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Una grossa porzione di Sardegna è sacrificata alla ragion di Stato. Più di 37mila ettari tremano sotto il peso di anfibi e bombe, oltre allo spazio aereo e quello a mare occupati durante le esercitazioni militari. La sola Cagliari – che da sempre aspira a uno sviluppo turistico – si ritrova con due milioni di metri quadrati occupati dalle stellette, compresi gli stabilimenti balneari dell’esercito, della marina e dell’aeronautica giustificati come “centri elioterapici”. Nell’elenco non può mancare la base aerea di Decimomannu (Cagliari) – considerata strategica – il tunnel polveriera di Santo Stefano dove sono stipati armamenti di tutti i tipi nel cuore di un parco naturale internazionale (nell’arcipelago della Maddalena), e i tanti poligoni sardi che, messi assieme, costituiscono il fronte interno più grande di Europa e sono considerati una struttura addestrativa irrinunciabile per la Difesa. Oltre a quello di Capo Teulada (Sulcis), ci sono i poligoni di Capo Frasca (vicino a Arbus, nel Medio Campidano) e di Quirra (tra le province di Cagliari e Ogliastra) più quelli – definiti “occasionali” – di Macomer (Nuoro) e del lago Omodeo (Oristano).

“A fora sa Nato da sa Sardigna”, “fuori la Nato dalla Sardegna” è lo slogan storico dei movimenti antimilitaristi. Scandito da sempre durante cortei e manifestazioni, il coro di protesta è risuonato anche lo scorso 21 maggio, a Sant’Anna Arresi (Sulcis) con circa 600 manifestanti in corteo. “A fora sa Nato da sa Sardigna”, viene ripetuto durante tutte le contestazioni, anche se basta fare una passeggiata al porto di Cagliari in questi giorni per vedere, attraccate a pochi metri da vele, yacht e crociere, decine di navi militari, anche Nato.

Ma nonostante sull’isola gravi oltre il 60 per cento delle servitù militari di tutta Italia, la contestazione è diventata un fatto popolare solo in alcuni momenti, ed è rimasta per lo più circoscritta ai movimenti indipendentisti e antimilitaristi.

I territori occupati

L’ultima grande manifestazione risale al 2014 quando, a Capo Frasca (Medio Campidano), circa 14 mila persone avevano contestato le servitù militari dopo il clamore suscitato dalla notizia che anche gli aerei delle forze armate israeliane avevano in programma di esercitarsi sull’isola, mentre erano ancora in corso gli attacchi a Gaza che tanto avevano indignato l’opinione pubblica. La protesta era dilagata ulteriormente quando, sempre a Capo Frasca, dei tornado tedeschi avevano provocato un enorme incendio distruggendo 32 ettari di macchia mediterranea di pregio e facendo fuggire i turisti dalle spiagge circostanti.

Picchi di indignazione si sono avuti anche per la gestione dell’arcipelago della Maddalena, quasi un paradiso terrestre, tutelato da un parco internazionale, eppure sede di una base per sommergibili nucleari. La Maddalena ospitava una base militare statunitense, punto di appoggio per i sommergibili nucleari a stelle e strisce nel Mediterraneo. Nel 2008 gli americani però tornano a casa, lasciando in affanno l’economia locale oltre a una pesante eredità di strutture da bonificare, come l’ex Arsenale e l’ex ospedale militare. La soluzione viene individuata nel G8 del 2009: un grimaldello per ottenere finanziamenti per bonifiche e infrastrutture da lasciare poi al turismo. I cantieri vengono affidati in fretta e altrettanto velocemente lievitano i costi. Ma tutto si blocca nell’aprile del 2009: L’Aquila viene distrutta dal terremoto e i potenti della terra vengono spostati nell’Abruzzo ferito. In Sardegna restano solo promesse non mantenute, strutture in disfacimento e conti da pagare, che la Regione sta ancora saldando. Nel 2016 però La Maddalena torna strategica per le rotte militari del Mediterraneo e si progetta un molo per la nave Cavour, portaerei ammiraglia della flotta della Marina italiana. I lavori vengono programmati sull’isola di Santo Stefano, la stessa che ospita il bunker segreto di Guardia del Moro. Qui sono state stipate tonnellate di armi sequestrate ai trafficanti che da qui sono partite verso diversi teatri di guerra. In alcuni casi kalashnikov, missili e munizioni hanno lasciato l’isola a bordo di traghetti civili, carichi di passeggeri. Trasporti pericolosi su cui, nel 2011, la procura di Tempio Pausania aveva aperto un’inchiesta subito affossata dal segreto di Stato.

Definito più volte irrinunciabile, il Poligono di Capo Teulada si trova nel profondo Sulcis, a un passo dalle bianchissime dune di Porto Pino. Il filo spinato abbraccia 7200 ettari a disposizione delle stellette, ai quali si aggiunge lo spazio a mare interdetto alla pesca e alla navigazione. Qui nel 2015 si è svolta la più grande esercitazione della Nato mai fatta – come vantato dagli stessi organizzatori – dalla caduta del muro di Berlino. Tra Spagna, Portogallo e Italia sono stati schierati eserciti e mezzi di almeno 30 nazioni.

Il Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze del Salto di Quirra (P.I.S.Q.) si estende invece tra le province di Cagliari e Ogliastra. La base è divisa in due grandi sottosistemi: un “poligono a terra”, con sede a Perdasdefogu, che occupa una superficie di circa 12.000 ettari, e un “poligono a mare”, con sede a Capo San Lorenzo, che occupa una superficie di circa 2000 ettari. Una struttura enorme e unica nel suo genere da diversi punti di vista: militare, per l’importanza delle esercitazioni (anche a fuoco) e in passato per la possibilità di smaltire tonnellate di armi obsolete fatte brillare proprio nel poligono; industriale, per la possibilità di testare la resistenza degli oleodotti con esplosioni in scala reale; e agricolo visto che, nonostante le bombe e i carri armati, nel Pisq hanno sede diverse aziende agricole che allevano bestiame.

Storie di occupazione

Una convivenza non sempre facile, a testimoniarlo i tanti incidenti raccontati dalle cronache. Un elenco di tragedie sfiorate – tratto dal libro Lo sa il vento, che ho scritto con Carlo Porcedda (Ed. Ambiente, 2014), rende forse l’idea di cosa voglia dire ospitare giochi di guerra nel giardino di casa:

“Basta sfogliare le pagine delle cronache per imbattersi in un vecchio allarme nucleare. Ai maddalenini che durante una notte d’ottobre del 2003 sono stati testimoni di un inspiegabile boato, viene prima raccontato di un terremoto, poi di un’esercitazione a Solenzara in Corsica. Dopo un paio di versioni contrastanti, si viene a sapere della sfiorata catastrofe. Un sommergibile atomico statunitense da 6.900 tonnellate è finito contro la secca dei Monaci, poco al largo di Caprera. L’Hartford, centodieci metri per undici, riporta uno squarcio sul fondo ed è gravemente danneggiato. L’Italia, ufficialmente, non ne saprà nulla per giorni. Un incidente nucleare che poteva avere conseguenze disastrose. Nell’ottobre 2005 l’allarme arriva dal cielo e si sfiora per due volte il disastro nei dintorni di Cagliari. In entrambi i casi per problemi a due caccia Amx decollati dalla base di Decimomannu. Un’avaria al motore in fase di decollo costringe il pilota a sorvolare l’abitato prima di riuscire in qualche modo a gestire l’emergenza, mentre una settimana dopo l’avaria si registra in volo e il pilota, sganciati armi e carburante, si lancia con il paracadute mentre il caccia si schianta in un campo di carciofi poco fuori Decimoputzu. Della prima emergenza si è saputo tre anni dopo, quando nel gennaio 2008 al pilota viene assegnata un’onorificenza dal presidente della Repubblica. Episodi inverosimili. A volte anche grotteschi. Come quando nel dicembre 2000 gli incursori in addestramento al poligono di Teulada, sconfinano nello stagno di Porto Pino e con mimetiche e volto dipinto si imbattono nei pescatori di un allevamento di anguille. Meno di un anno dopo, tre militari statunitensi vengono sorpresi armati di metal detector in un sito archeologico di Capo Testa, mentre altri a Sant’Antioco a pescare con le bombe. Di missili impazziti al poligono del Salto di Quirra si parla a giugno 2003 quando un Hawk sfuggito al controllo dei militari termina la sua corsa in una vigna di Jerzu. Salvi i proprietari, nonostante il missile esploda sradicando filari di viti e creando una voragine di quattro metri. In aprile il missile sfuggito era stato un Aster 30, precipitato vicino a un ovile di Villasalto e cercato per settimane dai militari. La prima versione ufficiale lo voleva esploso in volo. Tra denunce, smentite e versioni ufficiali di missili e razzi finiti fuori controllo il 2003 ne conta almeno cinque. Altri tre finiscono a mare nell’estate del 1998 nelle acque di Arbatax, due fatti esplodere e uno recuperato al largo di Cala Moresca. L’estate dopo un missile finisce sui fondali di Porto Corallo. Poi c’è forse il caso più conosciuto, quello del razzo sfuggito al controllo nel 1992 durante una sperimentazione alla presenza di Romiti e poi rimasto a fare la ruggine per anni nelle campagne, non molto lontano da un ovile. Ai fratelli Contu, quelli scampati al missile esploso nella vigna di Jerzu, dopo otto anni è arrivata la proposta di risarcimento: 1.000 euro mentre solo per sistemare il terreno ne avevano spesi 1.500. Primavera 2006. Due caccia F16 dell’Aeronautica militare italiana precipitano dopo essersi scontrati in volo la notte tra il 22 e il 23 maggio nel corso di una missione di addestramento dell’esercitazione multinazionale “Spring flag”. Il teatro delle operazioni spazia un po’ in tutta la Sardegna: dagli aeroporti di Alghero e Decimomannu ai poligoni di Teulada, Perdasdefogu, Capo San Lorenzo, Salto di Quirra e Capo Frasca. Oltre all’incidente le esercitazioni prevedevano: sganciamento di bombe d’aereo, tiri da elicottero, plotone carri a fuoco, scuola di tiro artiglieria, scuola di tiro mortai, tiri con le armi portatili, esercitazione di gruppo tattico a fuoco, scuola di tiro missili Tow, Milan e Panzerfaust. Nell’autunno 2008, durante le esercitazioni Nato per testare un nuovo sistema di comunicazione per le operazioni di intelligence, sono state le capre a invadere la postazione di comando del gruppo Anglo-Ceco, creando a detta di un partecipante, “uno dei momenti più surreali di tutta l’esercitazione”. Tra le quasi tragedie spicca quella del 1974, quando un aereo decollato dalla Nimitz sgancia un ordigno che finisce a una ventina di metri da una famigliola intenta a prendere il sole in una spiaggia a Capo Malfatano. Dopo un po’ arrivano gli artificieri, recuperano l’ordigno, salutano e se ne vanno. Per quella che forse è la prima vittima collaterale delle esercitazioni, bisogna tornare al 1960 quando un giovane pescatore viene dilaniato da un ordigno inesploso trovato in una grotta di Capo Teulada. Secondo i suoi amici Giuseppe Meloni cercava ricci e polpi, quando ha raccolto dall’acqua la bomba che lo ha ucciso. L’inchiesta aperta a riguardo è stata per pesca di frodo.

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