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Articolo pubblicato su “il manifesto” del 26.01.2023.

L’Uruguay è l’ultima tappa del primo viaggio di stato del neo presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva. «Il Brasile è tornato», ripete durante i tre giorni passati sulle sponde del Rio de La Plata, tra Argentina e Uruguay. Da lunedì a martedì, a Buenos Aires, Lula ha una fitta agenda con il presidente argentino Alberto Fernández, con il quale condivide la comune adesione alla famiglia progressista latinoamericana. E il sostegno ai progetti di integrazione latinoamericana, la Patria grande.
Brasile e Argentina hanno annunciato un progetto per l’istituzione di una moneta comune. Non una moneta unica, come l’euro, ma l’utilizzo di una terza moneta per sostituire il dollaro statunitense, attualmente usato per gli scambi commerciali tra i due paesi.

E la costruzione di un gasdotto, finanziato con risorse brasiliane della Banca nazionale di Sviluppo economico e sociale (Bndes). Alla guida del Bndes, Lula ha nominato un fedelissimo, ex ministro e compagno di partito, Aloizio Mercadante. A lui toccherà supportare l’ambiziosa politica industriale annunciata da Lula.

E sempre a Buenos Aires, Lula ha partecipato al VII foro dei presidenti dell’America latina e dei Caraibi (Celac). «Con il ritorno di Lula, la famiglia è al completo», dice il presidente boliviano Arce, riferendosi al ritorno del Brasile dopo l’abbandono della Celac deciso nel 2020 dall’ex presidente Jair Bolsonaro. «Parliamo molto di unirci, facciamo poco per farlo davvero. È ora di cambiare», ha affermato il presidente della Colombia, Gustavo Petro.
E l’esperienza recente ha mostrato la fragilità dei progetti di integrazione latinoamericani, troppo legati al ciclo politico. È sufficiente il cambio di un paio di governi, per annullare anni di sforzi e svuotare le istituzioni regionali, come avvenuto con la Can, la Alianza del Pacifico, la Unasur e l’Alba.

Una delle pietre d’inciampo dell’integrazione latinoamericana sono gli accordi commerciali. C’è chi, come il Cile, storicamente preferisce siglare accordi individuali, e chi invece punta a negoziare come blocco regionale. È il caso del Mercosur (il Mercato comune del Sud, l’accordo di libero scambio tra Uruguay, Paraguay, Argentina, Brasile), nato nel 1991, ma in crisi da tempo.
Di recente, seriamente minacciato dall’annuncio di un accordo commerciale tra Cina e Uruguay. Gli aderenti al Mercosur sono obbligati a negoziare tutti insieme accordi con paesi terzi. Per questo, l’iniziativa uruguaiana mette in discussione tutto l’accordo. Dal canto suo, l’Uruguay risponde che i ripetuti stalli lo hanno convinto a rompere gli indugi e avanzare in un accordo individuale con la Cina. Lo stallo più noto è quello dell’accordo con l’Unione europea, non ancora ratificato.

Ed è proprio di Mercosur che va a parlare Lula nel suo ultimo giorno di viaggio. Destinazione Montevideo, dove lo aspetta il presidente Luis Lacalle Pou, uno dei pochi capi di governo di centro destra, in un’America latina a maggioranza progressista.

L’incontro si svolge nella residenza presidenziale, nel quartiere del Prado, zona ovest della capitale, quartiere di viali alberati, giardini e ville liberty di fine ’800, un ricordo della belle époque uruguaiana. «Non possiamo restare quieti in ambito commerciale», dice Lacalle Pou a Lula. «Le tue richieste sono legittime. È urgente che non solo l’Uruguay, ma tutto il Mercosur faccia un accordo con la Cina. E anche con l’Unione europea», afferma Lula, che prova a disinnescare la minaccia del piccolo paese sudamericano e a rimettere in piedi un organismo che si trascina tra la vita e la morte da anni. «Chiedo all’Uruguay che ci aiuti nella riforma della governance globale.
Una governanca multilaterale che punti a salvare il pianeta dal cambio climatico e dalla guerra. Vogliamo riformare le Nazioni unite, eliminare il diritto di veto e allargare il Consiglio di sicurezza. Se l’ONU funzionasse diversamente, forse non ci sarebbe la guerra tra Russia e Ucraina», conclude Lula, rilanciando il cavallo di battaglia della politica estera brasiliana della riforma ONU.

Subito dopo l’incontro tra i capi di Stato, Lula si dirige al Cerro, quartiere popolare di Montevideo. Va a visitare l’ex presidente uruguaiano, Pepe Mujica, nella sua casetta di campagna, la sua chacra.
La visita a Mujica rientra nel doppio registro del viaggio di Lula: da una parte il presidente che vuole riportare «il Brasile nel mondo»; dall’altro il grande vecchio dei progressisti della Patria grande, l’unico che piace sia a Maduro del Venezuela che a Boric del Cile. In questo senso va letto l’omaggio di Lula alle Madri di Plaza de Mayo: «Hanno ispirato la lotta per la democrazia» ha detto Lula, incontrando il collettivo di donne che ha combattuto per ottenere verità e giustizia per le vittime della dittatura militare argentina.

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