Materiali

Messi, il profeta debole

Con la conclusione di questi Mondiali, sembra che il cammino dell’Argentina abbia racchiuso, in qualche modo, una certa linea di destino e di necessità.
Pubblicato il 22 Dicembre 2022
Cultura, Materiali, Scritti, Temi, Materiali

Descrivere il gioioso – quale impresa! La ricerca si origina sempre da una problematica, da un anelito: nelle forme ricerchiamo quello che nel vivere ci sembra sempre impossibilitato a compiersi. Amiamo raccontare l’incompiuto che deve prendere forma – ma quando ci approssimiamo, per degli attimi, nel nostro vivere, a una dimensione di armonia, ecco, allora, che il nostro linguaggio diviene tortuoso, dai tratti involuti. ‘La felicità si racconta male perché non ha parole’: così Truffaut, regista francese. Tuttavia, con la vittoria della Coppa del mondo da parte dell’Argentina siamo entrati, forse, anche noi, nel mondo della vita: e ora le nostre categorie interpretative, in qualche modo, dovrebbero mutare.

Eppure, addosso è rimasto anche il senso di aver avuto il privilegio di osservare (e toccare) qualcosa che con la vita ha poco a che fare. Il vivere, infatti, è caos, frammisto, divenire – in esso nulla sembra poter chiudersi o compiersi in modo definitivo. E, tuttavia, con la conclusione di questi Mondiali, sembra che quella sterminata vita di cui sopra sia divenuta forma compiuta e che, dunque, il cammino dell’Argentina abbia racchiuso, in qualche modo, una certa linea di destino e di necessità. Insomma – alla fine di questo percorso della Selección (comprendente almeno gli ultimi quindici anni) – vi è come un sentire comunitario che quello che si è vissuto ed esperito abbia assunto, simultaneamente, i tratti di un’opera d’arte, assurgendo, cioè, a una dimensione dalle possibilità simboliche.

Tutt’altro che una marcia trionfale, quella dell’Argentina è stata, piuttosto, la storia di un’ascesa lenta e dolorosa in direzione di una riformulazione dei propri tratti essenziali. Uno iato invalicabile sembrava infatti separare la fragilità di Messi e una nazione, invece, abituata a leader carismatici – da Maradona a Perón – in grado di unificare in un ‘sentire condiviso’ l’eterogeneo nazional-popolare. Insomma, sembrava non esserci spazio, in patria, per un ‘profeta debole’: no es para mi – così parlava lo stesso Messi, dopo l’ennesima catastrofe sportiva con la propria nazionale, come a ribellarsi a un destino che non sentiva come proprio. Questa chiusura, tuttavia, gradualmente si è tramutata in apertura, e l’apertura in un mutuo avvicinamento: Messi ha cominciato a vestire quell’abito che gli era stato assegnato – senza abiurare, a ogni modo, a quel carisma a esso proprio, un carisma, che prima o poi dovremo approfondire, originantesi dalla debolezza e da una muta interiorità – e, simultaneamente, quella nazione ha cominciato a riconoscerlo e ad amarlo per come esso era realmente. Ecco, dunque, come quel movimento nazional-popolare si sia unificato anche (e soprattutto) per sua forza propria: leader, profeta, carisma sono parole (e concetti) che sono state dovute esser, prima di tutto, pronunciate (e riconosciute) da un precedente movimento orizzontale (democratico).

Ecco perché ci è sembrato, per un momento, che la vita si fosse fatta forma (e opera d’arte): perché questo lento e travagliato processo di una nazione di pervenire alla propria dimensione essenziale e a una simbolizzazione dell’esistente eravamo abituati a legarlo esclusivamente all’epica e alle grandi epopee. Ma ora, invece, siamo integralmente dentro la ‘vita’ – il tema con cui si era aperto quest’articolo – e da qui – dal nostro decadente punto di vista occidentale/europeo – non possiamo non scorgere come in quella ‘festa del tempo’ argentina, in quella stretta relazione di nazionale e internazionale, si riveli la visione di un ‘mondo nuovo’ (o forse, meglio, di qualcosa per noi perduto, antico, di cui proviamo una certa nostalgia). Insomma, l’Argentina probabilmente per noi è anche l’incarnazione di un’utopia, di quell’utopia di cui necessitiamo per non disperderci, definitivamente, nelle nostre abbandonate solitudini. Quella possibilità, in definitiva, per riscoprire, anche noi, che, forse, vi è vita oltre le forme e che, forse, solo qui, in Europa – in un contesto, cioè, dove risiede la più radicale separazione tra arte e vita, filosofia ed esistenza – si presenta come profondamente problematico il raccontare una dimensione di ‘festa’: il descrivere, in ultima istanza, ‘gioiosamente il sentimento più gioioso’, quello che si sta vivendo (e raccontando), questi giorni, in ogni vicolo di Buenos Aires.

Qui il PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *