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Ieri sera a Kabul, gli Stati Uniti hanno posto fine a 20 anni di guerra in Afghanistan – la più lunga guerra nella storia americana.

Abbiamo portato a compimento una delle più grandi operazioni di ponte aereo della storia, mettendo al sicuro 120.000 persone. Questo numero è più del doppio di quello che la maggior parte degli esperti riteneva possibile. Nessuna nazione – nessuna nazione ha mai fatto qualcosa di simile in tutta la storia. Solo gli Stati Uniti avevano la capacità, la volontà e l’abilità di farlo, e l’abbiamo fatto oggi.

Lo straordinario successo di questa missione è dovuto all’incredibile abilità, al coraggio e all’altruismo dei militari degli Stati Uniti e dei nostri diplomatici ed [esperti] dell’intelligence.

Per settimane, essi hanno rischiato la vita per far salire sugli aerei e far uscire dal Paese i cittadini americani, gli afgani che ci hanno aiutato, i cittadini dei nostri alleati e partner, e ancora altre persone. E lo hanno fatto trovandosi di fronte una folla enorme che cercava di lasciare il Paese. E lo hanno fatto sapendo che i terroristi dell’ISIS-K – nemici giurati dei talebani – erano in agguato in mezzo a quella folla

E ancora, gli uomini e le donne dell’esercito degli Stati Uniti, il nostro corpo diplomatico e gli esperti dell’intelligence hanno fatto il loro lavoro e lo hanno fatto bene, rischiando le loro vite non per guadagni professionali ma per servire gli altri; non in una missione di guerra, ma in una missione di misericordia. 20 militari sono stati feriti durante questa missione. 13 eroi hanno dato la loro vita.

Sono appena stato alla base aerea di Dover per onorare il loro ritorno. Abbiamo con loro e con le loro famiglie un debito di gratitudine che non potremo mai ripagare, ma che non dovremmo mai e poi mai dimenticare.

In aprile, ho preso la decisione di porre fine a questa guerra. Come parte di quella decisione, abbiamo fissato la data del 31 agosto per il ritiro delle truppe americane. Il presupposto era che i più di 300.000 membri delle forze di sicurezza nazionali afgane, che avevamo addestrato ed equipaggiato negli ultimi due decenni, sarebbero stati un forte avversario nelle loro guerre civili con i talebani.

Questo presupposto – che il governo afgano sarebbe stato in grado di resistere per un certo periodo di tempo dopo il ritiro dei militari – non si è rivelato fondato.

Avevo comunque dato istruzioni al nostro team per la sicurezza nazionale affinché fossimo preparati a ogni eventualità – anche quella vericatasi. Ed è quello che abbiamo fatto.

Così, eravamo pronti quando le forze di sicurezza afghane – dopo due decenni di lotta per il loro Paese e la perdita di migliaia di loro connazionali – non hanno resistito così a lungo come ci si aspettava.

Eravamo pronti quando le forze di sicurezza e la popolazione afghana hanno visto il loro governo crollare e il loro presidente fuggire, in mezzo alla corruzione e al malaffare, consegnando il Paese al loro nemico, i talebani, e aumentando significativamente il rischio per il personale americano e i nostri alleati.

Di conseguenza, per evacuare in sicurezza i cittadini americani prima del 31 agosto – così come il personale dell’ambasciata, gli alleati e i partner, e gli afghani che hanno lavorato con noi e combattuto al nostro fianco per 20 anni – ho autorizzato l’invio di 6.000 truppe – truppe americane – a Kabul per aiutare a mettere in sicurezza l’aeroporto.

Come ha detto il generale McKenzie, questo è il modo in cui la missione è stata progettata. È stata progettata per operare sotto forte stress e attacchi. Ed è quello che ha fatto.

Da inizio marzo, abbiamo contattato 19 volte gli americani in Afghanistan, con molteplici avvertimenti e offerte per aiutarli a lasciare il Paese – per tutto il mese di marzo. Dopo aver iniziato l’evacuazione 17 giorni fa, abbiamo svolto una prima attività di ricerca e analisi e abbiamo identificato circa 5.000 americani che avevano deciso in precedenza di rimanere in Afghanistan ma che ora volevano andarsene.

La nostra operazione Allies Refuge si è conclusa con l’evacuazione di più di 5.500 americani. Abbiamo fatto uscire dal Paese migliaia di cittadini e diplomatici di quegli Stati che si erano impegnati con noi in Afghanistan per catturare bin Laden. Abbiamo fatto uscire dal Paese il personale locale dell’ambasciata degli Stati Uniti e le loro famiglie, per un totale di circa 2.500 persone. Abbiamo fatto uscire dal Paese anche migliaia di traduttori e interpreti afghani e altri che hanno supportato gli Stati uniti.

Ora crediamo che circa 100-200 americani rimangano in Afghanistan con una qualche intenzione di andarsene. La maggior parte di quelli che rimangono hanno la doppia cittadinanza, sono residenti da lungo tempo che avevano deciso di rimanere a causa delle loro radici familiari nel Paese.

Il risultato finale: il novantotto per cento degli americani in Afghanistan che volevano andarsene sono stati in grado di farlo.

E per gli americani rimasti, non c’è una scadenza. Restiamo impegnati a farli uscire dal Paese, qualora volessero andarsene. Il segretario di Stato Blinken sta coordinando i continui sforzi diplomatici per garantire un trasferimento sicuro per qualsiasi americano, partner afghano o cittadino straniero che voglia lasciare l’Afghanistan.

Infatti, proprio ieri, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha approvato una risoluzione che ha inviato un chiaro messaggio su ciò che la comunità internazionale si aspetta dai talebani per poter andare avanti, in particolare la libertà di viaggiare, la libertà di andare via dal Paese. E insieme, ci siamo uniti a più di 100 paesi che sono determinati a fare in modo che i talebani mantengano questi impegni.

Ciò includerà gli sforzi in corso in Afghanistan per riaprire l’aeroporto, così come i percorsi via terra, consentendo la continuazione delle partenze per coloro che vogliono andarsene e l’assistenza umanitaria alla popolazione afghana.

I talebani hanno preso impegni pubblici, trasmessi in televisione e alla radio in tutto l’Afghanistan, sullo spostamento sicuro per chiunque voglia andarsene, compresi quelli che hanno lavorato a fianco degli americani. Non facciamo affidamento solo sulla loro parola ma sulle loro azioni e possima fare leva affinché questi impegni siano rispettati.

Permettetemi di essere chiaro: il ritiro previsto per 31 agosto non è dovuto a una scadenza arbitraria; è stato programmato per salvare vite americane.

Il mio predecessore, l’ex presidente, ha firmato un accordo con i talebani per rimuovere le truppe statunitensi entro il 1° maggio, pochi mesi dopo il mio insediamento. Questo accordo non prevedeva che i talebani stipulassero un patto di cooperazione con il governo afghano, ma autorizzava il rilascio, l’anno scorso, di 5.000 prigionieri, compresi alcuni dei più importanti comandanti di guerra dei talebani tra quelli che hanno appena preso il controllo dell’Afghanistan.

E quando sono entrato in carica, i talebani erano militarmente nella loro posizione più forte dal 2001, controllando o contendendosi quasi la metà del Paese.

L’accordo dell’amministrazione precedente prevedeva che, se ci fossimo attenuti alla scadenza del 1° maggio, che era stata indicata come data definitiva del ritiro, i talebani non avrebbero attaccato nessuna forza americana, ma se fossimo rimasti, tutti i patti sarebbero stati annullati.

Quindi ci è stata lasciata una semplice decisione: o seguire l’impegno preso dall’ultima amministrazione e lasciare l’Afghanistan, o dire che non ce ne saremmo andati e impegnare altre decine di migliaia di truppe per tornare in guerra.

Questa era la scelta – la vera scelta – abbandonare o intensificare la nostra azione.

Non avevo intenzione né di prolungare questa guerra per sempre, né di prolungare il ritiro per sempre. La decisione di terminare le operazioni di trasporto aereo militare all’aeroporto di Kabul era basata sulla raccomandazione unanime dei miei consiglieri civili e militari – il Segretario di Stato, il Segretario della Difesa, il Presidente dei Capi di Stato Maggiore e tutti i capi di servizio, e i comandanti sul campo.

La loro raccomandazione era che il modo più sicuro per garantire lo spostamento degli americani rimanenti e di altri fuori dal Paese non era quello di continuare con 6.000 truppe sul territorio in pericolo a Kabul, ma piuttosto di farli uscire attraverso mezzi non militari.

Nei 17 giorni in cui abbiamo operato a Kabul, dopo la presa del potere da parte dei talebani, ci siamo impegnati 24 ore su 24 per dare ad ogni americano la possibilità di andarsene. Il nostro Dipartimento di Stato ha lavorato 24 ore su 24, 7 giorni su 7, tra prese di contatto e colloqui, e in alcuni casi, accompagnando gli americani all’aeroporto.

Ancora una volta, più di 5.500 americani sono stati trasportati via aerea. E per quelli che rimangono, prenderemo accordi per farli uscire, se lo desiderano.

Per quanto riguarda gli afghani, noi e i nostri partner ne abbiamo trasportati 100.000 in aereo. Nessun paese nella storia ha fatto più di noi per trasportare via aerea i cittadini di un altro paese. Continueremo a lavorare per aiutare più persone a rischio a lasciare il Paese. E siamo lontani dall’aver finito.

Per ora, esorto tutti gli americani a unirsi a me in una preghiera di gratitudine per le nostre truppe e per i diplomatici e i funzionari dell’intelligence che hanno svolto questa missione di misericordia a Kabul e hanno corso un rischio tremendo, con risultati senza precedenti: un ponte aereo che ha evacuato decine di migliaia di persone verso una rete di volontari e veterani che hanno aiutato a identificare coloro che avevano bisogno di essere evacuati, guidarli all’aeroporto e fornire loro supporto lungo la strada.

Continueremo ad avere bisogno del loro aiuto. Abbiamo bisogno del vostro aiuto. E non vedo l’ora di incontrarvi.

E a tutti coloro che si stanno offrendo o si offriranno di accogliere gli alleati afghani nelle loro case in tutto il mondo, compresa l’America: vi ringraziamo.

Mi assumo la responsabilità della decisione. Ora, alcuni dicono che avremmo dovuto iniziare le evacuazioni di massa prima e che tutto questo “Non avrebbe potuto essere fatto in modo più ordinato?”. Con tutto il rispetto, non sono d’accordo.

Immaginate se avessimo iniziato le evacuazioni in giugno o luglio, trasferendo migliaia di truppe americane ed evacuando più di 120.000 persone nel mezzo di una guerra civile. Ci sarebbe stata comunque una corsa all’aeroporto, un crollo della fiducia e del controllo del Governo, e sarebbe stata comunque una missione molto difficile e pericolosa.

La linea di fondo è: non c’è nessuna evacuazione – evacuazione al termine di una guerra che si possa eseguire senza il tipo di complessità, sfide e minacce che abbiamo affrontato. Nessuna.

C’è chi direbbe che avremmo dovuto rimanere indefinitamente per anni e anni e si chiede: “Perché non abbiamo continuato a fare quello che stavamo facendo? Perché abbiamo dovuto cambiare qualcosa?”.

Il fatto è che: tutto era cambiato. Il mio predecessore aveva fatto un accordo con i talebani. Quando sono entrato in carica, avevamo una scadenza: il 1° maggio. L’attacco violento dei talebani stava arrivando.

Avevamo davanti due opzioni: seguire l’accordo della precedente amministrazione ed estenderlo al fine di avere più tempo per far evacuare le persone dal Paese; oppure inviare migliaia di truppe in più e intensificare il conflitto.

A quelli che chiedono un terzo decennio di guerra in Afghanistan, io domando: qual è il vitale interesse nazionale? A mio modo di vedere, ce n’è solo uno: assicurarci che l’Afghanistan non posso essere nuovamente utilizzato come base per lanciare un attacco verso nostra nazione.

Ricordate perché siamo andati in Afghanistan all’inizio? Perché eravamo stati attaccati da Osama bin Laden e da al Qaeda l’11 settembre 2001, ed entrambi avevano la propria base in Afghanistan.

Abbiamo reso giustizia ai crimini di bin Laden il 2 maggio 2011 – più di un decennio fa. Al Qaeda era stata decimata.

Vi suggerisco rispettosamente di porvi questa domanda: se l’11 settembre 2001 fossimo stati attaccati dallo Yemen invece che dall’Afghanistan, avremmo mai condotto una guerra in Afghanistan – anche se i talebani controllavano il Paese nel 2001? Credo che la risposta più onesta sia “no”. Questo perché non avevamo altro vitale interesse nazionale in Afghanistan se non prevenire un attacco alla nostra madrepatria e ai nostri amici. E questo è vero ancora oggi.

Abbiamo compiuto ciò che ci eravamo prefissati in Afghanistan più di un decennio fa. Poi siamo rimasti per un altro decennio. Era tempo di porre fine a questa guerra.

Questo è un mondo nuovo. La minaccia terroristica si è diffusa come una metastasi in tutto il globo, ben aldilà dell’Afghanistan. Dobbiamo fronteggiare minacce da al-Shabaab in Somalia; affiliati di al Qaeda in Siria e nella penisola arabica; e l’ISIS sta tentando di creare un califfato in Siria e in Iraq, e di stabilire alleanze in Africa e in Asia.

L’impegno principale di un Presidente, a mia opinione, è di difendere e proteggere l’America – non dalle minacce del 2001 ma da quelle del 2021 e di domani.

Questo è il principio guida dietro le mie decisioni sull’Afghanistan. Semplicemente non credo che la sicurezza e la protezione dell’America sia incrementata dall’impiegare migliaia di truppe americane e dallo spendere miliardi di dollari all’anno per la campagna in Afghanistan.

Però so anche che la minaccia del terrorismo persiste nella sua perniciosa e malvagia natura. Ma è cambiata, si è estesa ad altri paesi. Anche la nostra strategia deve cambiare.

Manterremo la nostra lotta al terrorismo in Afghanistan e in altre nazioni. Non dobbiamo per forza condurre una guerra sul territorio per farlo. Possediamo quelle che si chiamano over-the-horizon capabilities (capacità di compiere operazioni militari dalla lunga distanza – n.d.t.) ciò significa che possiamo colpire terroristi e obiettivi senza avere truppe americane sul campo – o avendone molto poche, se necessario.

Abbiamo dimostrate tali capacità giusto la scorsa settimana. Abbiamo colpito l’ISIS-K da remoto, pochi giorni dopo che avevano assassinato 13 dei nostri soldati e dozzine di afghani innocenti.

E all’ISIS-K: non abbiamo ancora finito con te.

Come Comandante in capo, credo fermamente che il miglior modo per garantire la nostra sicurezza e la nostra protezione risieda in una dura, implacabile, mirata, precisa strategia che affronti il terrorismo dove si trova ora, non dove era due decenni fa. Questo è quello che è nel nostro interesse nazionale.

E c’è una cosa essenziale da capire: il mondo sta cambiando. Siamo impegnati in una seria competizione con la Cina. Abbiamo a che fare con le sfide su più fronti con la Russia. Facciamo fronte ai cyber-attacchi e alla proliferazione nucleare.

Dobbiamo rafforzare la competitività dell’America per rispondere a queste nuove sfide nella competizione per il 21° secolo. E possiamo fare ambo le cose: combattere il terrorismo e affrontare le nuove minacce che sono qui ora e che continueranno a esserci nel futuro.

E non c’è niente che Cina e Russia preferirebbero avere, che vorrebbero di più in questa competizione degli Stati uniti impantanati altri dieci anni in Afghanistan.

Mentre voltiamo pagina sulla politica estera che ha guidato la nostra nazione negli ultimi due decenni, dobbiamo imparare dai nostri errori.

Per me, ce ne sono due principali. Primo, dobbiamo impostare missioni con obiettivi chiari, raggiungibili – non che non raggiungeremo mai. E secondo, dobbiamo rimanere lucidamente concentrati sul fondamentale interesse nazionale per la sicurezza degli Stati uniti d’America.

La decisione sull’Afghanistan non riguarda solo l’Afghanistan. Riguarda la fine di un’era di grandi operazioni militari per ricostruire altri paesi.

Abbiamo visto una missione di contrasto al terrorismo in Afghanistan – catturare i terroristi e fermare gli attentati – trasformarsi in una missione di contrasto alla guerriglia, di costruzione di una nazione – cercando di creare un Afghanistan democratico, coeso e unificato – qualcosa che non è mai stato fatto durante i molti secoli della storia dell’Afghanistan.

Andare oltre rispetto a quella mentalità e a quei dispiegamenti di truppe su larga scala ci renderà più forti ed efficaci e più sicuri a casa nostra.

E a chiunque si faccia l’idea sbagliata, lasciatemelo dire con chiarezza. A quelli che vogliono il male dell’America, a coloro impegnati nel terrorismo contro di noi e i nostri alleati, sappiate questo: gli Stati uniti non si fermeranno mai. Non perdoneremo. Non dimenticheremo. Vi daremo la caccia fino al più remoto angolo della Terra, e la pagherete a caro prezzo.

E lasciatemi essere chiaro: continueremo a supportare la popolazione afghana tramite la diplomazia, la pressione internazionale e l’aiuto umanitario. Continueremo a spingere per la diplomazia regionale e per l’impegno a prevenire violenza e instabilità. Continueremo a pronunciarci in favore dei diritti fondamentali della popolazione afghana, specialmente di donne e ragazze, come ci facciamo sentire a sostegno delle donne e delle ragazze di tutto il mondo. E sono stato chiaro nell’affermare che i diritti umani saranno il centro della nostra politica estera.

Ma la maniera per fare ciò non è attraverso dispiegamenti militari infiniti, ma attraverso la diplomazia, gli strumenti economici, e mobilitando il resto del mondo a supporto.

Miei compatrioti americani, la guerra in Afghanistan ora è terminata. Io sono il quarto presidente ad avere affrontato il problema di se e quando terminare questa guerra. Quando era in corsa per la presidenza, ho preso l’impegno col popolo americano che avrei messo fine a questa guerra. E oggi ho onorato quell’impegno. Era tempo di essere nuovamente onesto con il popolo americano. Non avevamo più un chiaro scopo per una missione a tempo indeterminato in Afghanistan.

Dopo 20 anni di guerra in Afghanistan, mi sono rifiutato di mandare un altra generazione di figli e figlie dell’America a combattere una guerra che sarebbe dovuta terminare da molto tempo.

Dopo più di 2.000 miliari di dollari spesi in Afghanistan – un costo che i ricercatori della Brown University stimano sia superiore ai 300 milioni di dollari al giorno per 20 anni in Afghanistan – per due decenni – sì, il popolo americano dovrebbe ascoltare questo: 300 milioni di dollari al giorno per due decenni.

Se prendete la cifra di 1.000 miliardi di dollari, come molti dicono, si tratta sempre di 150 milioni di dollari al giorno per due decenni. E cosa abbiamo perso come conseguenza in termini di opportunità? Io mi sono rifiutato di continuare in una guerra che non era più al servizio del vitale interesse nazionale della nostra gente.

E soprattutto, dopo 800.000 americani che hanno fornito in Afghanistan – ho viaggiato per tutto quel paese – un valoroso e onorevole servizio; dopo 20.744 militari, uomini e donne, feriti, e la perdita di 2.461 americani impiegati, inclusi le 13 vite perse giusto la settimana scorsa, mi sono rifiutato di aprire un altro decennio di guerra in Afghanistan.

Siamo stati una nazione troppo a lunga in guerra. Se oggi hai 20 anni, non hai mai conosciuto un’America in pace.

Perciò, quando sento dire che avremmo potuto, avremmo dovuto continuare il cosiddetto impegno a bassa intensità in Afghanistan, a basso rischio per i nostri militari, a basso costo, non penso che un numero sufficiente di persone abbia capito quanto abbiamo chiesto a quell’uno per cento di questo paese che veste una uniforme, che è disposto a mettere la propria vita a rischio in difesa della nostra nazione.

Forse è perché il mio defunto figlio, Beau, ha servito in Iraq per un anno intero, prima della morte. Bene, forse è per via di quello che durante gli anni ho visto come senatore, vicepresidente e presidente viaggiando per questi Stati.

Tanti nostri veterani e le loro famiglie hanno attraversato l’inferno – dislocamento dopo dislocamento, mesi e anni lontani dalle loro famiglie; compleanni persi, anniversari; sedie vuote durante le feste; difficoltà finanziarie; divorzi; perdita di arti; traumi cerebrali; stress post-traumatico.

Lo vediamo nelle difficoltà di molti quando ritornano a casa. Lo vediamo nella fatica che grava sulle loro famiglie e su chi fornisce loro cure. Lo vediamo nel dolore sopportato dai superstiti. Il costo della guerra lo porteranno con loro per tutta la vita.

Più tragicamente, lo vediamo nelle scioccanti e sbalorditive statistiche che dovrebbero far riflettere chiunque pensi che la guerra possa essere a bassa intensità, a basso rischio, o a basso costo: 18 veterani, in media, che muoiono ogni giorno di suicidio in America – non in un posto lontano, ma proprio qui in America.

Non c’è niente a bassa intensità o a basso rischio o a basso costo in qualsiasi guerra. È il momento di terminare la guerra in Afghanistan.

Mentre chiudiamo 20 anni di guerra e conflitto e dolore e sacrificio, è il momento di guardare al futuro, non al passato – a un futuro più sicuro, a un futuro che onori coloro che hanno prestato servizio e tutti coloro che hanno dato quella che il presidente Lincoln chiamava la loro “estrema prova di devozione”.

Vi do la mia parola: con tutto il mio cuore, credo che questa sia la decisione giusta, una saggia decisione, e la mia migliore decisione per l’America.

Grazie. Grazie. E possa Dio benedire tutti voi. E possa Dio proteggere le nostre truppe.

Qui il PDF

Qui il link al discorso in lingua originale

Vi proponiamo inoltre l’analisi di Stefano Rizzo uscita su “italia libera” il 02.09.2021.

Un commento a “Osservazioni del presidente Biden sulla fine della guerra in Afghanistan”

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