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Articolo pubblicato su “il manifesto” del 14.11.2023 e sul sito DeA.

“Semo de Centurini lasciate passà, semo le tessitore… mattina e sera ticchete e tà…”.

Una giornata – organizzata dal CRS e da altri – per ricordare Mario Tronti e discutere della difficile eredità del suo pensiero (su questo tema ha scritto sul numero in uscita di Critica Marxista Andrea Bianchi) si è conclusa con alcune canzoni della tradizione popolare operaia. Le voci di Sara Modigliani e Laura Zanacchi e le chitarre di Gabriele Modigliani e Massimo Lella hanno ridato vita alle battagliere e un po’ sfrontate operaie tessili di Terni, al dramma dell’operaio licenziato perché ha scioperato e non vorrebbe parlarne al figlio (O cara moglie, di Ivan Della Mea), al popolo comunista romano che dopo la vittoria sul fascismo vuole fare fino in fondo la rivoluzione “con la convinzione di una nova era che al mondo porterà la redenzione”. Si dovrà rispondere “col piombo al piombo” delle armi borghesi: “dal sangue” nascerà una società finalmente giusta…

Vecchie amiche e compagne sedute vicino a me sono ormai commosse fino alle lacrime (e un po’ anche io) e per consolarci si sorride criticamente su quelle antiche parole così appassionate sull’inevitabile scontro armato.

Lo scenario – lo scorso 8 novembre – è quello fantasmagorico della Sala macchine della Centrale Montemartini di Roma, un museo e un luogo di incontro tra reperti archeologici magnifici dell’antichità classica e le rovine tecnologiche di una civiltà industriale otto-novecentesca.

Teatro molto adatto alla lunga discussione sul pensiero, sulle opere e sulle “stile” di Tronti (segnalo arbitrariamente gli interventi di Massimo Cacciari e di Ida Dominijanni, sulla radicale critica della democrazia reale nei suoi ultimi scritti).

Ma il tema che volevo qui accennare, soprattutto, è quello svolto poco prima della musica conclusiva, a proposito del nuovo volume (DeriveApprodi) curato da Tronti e da Lorenzo Teodonio Per un atlante della memoria operaia. Qui, citata in esergo e nella breve ma densissima introduzione di Tronti, si ritrova buona parte della costellazione ideale dell’autore. Dalla famosa frase di Gustav Mahler – “La tradizione è la salvaguardia del fuoco, non l’adorazione delle ceneri” – alle idee sul rapporto tra passato, presente e futuro di Walter Benjamin e Aby Warburg. Ma altri compariranno in corso d’opera, da Pasolini al Calvino che scriveva negli anni ’60 sull’“antitesi operaia”.

Nel passato vanno cercate le ragioni “antagonistiche” che hanno subito cancellazioni e rimozioni, e che possono valere ancora oggi. E queste ragioni vanno trovate anche dove lo stesso pensiero critico marxista, operaista, comunista, è stato cieco. Tanta passione per la “composizione di classe” che si opponeva strutturalmente al padronato, poca attenzione alle “persone in carne e ossa”, ammette retrospettivamente l’autore di Operai e capitale. “Ci è sfuggita una composizione umana di classe operaia”. Forse anche per questo “non si è riusciti a portare quella storia di lunga durata a un fine, o a una fine, all’altezza di quella straordinaria vicenda”.

Mi è venuto in mente un antico scritto di Lea Melandri, che invitava la sinistra a non fare dell’operaio un feticcio ideologico, ma a riconoscere i suoi desideri e la sua umanità fin nei soprammobili un po’ kitsch del suo tinello.

Bisognava pensarci prima e meglio?

Forse non è mai troppo tardi e questo bel volume illustrato, che è già un archivio e un progetto politico, linguistico, artistico, può essere un’arma efficace non “per uccidere o ferire, ma convincere e mobilitare”.

Un commento a “Memoria (operaia), arma per le lotte moderne”

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