sarebbe l’UE, sia dal punto di vista economico (con la rinuncia al flusso di gas ed altre materie prime a basso prezzo della Russia) sia da quello politico (la mancanza di un meccanismo di sicurezza equilibrato, efficace e sostenibile in Europa), insieme alla distruzione dell’Ucraina e alla trasformazione della Russia in uno Stato paria, in gran parte tenuto fuori dall’economia continentale. L’Europa stessa sarà divisa lungo una nuova “cortina di ferro”, con le forze militari avversarie armate di missili nucleari e pronte a impegnarsi in ogni momento.

Ma, né l’UE né la Cina sperano di vedere il mondo muoversi verso la divisione in blocchi e la deglobalizzazione22. Entrambe le parti, almeno ufficialmente, si oppongono a una nuova Guerra Fredda o a qualsiasi forma di Guerra Fredda che divida in blocchi l’economia globale, con ciascun blocco impegnato ad isolarsi dall’altro e a diminuire l’influenza dell’altro.

Da questo punto di vista, la Cina esprime preoccupazione per l’impatto sulle imprese cinesi di una serie di politiche economiche e commerciali di tipo protezionista avviate dall’UE negli ultimi anni. I leader cinesi esortano l’UE a mantenere aperti il commercio e gli investimenti e, in particolare, ad astenersi dal creare nuove barriere23. Non pensano che gli scambi bilaterali, il normale commercio dovrebbe essere influenzato da politiche protezioniste o da politiche orientate a promuovere una nuova Guerra Fredda tra il blocco occidentale e la Cina.

Un approccio che promuove una nuova Guerra Fredda attraverso il riarmo e la retorica nazionalista (spesso articolata come difesa dei valori della democrazia e della libertà, come nel caso dell’eccezionalismo americano) incoraggia la Cina a creare un proprio blocco economico e militare per garantire la sua continua crescita economica e sicurezza militare. Rafforza anche gli impulsi nazionalisti nella politica interna cinese che probabilmente hanno portato all’incontro Putin-Xi del 4 febbraio. I leader cinesi temono di non avere altra scelta che rafforzare le relazioni Cina-Russia perché credono che un blocco economico e militare guidato dagli Stati Uniti stia già cercando di minare l’ascesa della Cina, il che sembra lasciare loro solo due opzioni: affrontare la grande potenza dell’alleanza tra Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone e altri Paesi occidentali da soli, o al fianco della Russia, come grande potenza alleata, una eventuale decisione che intensifica le tensioni della Cina con gli Stati Uniti e i suoi alleati europei ed oceanici. Se la spirale crescente di confronto, riarmo, insicurezza, nazionalismo e formazione di blocchi contrapposti continua incontrollata, minaccia di scatenare un conflitto globale che minerà i valori liberali di entrambe le parti molto più sicuramente degli attuali timori sul presunto “asse autoritario“.

Ma, non è troppo tardi per scegliere una strada diversa. La cooperazione tra Cina e Unione Europea (così come tra Cina e USA), unita all’accettazione dell’ascesa pacifica della Cina allo status di grande potenza, farebbe aumentare per la Cina la sensazione di avere più opzioni e di poter correre dei rischi in linea con altre priorità occidentali (come il controllo della proliferazione delle armi nucleari e dei missili balistici ipersonici). E ciò potrebbe senz’altro includere l’applicazione di pressioni per limitare l’aggressione russa all’Ucraina e ad altri Paesi nel mondo. Una maggiore cooperazione Cina-UE andrebbe a vantaggio di entrambe le parti e indicherebbe un’alternativa giusta, sostenibile e pacifica all’escalation su vasta scala della rivalità tra grandi potenze.

Nell’accordo UE-Cina sugli investimenti – Comprehensive Agreement on Investment (CAI) – raggiunto il 30 dicembre 2020 e che secondo gli impegni presi dovrebbe essere ratificato nel 2022, c’è l’impegno politico cinese a garantire un “accesso al mercato sostanzialmente migliorato” per le aziende europee “con l’eliminazione di requisiti e pratiche discriminatorie e la creazione di un quadro di protezione degli investimenti equilibrato”. C’è anche la promessa cinese di garantire “reciprocità” nell’accesso degli appalti pubblici e di risolvere la contesa sulle indicazioni geografiche per i prodotti agroalimentari. Inoltre, viene manifestata l’intenzione di “rafforzare le regole internazionali sui sussidi industriali” nell’ambito della riforma del WTO. Infine, ci sono una serie di clausole sul diritto del lavoro (ma non contro il lavoro forzato, come era stato richiesto dal Parlamento Europeo in riferimento alla minoranza uigura), con la Cina che si è impegnata a ratificare diverse convenzioni OIL.

In sostanza, il CAI, se ratificato, è destinato a rendere ancor più interdipendenti i due blocchi economici e rende l’Unione Europea un attore indipendente nei suoi rapporti con la Cina e soprattutto con gli Stati Uniti. Gli impatti economici della pandemia da CoVid-19 hanno reso le istituzioni europee consapevoli che l’economia cinese è quella destinata a crescere maggiormente in futuro e, di conseguenza, pragmaticamente hanno dato priorità a fare in modo che l’economia europea tragga più benefici possibili dalla crescita cinese (come dopo la crisi del 2008/2009). L’accordo fornisce un unico ordinamento legale agli investimenti tra le due parti, andando a sostituire i 26 accordi bilaterali esistenti, e prevede un migliore accesso al mercato per le imprese europee in molte parti dell’economia cinese. I loro investimenti saranno trattati “non meno favorevolmente” rispetto alle iniziative cinesi negli stessi settori. Ma, restrizioni rimangono in settori chiave come l’automotive (ma apertura sui veicoli elettrici), il trasporto aereo, l’assistenza sanitaria (apertura ad ospedali privati solo in alcune città) e Internet, ma anche nelle industrie dell’energia, delle lavorazioni metallurgiche e del sale. I settori economici considerati sensibili dal governo cinese, come ricerca e sviluppo, ricerche di mercato e molte forme di mappatura e rilevazione, rimangono rigorosamente vietate. Inoltre, mentre le porte in molte aree del settore finanziario cinese – dal settore bancario, ai prestiti non bancari e alla fornitura di dati finanziari – saranno aperte, ci saranno ancora alcune barriere nel settore della gestione patrimoniale e assicurativa e alcuni servizi di gestione dei fondi saranno vietati agli operatori UE. Infine, entrambe le parti potranno esercitare i poteri nell’ambito dei rispettivi meccanismi di controllo degli investimenti esteri nel momento in cui dovessero mettere in discussione la sicurezza nazionale, anche con il nuovo accordo in vigore. Ciò significa che la Cina – che ha promulgato una legge sulla sicurezza nazionale sugli investimenti esteri – potrebbe bloccare qualsiasi piano aziendale della UE e viceversa.

L’Unione Europea ha ottenuto concessioni chiave sul trasferimento forzato di tecnologia e sulla trasparenza sulle sovvenzioni statali per il settore dei servizi cinese (ossia per settori come immobiliare, telecomunicazioni, banche e costruzioni), con Pechino obbligata a pubblicare ogni anno un elenco di sussidi forniti ai settori designati (ma non per i settori industriali). In cambio, la Cina continuerà a ricevere un accesso relativamente libero al mercato UE (a cominciare dal settore delle energie rinnovabili). “In quanto due potenze leader del mondo, due civiltà, Cina ed Europa dovrebbero mostrare impegno, agire in modo proattivo, rafforzare il dialogo, approfondire la fiducia, gestire adeguatamente le differenze, unire le mani per coltivare nuove opportunità e inaugurare una nuova era“, aveva affermato Xi nel corso del video-incontro con le controparti europee del 30 dicembre 2020.

Un commento a “Lo stato delle relazioni UE-Cina: c’è ancora modo di evitare una nuova guerra fredda?”

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