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Partiti e movimenti sociali dieci anni dopo il G8 di Genova

Riflessione di Francesco Marchianò a 10 anni dal g8 di Genova 2001
Pubblicato il 29 Luglio 2011
Hotel Gagarin, Materiali, Scritti

Sono passati dieci anni dai tragici fatti del G8 di Genova del 2001, dieci anni nei quali, mentre tutto il mondo è cambiato radicalmente, solo l’Italia è rimasta incapace di realizzare riforme significative, bloccata nella crescita e in balia della crisi economica. Gli anni che seguirono il vertice genovese hanno registrato un significativo spostamento a destra dell’Occidente, portando a compimento il ciclo politico-economico liberista con le guerre in Afghanistan e Iraq, il trionfo del neoconservatorismo, la sconfitta, culturale prima che politica, della sinistra in Europa. Solo dopo la crisi finanziaria del 2008 e la vittoria di Obama è sembrato aprirsi uno scenario nuovo. In Italia, dieci anni fa, Berlusconi era diventato da poco presidente del consiglio per la seconda volta (lo era stato per pochi mesi nel 1994) e il suo governo, agli occhi di tutto il mondo, mostrava il lato violento e repressivo del potere. Al di là delle ricostruzioni giudiziarie, infatti, si può dire con uno sguardo storico che certamente in quelle giornate funzionari e dirigenti della pubblica sicurezza, e politici a vario titolo coinvolti, abbiano in più occasioni violato diritti essenziali, compiendo gravi abusi. E’ stato un grande vuoto della democrazia che dimostra quanto poco basti ad un qualsiasi regime democratico per scivolare verso l’autoritarismo. Tornare oggi a quelle giornate può essere utile per cogliere qualche suggerimento sul rapporto tra partiti e movimenti, specialmente nei momenti di crisi. Gli studi sui movimenti sociali hanno evidenziato come questi ultimi siano, spesso, degli indicatori che segnalano alcuni cambiamenti in corso. I movimenti possono essere tra i primi sensori che avvertono il mutamento sociale, soprattutto quando, per ragioni varie, gli attori collettivi più organizzati ed istituzionalizzati vengono meno a questa funzione. Nel 2001 la sinistra italiana, ad eccezione di Rifondazione Comunista, non comprese sufficientemente i segnali di una crescente disponibilità all’azione collettiva che emergeva nella società e che si concentrava su tematiche nuove. Il G8 di Genova fu, infatti, la prima tappa di un periodo di inteso protagonismo al quale fecero seguito le manifestazioni contro le guerre americane, quelle della Cgil, dei girotondi. Per alcuni anni le piazze italiane fuorono riempite di nuova partecipazione. In questo scenario, il partito più grande della sinistra, i Ds, si è mosso con difficoltà, come se soffrisse e al tempo stesso subisse questi movimenti. Al termine di quello che, con Tarrow, potremmo definire un ciclo politico di protesta, entrambi gli attori collettivi, partiti e movimenti sociali, sono risultati però sconfitti. Dieci anni dopo, Berlusconi è ancora a capo del governo, sebbene oramai sul viale del tramonto, i movimenti sono rifluiti rapidamente, come sempre è accaduto a tutti i movimenti che sono rimasti tali, le sigle dei partiti di sinistra di allora non ci sono più. Qual è la lezione che si può trarre? Quando si affacciano sulla scena i movimenti, i partiti devono avere la capacità di aprirsi, di ascoltare, di interpretare i segni di cambiamento. E’ vero che spesso i movimenti si pongono in maniera critica proprio verso i partiti, ma una chiusura di questi ultimi sarebbe sbagliata e non produttiva. Dice bene Walter Tocci quando afferma: “Spesso la politica attribuisce ai movimenti la colpa di non durare. Ma proprio su questa carenza si dovrebbe far sentire invece l’aiuto della politica. (…). Un partito diventa grande quando è capace di dare durata a sentimenti profondi della nazione” . E’ un buon monito col quale affrontare una fase come quella attuale nella quale sembra sorgere un nuovo attivismo nella società. Francesco Marchianò

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