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Articolo pubblicato su “il manifesto” del 10.11.2023.

Si spengono le parole per l’inefficacia dei nostri ragionamenti di pace, dei nostri appelli a una tregua inascoltati (che tacciano le armi, basta!), in questi cupi giorni di guerre. Guerre, e due, in specie, gravide di atroci conseguenze sul piano mondiale. L’una tra eserciti che si fronteggiano, da quasi due anni ormai, nelle lande incendiate, nelle città bombardate e nei villaggi demoliti dell’Ucraina. L’altra, nei luoghi della Bibbia, in Palestina, dove in trenta giorni, dicono, gli uccisi superano la cifra di dodicimila. Sono, per lo più, le vittime civili di stragi efferate, ragazzi e vecchi, donne e bambini, pochi i soldati in armi. Guerra che procede per reciproci eccidi, da condursi da Hamas contro Israele e da Israele contro Hamas fino, entrambi dichiarano, allo sterminio di uno dei contendenti, strage che i superstiti chiameranno vittoria.

La Vittoria che, nella figurazione degli antichi, si leva in atroce, disumano volo ad ali spiegate sugli sconfinati campi dei cadaveri. Si racconta che alla Vittoria, la dea Nike dei Greci, gli ateniesi eressero un tempio in cui fu innalzata una statua senza ali. Perché Nike non potesse mai volare via dalla città? O perché alla Vittoria fosse per sempre inibito il gelido volo di morte? Che non più volteggiasse la Vittoria sui corpi degli uccisi allora, ma la Pace verdeggiasse nei campi e d’una limpida luce inondasse l’aria delle città, pulita dai miasmi. A Roma, al tempio della Pace sulla via Sacra, accorrevano i malati a sanarsi ed era consuetudine che vi si adunassero gli artisti a discutere delle loro arti.

La disumanità di chi persegue con le armi la vittoria, oggi come allora, come sempre è accaduto, sopprime l’umanità sua propria, insulta la religione che professa, offende la cultura che lo alimenta. Pure, manuali e trattati insegnano come conseguire la vittoria con le armi, che è dire come applicarsi ad uccidere con ferocia, se è necessario. Israele e Hamas dicono che è un loro dovere non più prorogabile agire con una ferocia sterminatrice. Delle crudeltà, delle efferatezze, delle atrocità che commettono, l’uno imputa all’altro la responsabilità. Israele scarica la colpa della sua ferocia su Hamas, e Hamas addossa a Israele il suo ricorrere alla ferocia. Entrambi dicono: fino alla vittoria.

Si diceva dei trattati che insegnano la vittoria in guerra. Si può prendere avvio da gli Aforismi dell’arte bellica di Raimondo Montecuccoli (1608-1680) principe modenese, generale al servizio dell’Impero, scritti nel 1670. Tradotti in latino, tedesco, spagnolo, francese, olandese, adottati nel Settecento come testo nelle accademie militari, gli Aforismi furono ristampati e annotati da Ugo Foscolo nel 1808. Ne trascrivo alcuni brani sui quali esercitare la nostra riflessione, dai quali cavare rafforzate le ragioni nostre di repulsa della guerra.

Scrive Montecuccoli: «Nel venire al fatto d’armi si considerano le cose prima, nell’atto e dopo. Prima: Invocare il Dio degli eserciti, animare i soldati, rinvigorisce per certo gli spiriti il far dar da bere mediocremente, il fingere prospero presagio di sogno, di rivelazione, o altra simil cosa distribuir le munizioni». E il generale prosegue: «Proprietà dell’armi offensive si è, che dall’ora che l’inimico si scopre sino a quando egli sia sconfitto, e cacciato dal campo, incessantemente venga bersagliato e battuto, e quanto più s’accosta, tanto più spessa sia la tempesta de’ tiri sopra di lui, prima da lungi da’ colpi di cannone, poi più presso dal moschetto, e consecutivamente dalle carabine, dalle pistole, dalle lancie, dalle picche, dalle spade, e dall’urto medesimo delle truppe».

Montecuccoli raccomanda di «sparare continuamente, non già tutti insieme, ma successivamente per intervallo, acciocché i primi abbiano ricaricato quando gli ultimi hanno finito, sì che vi sia sempre fuoco per aria». E aggiunge: «Dopo la battaglia: o si vince, o si perde. Nella vittoria render grazie a Dio, seppellire i morti».

I progressi delle scienze e delle tecniche quanto fanno diverse e nuove le guerre che sono oggi in atto, dalla millenaria radice degli antichi precetti di morte?

Un commento a “Nuove guerre, vecchia barbarie”

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