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Domani, 8 giugno, i cittadini britannici saranno chiamati ad eleggere i componenti del nuovo parlamento di Sua Maestà. Tale elezione determinerà quali partiti saranno in grado di esprimere una maggioranza per la formazione di un governo. Nel cercare di descrivere il contesto politico e di delineare i possibili esiti e le conseguenze del voto ci avvaliamo del supporto di Damiano De Rosa, politologo esperto del sistema politico britannico e co-autore del testo I ‘nonluoghi’ della formazione della classe dirigente e della decisione politica (Apes, 2016) [1].


Iniziando proprio dalla definizione delle figure dei leader dei due schieramenti più importanti, vediamo che a guidare i conservatori c’è Theresa May, la seconda premier donna britannica di sempre, dal carattere coriaceo e con un’immagine tradizionalista, capace di esprimere un messaggio paternalista e un programma caratterizzato da una maggiore attenzione al sociale (fondi alle scuole, meno tasse per le fasce povere, partecipazione dei lavoratori alle imprese), in leggero ma sensibile distacco dal neo-liberismo di Cameron. Non ci è dato sapere se questo lieve cambio di rotta sia dettato da genuine e ragionate convinzioni o dai consigli dei suoi spin-doctor Lyndon Crossy (che curò la campagna dei Tories nel 2015) e Jim Messina (che seguì la campagna di Obama del 2012 e quella del fronte del “sì” per il referendum costituzionale in Italia).


Il leader del partito laburista è invece Jeremy Corbyn, il ribelle che viene dal mondo sindacale e dei movimenti sociali, paziente back-bencher, che De Rosa ci conferma essere “nel solco sia di Attlee, che di Tony Benn… [in] cesura netta con gli anni del blairismo” ma non per questo “un esponente della sinistra radicale”, ma piuttosto della storica sinistra laburista, in grado invece di rappresentare “l’attualità e la storia delle Sinistra britannica…. [nella] pratica e [nella] tradizione del movimento e del partito laburista”. Il programma politico dei laburisti pare rispondere pienamente ai principi della tipica sinistra socialdemocratica europea. Tra le molte proposte spiccano nuovi fondi per l’educazione e la sanità, la statalizzazione delle infrastrutture principali, l’aumento dal 19% al 26% delle tasse sul reddito da capitale d’impresa (corporation tax). L’annuncio più recente riguarda invece l’assunzione di diecimila agenti di polizia, in risposta all’ultima serie d’attentati terroristici e in forma critica rispetto ai tagli alla sicurezza operati dagli ultimi governi conservatori.


Questa ultima proposta in particolare sposta l’attenzione sull’aspetto della comunicazione. Oltre che dalla solidità delle proposte programmatiche e dall’efficienza di una rete di supporto organizzativo, buona parte del successo elettorale di un partito passa dall’abilità, soprattutto del suo leader, di mostrarsi forte e capace di dialogare con tutti e di servire con efficienza e abnegazione gli interessi della nazione. Forse anche per questo spesso i temi riguardanti la politica estera sono allontanati dal centro del dibattito, per far spazio al lavoro e alla sicurezza. La posizione di Corbyn “tesa alla limitazione assoluta degli interventi militari volti ad affermare una presenza di tipo neocoloniale delle potenze occidentali nel mondo in maniera più o meno mascherata”, come ci riferisce De Rosa, lo ha esposto spesso ad “accuse e partigianerie varie (l’accusa di essere una spia russa ad esempio)”. Forse allora il dimostrarsi vicino al tema della sicurezza, della lotta al terrorismo ed ai bisogni delle forze dell’ordine potrebbe essere, almeno in parte, un tentativo di vincere lo scetticismo ed attrarre i favori di una parte sociale che ritiene la questione della difesa come centrale e tipicamente fuori dagli interessi laburisti.


In merito all’efficacia dei rispettivi leader nel raccogliere consensi, i sondaggi rivelano che nonostante entrambi siano considerati come migliori potenziali primi ministri dei due precedenti contendenti (David Cameron e Ed Milliband), Theresa May mantiene un cospicuo vantaggio su Jeremy Corbyn. Preferita infatti dal 42% del totale degli elettori (il 69% degli ultra-65enni, il 12% dei giovani), doppia le percentuali del suo avversario diretto fermo al 21% (il 52% dei giovani e solo il 12% degli ultra-65enni), il quale pur essendo molto amato dagli elettori laburisti (70%), sembrerebbe non riuscire ad affermare la propria leadership in maniera trasversale [2].
La totalità dei sondaggi pare quindi prospettare una vittoria dei Conservatori, attestati tra il 42% ed il 45%, con i Laburisti in forte recupero, che paiono doversi muovere tra il 34% ed il 39%, e i Liberal Democratici oscillanti tra il 7% e l’11% [3]. È necessario però sottolineare come in un sistema maggioritario a collegi uninominali e a turno unico, come le percentuali su base nazionale non corrispondano in maniera proporzionale ai seggi conquistati, e vadano lette in relazione ai risultati nelle singole costituency, che nel totale sono 650. Nelle elezioni del 2015 ad esempio il partito conservatore raccogliendo il 36,8% dei voti, riuscì ad ottenere il 50,8% dei seggi, a fronte del partito laburista che con il 30,5% si aggiudicò solo il 35,7% dei seggi e di UKIP che col 12,6%, conquistò appena un seggio.
Guardando le previsione relative ai singoli collegi [4] si nota come nel nord industriale (es. Liverpool Watson, City of Durham, Birminghan North Hill e Manchester Centre), nei quartieri popolari e della classe media dei centri urbani (es. Tottenham e Westham) ed anche nei grandi centri universitari (Cambridge e Oxford) il Labour sia in netto vantaggio. Il partito conservatore è invece sostanzialmente più forte in tutta la zona rurale del centro-sud (es. Sussex, Yorkshire East, Ashfort, Beaconfield e Aldershot) e nei quartieri più ricchi delle grandi città, in primis Londra (es. Chelsea-Fulham). Oltretutto si evidenzia come gli elettori favorevoli entusiasti della Brexit, trasmigrati per buona parte da UKIP ai Tories, appartengano frequentemente alle classi sociali più povere, con minore livello d’istruzione, meno propense ad un cambiamento sociale, seppur ottimiste circa la loro condizione economica futura e soprattutto distanti nello spazio e negli ideali dai poli tradizionalmente laburisti.


Come ci riferisce De Rosa, a evidenziare che “Corbyn e il Labour hanno fatto campagna, pubblica e diffusa per il Remain” ci sono i numeri delle statistiche e le intenzioni di voto soprattutto dei giovani, grandi sostenitori del partito laburista e generalmente pro-europa. Attratti dall’associazionismo attivo organizzato da Momentum, “un movimento assai interessante e innovativo”, che è alla base del successo di Corbyn e capace di convogliare ragazzi e ragazze che “ sono per lo più scolarizzati e studenti universitari ma… [anche] diverse persone provenienti da aree disagiate”, considerato che con le “tuition fees attuali tra studenti e classi disagiate la forbice è diminuita”.


Proprio sulla questione Brexit e sulle trattative da intrattenere con l’Unione Europea potrebbe basarsi buona parte della partita elettorale. Se da un lato infatti i conservatori hanno drenato e inglobato i voti del UKIP, dall’altro i sostenitori del Partito Liberal Democratico e del SNP si sono fortemente schierati per il Remain, ed in particolare i primi, sono decisi ad ostacolare ogni tentativo di hard-brexit e addirittura a proporre un contro referendum sul voto di uscita. È interessante sottolineare come i leader dei due partiti Tim Farron e Nicola Sturgeon  esprimano entrambi un orientamento progressista, seppur con misure differenti. Il primo ad esempio, in decisiva deviazione rispetto alla linea del suo predecessore Nick Clegg, dedica molta cura nel suo programma agli strumenti d’intervento statale per la tutela e l’ampliamento dei diritti all’istruzione, alla salute ed all’abitazione. La seconda invece, rappresentante di un partito che si iscrive maggiormente nella tradizione della sinistra socialista e socialdemocratica, propone ad esempio un investimento pubblico di 118 miliardi di sterline e riforme per il rafforzamento dei diritti dei lavoratori. Se i Lib Dem si sono detti aperti a sostenere candidati laburisti in alcuni seggi e a partecipare a una grande coalizione progressista, Sturgeon ha invece apertamente dichiarato la sua disponibilità a sostenere un governo Labour decidendo di volta in volta quali istanze appoggiare e quali no [5]. Se dunque un’alleanza formale sia irrealizzabile anche perché, sostiene De Rosa, “il Labour si propone come forza maggioritaria e dunque non cerca alleanze, nella tradizione britannica”, in caso di hung parliament, una grande coalizione, con “i Verdi (nel seggio di Brighton Pavilion i laburisti potrebbero supportare il leader del green party Caroline Lucas) e l’SNP… [come] prima opzione”, ma anche allargabile ai Lib Dem potrebbe essere una soluzione plausibile; non a caso Theresa May ha avuto premura di scongiurarla etichettandola nei suoi discorsi come la coalizione nel caos destinata a dividere il paese.


A ciò si aggiunge l’azione di supporto non solo finanziario ai candidati europeisti per lo più progressisti di molte associazioni e fondazioni di scopo contro la Brexit. Tra le quali Best for Britain, More United (guidata dall’ex-leader Lib Dem Patty Ashdown) e Open Britain, il cui leader è Gina Gerson, la ricca imprenditrice famosa per aver dato avvio alla causa giudiziale (Miller and Dos Santos v Secretary of State for Exiting the European Union) contro il governo britannico circa la sua autorità nell’iniziare il processo di Brexit senza l’approvazione del parlamento [6].


Benché quindi una vittoria relativa dei Tories appaia scontata a livello nazionale, le battaglie nei singoli collegi potrebbero riservare delle sorprese in grado di riqualificare la dimensione di tale vittoria. Se la snap election è stata chiamata da Theresa May per serrare e ingrandire le fila del suo partito in parlamento, soprattutto in vista delle trattative con l’UE, il risultato di queste prossime elezioni potrebbe invece avere l’effetto contrario di indebolire la posizione dei conservatori, e financo, seppur difficilmente, di sottrargli il governo del paese.


Per il Labour invece le elezioni potrebbero avere effetti diametralmente opposti. Se infatti, ci spiega De Rosa, il partito dovesse subire una dura sconfitta, potrebbe esservi “un big bang interno che riporti l’ala blairiana, particolarmente di David Miliband in sella”. Se viceversa, “ipotesi tutt’altro che remota”, i laburisti riuscissero ad ottenere anche solo una onorevole sconfitta, la posizione della nuova dirigenza corbyniana rimarrebbe salda, e si prospetterebbe forse la “possibilità di scissione centripeta dell’ala newlaburista”. Una discreta riuscita elettorale, potrebbe provocare la mera sostituzione di Corbyn; per la successione “i nomi più chiacchierati sono Tom Watson, leader dei Parlamentari e Yvette Cooper, chair della Commissione Affari Interni”. Ciò non implicherebbe comunque un cambio radicale della dirigenza interna e di supporto e delle proposte politiche del Labour di nuovo corso, che ha in persone come il Cancelliere Ombra dello Scacchiere “John Mc Donnel, che ne delinea la campagna e le issues più importanti… il capo del sindacato Unite Len McCluskey e il capo di Momentum Jon Lansman” alcuni dei cardini fondamentali.


Non resta dunque che attendere i risultati, nella consapevolezza che benché siano state affinate e migliorate, le tecniche d’indagine sondaggistica si sono dimostrate nei recenti casi, in particolare la Brexit e l’elezione del Presidente degli U.S.A., inefficaci nell’intercettare le reali intenzioni di voto e prevederne gli esiti. A ciò si potrebbe maliziosamente aggiungere la malcelata velleità di buona parte dei media e delle agenzie di statistica di scoraggiare o promuovere una mozione piuttosto che un’altra, con il risultato di distaccare ancor di più i cittadini dalla politica, di generare confusione e di asprirne le divisioni interne.


Possiamo essere certi invece che qualunque verdetto promani dalle urne, il Regno Unito dovrà prepararsi ad affrontare un periodo molto difficile, sia dal punto di vista politico che economico-sociale, col rischio incombente di una ulteriore disgregazione interna (ricordiamo il nuovamente invocato referendum per l’indipendenza della Scozia), in parte conseguente ad una sua politica d’isolazionismo dall’Europa e di neo-atlantismo. Il che, considerati anche i numerosi problemi che affliggono il cuore degli Stai Uniti e il crescente e inarrestabile sviluppo delle nuove super-potenze economiche (alcune delle quali ex-colonie britanniche), potrebbe significare la fine dei sogni di grandezza del vecchio e ormai polveroso impero di Sua Maestà.

Note

[1] Qui la scheda del libro
[2] M.Baxter, “More people want Jeremy Corbyn to be PM than Ed Miliband”, electoralcalculus.co.uk, 29 maggio 2017
[3] Qui i dati di Uk Polling Report
[4] Qui i dati di Lord Ashcroft Polls
[5] “Snp open to backing Labour governement ‘issue-by-issue’, BBC news, 02 giugno 2017
[6] G. Faulconbridge, M. Holden, “A woman suing the British government over Brexit is receiving a flood of sexist and racist threats”, Business Insider UK, 11 dicembre 2016

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