Capitalismo, Diritto, Lavoro, Temi, Interventi

È evidente da tempo l’impatto delle tecnologie digitali sull’organizzazione del lavoro e, quindi, sulle condizioni di lavoro e sui diritti dei lavoratori. Ma finora erano pochi, e soprattutto dispersi, i tentativi di introdurre regole legislative e contrattuali.

La fine del 2021 ha iniziato a porre positivamente le basi, in Italia e in Europa, per questa regolazione. Diciamo iniziato perché si tratta in un caso1 di un Protocollo tra le parti che rinvia esplicitamente a successivi accordi. Nell’altro di una Direttiva europea2 che deve trovare successivi adempimenti da parte degli Stati europei.

In Italia il Protocollo sul lavoro agile, anche se opera sulla scia dell’attuale legge sul lavoro agile (L. n. 81/2017), ad esempio, mantenendo la necessità della volontarietà del lavoratore e di un contratto individuale tra il lavoratore stesso e l’azienda, al contempo rinvia alla contrattazione collettiva l’insieme delle materie, prevedendo anche l’adozione di incentivi pubblici allo scopo. Richiamiamo i seguenti punti del Protocollo:

  • la totale uguaglianza di trattamenti sia per la retribuzione sia per i diritti sindacali e di carriera tra i lavoratori quale che sia la sede di operatività;
  • il diritto alla disconnessione e la possibilità per il lavoratore di scegliere la sede fisica in cui esercitare il lavoro a distanza.

È utile far notare che il Protocollo ha confermato il requisito dell’alternanza possibile tra la prestazione resa all’interno e quella resa all’esterno dei locali aziendali (Art. 18 legge cit.).

In Europa la Direttiva sui lavoratori digitali ha due grandi pregi:

  • si riferisce all’insieme dei lavori su piattaforma digitale, mentre le poche leggi dei singoli stati si riferiscono a singole tipologie di lavoro. Il caso più noto è quello della legge spagnola che riguarda i “rider”. Nella Direttiva invece vengono considerate anche altre tipologie, come ad esempio il lavoro intellettuale a domanda, come quello intermediato dalla piattaforma Mechanical Turk di Amazon, o il lavoro di servizio a domanda intermediato delle piattaforme per il lavoro domestico;
  • prevede esplicitamente il diritto alla spiegazione delle decisioni prese dalla piattaforma, anche, anzi soprattutto, se sostenuta da strumenti data-driven (algoritmi). La Direttiva prevede che le informazioni relative a tali decisioni debbano essere comunicate in modo accessibile e tale da consentire ai lavoratori di metterle in discussione.

Sull’elaborazione della Direttiva hanno sicuramente influito i molti pronunciamenti delle corti di giustizia sui ricorsi dei lavoratori digitali relativi alla interpretazione del loro lavoro come “autonomo” o come “subordinato”. Non a caso il fulcro della disposizione è la previsione di una verifica di cinque criteri3. Se saranno verificati due su cinque allora i lavoratori saranno considerati «subordinati». Molto utilmente viene prevista l’inversione dell’onere della prova. È l’azienda che deve dimostrare l’evidenza del lavoro autonomo.

Perché, contrariamente ai molti commenti esistenti su queste disposizioni, abbiamo deciso di trattarle insieme? Sicuramente perché in entrambi i casi il lavoro si svolge per il tramite di piattaforme digitali. Ma soprattutto perché l’elemento comune alle due forme di lavoro è che il sistema di controllo e di emanazione di eventuali contestazioni risiede nell’utilizzo di algoritmi. Questo comporta necessariamente l’obbligo della trasparenza degli algoritmi.

La direttiva è sufficientemente esplicita prevedendo: “…la trasparenza, l’equità e la responsabilità nella gestione algoritmica del lavoro sulla piattaforma…”. Meno esplicito il protocollo. Ma l’art. 12 prevede che le forme e le modalità di controllo della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, siano svolte sia nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 della L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), sia della normativa in materia di protezione dei dati personali.

Nel caso in cui il controllo a distanza sarà svolto da parte dell’azienda per il tramite di algoritmi, i lavoratori e i loro rappresentanti potranno verificare il rispetto dei diritti esplicitamente citati solo se sarà garantita la trasparenza degli algoritmi utilizzati.

Vi è inoltre un particolare che vogliamo richiamare, quando il protocollo fa carico all’azienda del costo degli strumenti hardware e software necessari (dalle ricerche disponibili sembrerebbe che spesso una parte di questi costi sia finora ricaduta sui lavoratori). Si richiama anche qui la legge sulla garanzia dei dati personali. Ma se, come resta possibile, il computer di lavoro e quello personale si identificano come è possibile questo rispetto senza una effettiva conoscenza degli strumenti software utilizzati da entrambi?

Inoltre, è molto probabile che le piattaforme adottate dalle diverse aziende siano del tutto analoghe a quelle che oggi governano e gestiscono il lavoro individuale “non dipendente”. Ma il fine principale della direttiva in questione è l’uguaglianza dei diritti tra i lavoratori, come recitano le molte dichiarazioni dei commissari estensori della direttiva stessa. Sembra di nuovo evidente che non dovrebbero determinarsi differenze di gestione su questo aspetto tra protocollo e direttiva.

Questa tendenziale unificazione dei sistemi di gestione e di controllo del “lavoro da remoto” era una delle motivazioni alla base della proposta sulle “officine municipali”, avanzata dal CRS e dal ForumDD, che partiva da questa constatazione: “Le piattaforme che governano i lavori ‘uberizzati’, o le mille forme di consegna per conto terzi, o anche le piattaforme per i lavori a domanda (lavoro intellettuale parcellizzato) come Amazon Mechanical Turk, diventeranno per le aziende le forme prevalenti di governo del lavoro da remoto”.

Quel testo richiamava la solitudine e la debolezza del lavoratore da remoto e in genere del lavoro digitalizzato. L’evidente sforzo di rafforzare la contrattazione e il dialogo sociale alla base delle due proposte del Protocollo, e della Direttiva, rischia però di non produrre effetti se mancano forme di partecipazione e aggregazione dei lavoratori interessati.

Due esempi, uno sul Protocollo l’altro sulla Direttiva.

Il primo. Gli studi sulle esperienze di lavoro agile sotto il Covid mostrano effetti preoccupanti di amplificazione delle diseguaglianze legate alla condizione abitativa e a una saturazione dei tempi di lavoro superiore a quella dell’equivalente lavoro in azienda. Giustamente nel Protocollo, come ricordato, sono previsti sia il diritto alla disconnessione che la scelta da parte del lavoratore della sede fisica in cui operare. Ma sia le modalità della disconnessione che l’idoneità della sede scelta vanno valutati nel contesto del contratto individuale sulla base di requisiti che dovranno essere previsti dalla contrattazione successiva. È evidente che la creazione delle “officine municipali” o di altri luoghi capaci di ospitare il lavoro da remoto, richiede lo sforzo congiunto delle istituzioni, dei sindacati e delle aziende interessate, e reclama la necessità di una contrattazione partecipata che sola può garantire effettivi risparmi di costi, di tempo e di conflittualità.

Il secondo. Molti commenti alla Direttiva hanno sottolineato che, quale che sia la capacità di applicazione da parte dei diversi stati, resterà una fascia grigia di difficile gestione nella terra di mezzo che ancora separa lavoratori autonomi e lavoratori subordinati. Dovuta non solo alla probabile resistenza delle aziende, ma anche a condizioni oggettive e ad aspettative soggettive degli stessi lavoratori. Non ci importa discutere qui l’ampiezza di questa fascia che, credibilmente e purtroppo, diversificherà tra loro i lavoratori europei nei diversi stati. Abbiamo scritto che la condizione di lavoro digitale unifica molto di più di quanto la stessa direttiva riesca a prevedere ed è tempo che il lavoratore autonomo abbia diritti e protezioni analoghe a quelle di tutti i lavoratori. Lavorare insieme nella stessa “officina” faciliterà la costruzione di proposte credibili.

Note

1 Il 7 dicembre 2021, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stato raggiunto un accordo con le parti sociali per il primo “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato. Hanno aderito Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confsal, Cisal, Usb, Confindustria, Confapi, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Alleanza cooperative, Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Copagri, Abi, Ania, Confprofessioni, Confservizi, Federdistribuzione, Confimi e Confetra.

2 Commissione Europea, proposta di direttiva in materia di lavoro tramite piattaforma digitale (9 dicembre 2021): https://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=24994&langId=en

3 1) la piattaforma digitale determina unilateralmente il compenso; 2) la piattaforma digitale richiede al lavoratore l’adozione di specifici comportamenti (circa, ad es., l’abbigliamento, il rapporto con il cliente, la modalità di svolgimento dell’attività lavorativa); 3) la piattaforma digitale supervisiona l’attività lavorativa o verifica la qualità del lavoro svolto, anche tramite mezzi elettronici; 4) la piattaforma digitale interferisce con la organizzazione del lavoratore, limitando, anche tramite sanzioni, l’autonomia organizzativa dello stesso; 5) la piattaforma digitale limita la possibilità, per il lavoratore, di acquisire clientela o di lavorare per più committenti.

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