Articolo pubblicato su “Ravenna Notizie” il 25.08.2023.
Sto seguendo con molto interesse la storia dell’Ortazzo e Ortazzino e gli sviluppi che da qualche settimana compaiono su quotidiani locali, e non solo. Infatti, è una storia che merita di essere conosciuta, anche oltre il nostro Comune, perché rinvia a questioni di grande rilevanza, culturale e civile. Nel mio caso, questa storia mi ha riportato a ricordi lontani che, comparati con il presente, mi dicono qualcosa di importante per la mia personale memoria e per come il vivere il proprio presente può mutare, e non poco, nel corso dei decenni.
Ero molto giovane – troppo – quando arrivai in Consiglio comunale, nel 1970. Molto giovane e scrupolosamente attenta nel seguire questioni complesse e per me, presa dai miei studi filosofici, del tutto nuove. Ascoltavo e avevo ammirazione per chi si muoveva con competenza e agilità in ambiti amministrativi, in particolare quelli più vicini ai miei interessi. Per esempio, la scuola comunale dell’infanzia, attraversata da quella che consideravo una rivoluzione culturale e pedagogica, con la gestione sociale, condotta dalla infaticabile e bravissima assessora Franca Eredi. Gestione sociale, l’educazione dell’infanzia non riguarda solo chi insegna, ma la comunità stessa si fa educante, con genitori, pedagogisti, personale, le “dade”, che insieme lavorano e educano. L’altra materia che scoprii in quei miei primi anni di precoce addestramento alla cosa pubblica, fu l’urbanistica, materia di cui conoscevo a malapena il nome. Ma ascoltando le relazioni in Consiglio comunale di Marcello Vittorini e di Lorenzo Pezzele che, insieme, stavano disegnando il piano regolatore, portandolo in discussione anche nei quartieri. Mi convinsi, in quegli anni, che il cuore della politica e della buona amministrazione fosse, con la scuola e la cultura, il disegnare e governare il territorio: città, forese, acqua, terra, porto. Il piano, approvato nel 1973, ridusse di molto le previsioni di crescita immobiliare contenute nel precedente piano Quaroni, disegnato alla fine degli anni Cinquanta. Ne uscì una Ravenna migliore.
All’entusiasmo di questa scoperta si univa la grande fiducia che avevo per chi, in quel momento, governava la città e il Comune. Ricordo sicuramente che in più di una occasione si parlò, in Consiglio comunale, di Ortazzo e Ortazzino. Ma non avevo memoria di quanto fosse stato importante, come ci ha ricordato Francesca Santarella di Italia Nostra, per il salvataggio di Ortazzo e Ortazzino, l’intervento del WWF di Lazzari e di un magistrato, Vincenzo Andreucci, vero cultore della nostra Costituzione – e questo è un punto che riprenderò – per fare cancellare un accordo preso negli anni Sessanta dal Comune con la proprietà dell’area, fatto, questo, che ho trovato ben spiegato in un recente articolo di Carlo Raggi. A questo punto mi chiedo perché, pur avendo memoria per scuola, cultura e urbanistica, ho conservato poco della vicenda Ortazzo e Ortazzino. Può essere il caso di una rimozione, connessa alla fiducia in chi allora governava. Inoltre, in quei primi anni Settanta, non seguivo in modo ravvicinato le questioni ambientali, che seguii con più attenzione – e sempre più – dal disastro di Seveso del 1976 in avanti, e soprattutto per merito della grande lezione che allora Laura Conti ci diede, con i suoi studi e le sue denunce.
Divenni così, da quel momento, sempre più ambientalista. Ripensando ora a quel periodo, mi accorgo che il mio ambientalismo precede di circa dieci anni il mio incontro con il femminismo, a cui devo la scoperta del nesso fra politica, coscienza del limite e vita, se e quando la politica vuole essere al servizio della buona vita – direbbe Aristotele – per la comunità intera e non solo per una parte. Mi fu necessario quindi un tempo non breve per capire che la politica vive anche, o, in alcuni casi, soprattutto, fuori dalle Istituzioni. E che il conflitto che fa interagire associazionismo – WWF allora, Italia Nostra oggi – e Istituzioni può essere ossigeno fertile per la politica.
Il mio sentire e pensare politico, che si è nutrito nel tempo di ambientalismo, femminismo, con la bussola della Costituzione sempre “accesa”, si è non a caso oggi soffermato con attenzione sul ritorno in prima pagina di quella parte di territorio. In realtà, anche Mirabilandia, a suo tempo, fu da me considerata uno sfregio a quel territorio. Il mio ambientalismo aveva fatto passi avanti, ma senza sbocco, in quel caso. Non ricordo quale fu la posizione dei Verdi, allora, se non che chiesero e ottennero, mi pare, che almeno nell’area di Mirabilandia fossero piantati moltissimi alberi. Ma cosa c’entri Mirabilandia con la nostra storia, ambiente, cultura, ancora oggi è per me un interrogativo inquietante. Di fronte alla pineta di Dante, fra l’altro. In piena zona di subsidenza, per giunta.
Tornando al presente, mi pare di riscontrare, nel nostro territorio e a Ravenna, il nascere di una attenzione costante, sostenuta da nuove e organizzate associazioni, rivolta ai temi ambientali, dai giovani di Fridays for Future, ai recenti movimenti e manifestazioni – hanno il mio convinto sostegno – che si oppongono al rigassificatore, una grande contraddizione, fra l’altro, con recenti riforme costituzionali, molto enfatizzate, a suo tempo, e subito messe nel cassetto. A cosa mi riferisco?
Nel 2022, l’11 febbraio, credo all’unanimità o quasi, si sono introdotte modifiche in due articoli della Costituzione, l’articolo 9, uno dei primi dodici, che molta giurisprudenza considerava intoccabili, e invece sono stati toccati – precedente da non sottovalutare – e l’art. 41. L’art. 9 ha avuto questa aggiunta “La Repubblica … tutela l’ambiente, la biodiversità, e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Ero convinta che non ci fosse bisogno di questa aggiunta, perché l’articolo e molte leggi già esistenti erano, se ben applicate, sufficienti. Ora penso ironicamente che chi ha scritto avesse proprio in mente la sorte di Ortazzo e Ortazzino, tanto le parole scritte sembrano parlarne. Più convinta sono della aggiunta introdotta nell’art. 41. In merito alla libertà della iniziativa economica privata – questo l’oggetto – che non può recare danno, oltre che alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana – parole già scritte – sono state aggiunte alcune parole nuove, “alla salute e all’ambiente”. La parola ambiente è entrata in Costituzione lo scorso anno. L’ambiente non era nei pensieri di Madri e Padri Costituenti, per comprensibili ragioni storiche. Mentre sicurezza, libertà e dignità umana, spesso negate, erano al centro della attenzione dei partiti antifascisti, e volutamente per differenza rispetto al fascismo appena sconfitto.
Ma, mi chiedo, questa che fu, nel 2022, una novità “rivoluzionaria” – così si disse – è entrata a far parte in modo preciso, fermo e coerente, nella coscienza di chi fa impresa e di chi governa? Anche sicurezza, libertà e dignità umana, scritte fin dal 1948, non sempre le troviamo nei luoghi di lavoro, e non solo.
Insisto sulla lontananza fra parole scritte in Costituzione, allora e lo scorso anno, e oggi, anche in merito alla questione Ortazzo e Ortazzino. È evidente la lontananza dalla Costituzione sia delle immobiliari che si sono scambiate questa preziosa parte del nostro territorio, che degli Enti pubblici, che risultano essere stati a dir poco distratti. Si impongono quindi alcune domande. Perché non sono stati gli Enti pubblici a intervenire direttamente, visto che il proposito di acquisto dell’area era nel programma elettorale di chi governa e che la cifra necessaria era irrisoria?
Perché una immobiliare acquista un territorio dove – ora ci viene assicurato – non si può fare nulla che sia materia di interesse di una immobiliare? Perché, se Italia Nostra non studiava il caso e ne dava adeguata informazione alla cittadinanza, noi, cittadinanza, non ne avremmo saputo nulla? Chiedo, agli attori che compaiono in questa storia. Le modifiche costituzionali a cui ho fatto riferimento hanno aggiunto, o no, maggiore consapevolezza sulle grandi responsabilità che nell’insieme, eletti ed elettori, hanno in merito alla terra, all’acqua, alla salute, come dire, al futuro? Sono domande che spesso mi sono fatta, in questi giorni.
Concludo con un dato che connette gli anni Settanta ad oggi. Negli anni Settanta fu un giovane magistrato, Vincenzo Andreucci, che sostenne la richiesta del WWF, mettendo in salvo Ortazzo e Ortazzino. Ho conosciuto personalmente Andreucci nel 2016. Eravamo in contatto frequentemente perché coordinava, nella zona di Cesena e dintorni, ed io nel ravennate, la campagna referendaria per sottrarre la Costituzione a una riforma che l’avrebbe, a nostro avviso, deformata. E, di nuovo, con Andreucci abbiamo recentemente raccolto le firme per una legge costituzionale di iniziativa popolare per ridurre i danni dell’Autonomia Differenziata delle Regioni, che allargherebbe le disuguaglianze e i divari territoriali che più di settanta anni di Repubblica non hanno colmato.
Sono passati decenni. Ma la costante che qui ritroviamo, nel caso del magistrato Vincenzo Andreucci, è la Costituzione, bussola e strada Maestra.
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