Coltano è un borgo rurale costituito in gran parte di case coloniche sparse e in parte in abbandono nella porzione meridionale del territorio pisano, insediato su un’ampia bonifica realizzata circa cento anni fa. Fino a fine marzo era una plaga amena, laboriosa e un po’ sonnacchiosa, afflitta (e indignata) da un oblio tipico delle aree agricole marginali a cui la relegava ormai tradizionalmente l’altrettanto sonnacchiosa e mediocre politica cittadina. Di colpo, invece, dal 25 marzo Coltano è diventato il teatro di uno scontro esemplare, che riassume in sé un sorprendente numero di nodi politici e che ha finito per racchiudere potenzialità importanti per il futuro dei movimenti del nostro paese.

Tutto è cominciato da quando abbiamo scoperto e reso pubblico che nella Gazzetta ufficiale di due giorni prima era comparso un lapidario decreto del Presidente del Consiglio che in otto righe annunciava come “l’intervento infrastrutturale per la realizzazione della sede del Gruppo intervento speciale, del 1° Reggimento Carabinieri paracadutisti Tuscania e del Centro Cinofili, in Pisa – area Coltano” fosse soggetto a misure di semplificazione procedurale. Un “intervento infrastrutturale” mai presentato e mai discusso da nessuno, anzi mai annunciato: una novità assoluta che precipitava come un meteorite sulla vita della città e di Coltano. La cosa sarebbe passata probabilmente inosservata per qualche altro mese, col rischio di averla all’ordine del giorno solo al momento dell’arrivo delle ruspe, se non fosse stata immediatamente sollevata sia in Consiglio comunale sia presso la stampa dalla coalizione Diritti in Comune (Una città in comune – PRC): di quale “intervento infrastrutturale” parlava il decreto? Di quali dimensioni? Collocato esattamente dove? Proposto e discusso da chi e con chi?

Due cose hanno immediatamente acceso l’attenzione pubblica e il dibattito politico, pur ancora nell’ignoranza di dimensioni e costi della base militare: il mancato coinvolgimento della popolazione e il fatto che la struttura militare finisse col sorgere all’interno di un’area naturale protetta, il Parco regionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli. Il territorio di Coltano ricade infatti integralmente all’interno della riserva.

Sempre grazie a un lavoro (assai faticoso e per lo più ostacolato) di accesso agli atti, tra il 4 e l’11 aprile si viene via via a sapere dapprima che la base è effettivamente prevista entro i confini del Parco e che si estenderà su 73 ettari, molti di più del gigantesco polo ospedaliero di Cisanello, quindi che sono previste cubature per 440.000 metri cubi e infine salta fuori un parere negativo dell’Ente Parco sul progetto datato 9 aprile 2021, cioè un anno prima. Per quanto richiesto sin dal 14 aprile a Regione, Comune, Ente Parco, Ministero e Provincia il progetto di cui si discute in segreto da oltre un anno salterà fuori soltanto il 17 maggio, “desecretato” dalla Provincia.

Se ci fosse tempo e spazio sarebbe estremamente istruttivo restituire dettagliatamente il surreale balletto di denegazioni, pretesti, finte indignazioni che ha attraversato la comunicazione e la vita politica pisana dai primi di aprile fino al momento in cui è stato reso pubblico il progetto. Basti dire soltanto che l’amministrazione comunale di Pisa ha giustificato il silenzio tombale sulla base mantenuto fino al 25 marzo sostenendo che la Regione aveva inviato il progetto a un indirizzo di posta elettronica certificata sbagliato e quindi che non l’aveva mai ricevuto.

Ma il primo elemento emblematico viene proprio da qui: quattro enti da cui dipende la gestione democratica e sostenibile del territorio, tre dei quali elettivi, hanno discusso per un anno – ma probabilmente molto più a lungo – un progetto di enorme impatto, basato su previsioni che pretendono di aggirare in modo clamoroso tutta la normativa urbanistica e ambientale vigente tenendolo nascosto alla cittadinanza. Una volta stanati, si sono trincerati dietro un ulteriore silenzio o hanno accampato scuse risibili.

Da un lato tutto ciò evidenzia l’ormai sistematico asservimento se non la complicità attiva del ceto politico di governo toscano – in questo senso sicuramente bipartisan – alle esigenze dei poteri forti, che si tratti delle grandi compagnie aeroportuali o della lobby dei conciatori di Santa Croce sull’Arno o delle Forze Armate, su pratiche e progetti che arrecano ferite alle finanze pubbliche, al territorio, alla salute delle popolazioni. Da un altro lato evidenzia quella che non è più soltanto distanza tra ceto politico e cittadinanza, ma fastidio e timore per il dibattito pubblico e per la partecipazione nelle decisioni collettive. Ciò che viene stabilito nelle stanze dei bottoni, dove il colore delle casacche non conta più, è troppo importante e delicato per essere portato al vaglio della piazza: la democrazia non è un optional, è un pericolo da tenere a distanza.

Ma questo decisionismo “occulto” che rifugge i luoghi della democrazia, li umilia e finisce col renderli dei gusci vuoti rischia di indurre anche vertigini di onnipotenza e miopia, e questo pare proprio quel che è successo nell’iter che avrebbe dovuto portare a calare un’astronave di quasi mezzo milione di metri cubi nella piana di Coltano. Il Ministero della Difesa e l’Arma dei Carabinieri, convinti del consenso scontato e unanime del Presidente della Regione, di quello della Provincia e del Sindaco e dell’inefficacia di qualsiasi eventuale osservazione dell’Ente Parco hanno infatti prodotto un progetto perfettamente tagliato sulle proprie esigenze (dimensioni, vicinanza a Camp Darby e all’aeroporto di Pisa, terreni demaniali e quindi gratuiti, fondi europei) senza minimamente preoccuparsi di prendere in considerazione lo scenario reale su cui volevano far atterrare la propria astronave.

Il primo errore è stato di pensare che i luoghi della democrazia sono ormai davvero dei gusci vuoti, silenti o comunque insignificanti, impotenti. È bastata una piccola scintilla innescata dalla nostra forza di opposizione in consiglio comunale, intenta semplicemente a svolgere il proprio ruolo di controllo e di denuncia, a scoprire il coperchio e a far esplodere il caso.

Il secondo errore è stato di pensare che la possibilità offerta dalle legislazioni di emergenza di aggirare tutte le normative ordinarie rendesse insignificante l’esistenza di una riserva naturale, le sue normative, la sua logica istitutiva, le aspettative e l’affetto locali nei confronti di essa. Nell’assemblea cittadina convocata dal Sindaco di Pisa per tentare di rimediare alle brutte figure inanellate nelle settimane precedenti, qualcuno ha anzi fatto sarcasticamente osservare che il progetto presentato dai Carabinieri violava molti importanti vincoli e pretendeva di introdurre novità inammissibili in qualsiasi area naturale protetta laddove oggi in Italia il soggetto più specificamente investito nel compito di far osservare quei vincoli e di tutelare le aree protette sono – dopo l’incorporazione della Forestale – proprio i Carabinieri.

Il terzo errore è stato quello di ritenere – un po’ nella logica del Monopoli, molto in voga in queste settimane – che l’area prescelta fosse un luogo “vuoto”, abbandonato o comunque abitato e vissuto da persone anch’esse trasparenti, insignificanti. Il rigetto del progetto di base invece non solo ha visto subito, già con la prima affollata assemblea cittadina del 19 aprile nel locale Circolo Arci, al centro gli abitanti e gli operatori economici del borgo ma ha fatto del Comitato da loro immediatamente costituito un tassello cruciale della successiva mobilitazione. Il limpido e ostinato rifiuto della maggioranza di coloro che vivono e lavorano a Coltano nei conffronti di qualsiasi insediamento militare nell’area è stata e continua ad essere una spina nel fianco dei promotori del progetto e dell’ambiguo schieramento bipartisan che lo sostiene e uno stimolo e un sostegno fondamentale per tutti i vari soggetti che animano il movimento. Non casualmente il corteo nazionale del 2 giugno, promosso dal Movimento No Base nato in queste settimane, è stato aperto dal trattore di un agricoltore locale e dallo striscione del Comitato per la salvaguardia di Coltano. Per chi pensa che la democrazia sia un guscio vuoto i territori sono trasparenti, ma a volte si può andare a sbattere contro la loro materialità, la loro esistenza.

Il quarto errore è stato il pensare che un investimento militare di 190 milioni di euro con fondi europei – in un primo momento il Pnrr, poi il Fondo di coesione sociale e sviluppo – potesse passare inosservato o apparire normale. Al contrario, una delle motivazioni più forti e sentite del rigetto dell’operazione è stato lo scandalo costituito dallo stravolgimento dei criteri di distribuzione di fondi europei che dovevano essere destinati al sociale e all’ambiente, tanto più in un momento in cui tutti gli istituti del welfare sono in grave sofferenza, dagli ospedali alle scuole, all’edilizia popolare, e le fasce più deboli della popolazione vivono una fase di estrema difficoltà. In una città “di cultura e d’arte” come Pisa, dove mancano le aule per studentesse e studenti delle superiori, dove alcune delle biblioteche più importanti sono state smantellate o ridotte all’ombra di se stesse e dove musei di prestigio europeo aprono poche ore la settimana, i 190 milioni per fini bellici, cementificando preziosi territori agricoli, sono stati avvertiti come uno schiaffo intollerabile.

Da tutto questo – e da altro ancora – è potuta sorgere una mobilitazione per molti aspetti nuova, dai caratteri esemplari, per ampiezza, combattività e articolazione che il Movimento No Base sta portando avanti anche in questi giorni.

Una mobilitazione che sarebbe anzitutto stata difficile – forse impensabile in questi termini e in queste dimensioni – senza l’operato dei pochi ma dinamici terminali istituzionali ancora rimasti, dalla coalizione Diritti in comune nel consiglio comunale pisano fino alle parlamentari di ManifestA, a testimonianza della strategicità della rappresentanza politica e della necessità di essere presenti nelle assemblee elettive per essere in grado di monitorare, di denunciare tempestivamente e in modo informato, di comunicare e tenere alta la tensione dell’opinione pubblica.

Ma una mobilitazione che ha avuto subito la capacità di coinvolgere tutte le “parti lese” – dal mondo dell’ambientalismo e dei parchi a quello dei residenti, i mezzi di comunicazione nazionale e molte altre vertenze “sorelle”, caratterizzate dal riconoscimento di esigenze comuni e di comuni avversari, magnificamente esemplificato dallo slogan francese “fin du monde, fin du mois, mêmes coupables, même combat”. Così nel grande corteo svoltosi nella campagna di Coltano il 2 giugno accanto al locale Comitato erano festosamente visibili realtà come il Collettivo di fabbrica della Gkn, il movimento No Tav, il movimento No Keu (nato dallo scandalo dell’uso di fanghi contaminanti di conceria proprio in provincia di Pisa) e no Muos tutta la variegata galassia pisana e toscana che dall’assemblea del 19 aprile in poi sta organizzando tutte le iniziative sotto l’ombrello comune del “Movimento No Base né a Coltano né altrove” mettendo insieme pratiche, competenze ed esperienze diverse, e unendo diverse generazioni.

Gli interessi in gioco – anzitutto strategico-militari legati sempre più alla deriva bellicista in corso – sono enormi e il sistema di collusioni e complicità attorno al progetto è un muro compatto, a dispetto dei contorcimenti retorici e delle cortine fumogene, per cui la battaglia contro questa mega-struttura è molto difficile.

Ma le energie, l’intelligenza e la volontà di cooperazione coagulatesi attorno a questa vertenza sono inconsuete e permettono di porsi l’obiettivo massimo di arrivare a una cancellazione del progetto, ma ancor prima di costruire attorno a questa vicenda drammaticamente esemplare una grande richiesta collettiva e condivisa di territori non soffocati dal cemento, di fondi pubblici destinati anzitutto alle esigenze di una società sempre più in sofferenza e di una prospettiva di pace. Tanto è forte questa richiesta che il movimento si sta evolvendo nella direzione di articolare diverse proposte: dal recupero e messa a disposizione della comunità di spazi abbandonati, all’investimento e rilancio di un’agricoltura a chilometro zero ambientalmente sostenibile, al partire dalle valenze naturalistiche e paesaggistiche per impostare un’economia che metta l’area protetta e la riserva UNESCO per la biodiversità al centro di una nuova concezione dell’economia del territorio che parta dalla tutela delle risorse per la lotta al cambiamento climatico e per la restituzione di quelle risorse alle generazioni future. Lavorare per la tutela dell’ambiente e per la lotta al cambiamento climatico a Coltano va di pari passo con la lotta contro la militarizzazione e la cementificazione del territorio. Significa realmente discutere di una transizione ecologica nella coesione sociale, in un contesto in cui appare evidente fino all’ovvietà che la guerra è figlia del sistema economico che negli ultimi 30 anni ha tagliato diritti e distrutto territori. L’accusa di ideologismo a chi ha sempre lottato contro le guerre, le basi militari, le armi qui si mostra in tutta la sua debolezza. Lottare contro la base significa infatti lottare anche per i diritti delle persone, per l’integrità delle risorse del territorio che sole possono garantire un futuro all’economia locale, per un lavoro giusto che in quel tipo di economia può trovare sicurezza e durevolezza diversamente dal lavoro che si trova nei cantieri delle grandi opere. Lottare contro la base a Coltano è lottare contro un’economia di guerra per un’economia di pace. Forse è questo che i movimenti locali hanno capito, trovando il nesso fondamentale tra pace, lavoro e ambiente. Un nesso sconosciuto a chi oggi è al governo a livello locale e nazionale, accecato com’è dall’ideologia – quella sì – di un cosiddetto libero mercato che mette la violenza patriarcale e i rapporti di forza che ne discendono al proprio centro.

Qui il PDF

Un commento a “Nessuna base per nessuna guerra”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *