Lavoro, Temi, Interventi

Il contenuto delle righe seguenti necessita di una premessa obbligatoria: la legge di bilancio è stata presentata dal Governo il 16 novembre, oltre tre settimane dopo il termine ordinatorio entro cui la si dovrebbe presentare. Non sfugge a nessuno l’aggravarsi di una compressione del ruolo del Parlamento in coerenza, purtroppo, con una tendenza già da tempo operante.

Detto ciò, e rilevatane la gravità, passiamo a illustrare i contenuti della “bozza”, con l’avvertenza di possibili cambiamenti.

Divideremo come di consueto l’illustrazione seguendo la suddivisione canonica degli ammortizzatori: quelli che presuppongono il mantenimento del rapporto di lavoro, e quelli a valle della sua risoluzione1.

Prima di ciò, una rapidissima segnalazione riguarda il reddito di cittadinanza, sottoposto a radicale riscrittura sia riguardo ai controlli di ammissibilità ex ante, sia – e soprattutto – riguardo al legame con occasioni di lavoro. Qui si stringono ulteriormente le condizionalità già presenti nel dispositivo originario, prevedendo la perdita del beneficio a fronte del secondo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua, la cui definizione viene peraltro ulteriormente dequalificata in quanto rientrerà nella congruità una proposta a tempo determinato o in somministrazione purché superiore a tre mesi, e la distanza dal primo luogo di lavoro offerto, il cui rifiuto comporterà la perdita del reddito, è portata a ottanta chilometri, ovvero 100 minuti con i mezzi pubblici per la prima offerta e senza limiti nel territorio nazionale per il secondo! Inoltre, a decorrere dal primo rifiuto di un’offerta congrua si prevede una decurtazione mensile di €5. È evidente, come del resto era già nella versione originaria, una logica punitiva e stigmatizzante per i percettori.

Gli ammortizzatori sociali

L’attuale proposta aumenta l’inclusione dei soggetti beneficiari di Cassa Integrazione a tutte le forme di apprendistato e ai lavoratori a domicilio; abbassa a trenta giorni di presenza nell’unità produttiva il requisito d’accesso alle prestazioni (dai precedenti 90), ed elimina il tetto inferiore dell’indennità determinando così un avvicinamento all’80% della retribuzione persa.

A parte questi elementi, il progetto non interviene sulla Cassa Integrazione Ordinaria. Invece viene operata una estensione significativa della Cassa Integrazione Straordinaria, a valere per tutte le imprese con più di 15 dipendenti, cui viene in sostanza imposto di scegliere tra il permanere (o immettersi ex novo) nel nuovo regime, ovvero aderire a un Fondo di solidarietà esistente o dare vita a un Fondo specifico o ancora confluire nel Fondo Integrazione Salariale (FIS). Qui c’è un possibile scarto nei costi, visto che per la Cigs si conferma l’attuale contribuzione pari allo 0,90% del monte salari, di cui lo 0,30% a carico del lavoratore, mentre la contribuzione dei Fondi è definita dalle parti costituenti avuto riguardo alla sostenibilità del bilancio prospettico del fondo stesso, e al FIS viene accresciuta allo 0,80% la contribuzione fin qui limitata allo 0,65%.

Vi è un’azione di inclusione facendo obbligo alle imprese con almeno un dipendente di aderire al FIS o costituire un Fondo di solidarietà a decorrere dal 2022, e si prevedono durate (e contribuzioni) diverse a seconda dell’ampiezza occupazionale: fino a 13 settimane per le imprese fino a 5 dipendenti, fino a 26 per quelle da 5 a 15; e poi si rientra nel regime generale. Sfuma – purtroppo – la valorizzazione dei contratti di solidarietà difensivi, che ritornano ad essere una causale della Cigs, soggetta pertanto al tetto massimale e “favorita” solo perché la durata massima di 24 mesi nel quinquennio mobile prevista per le altre causali di Cigs (crisi e riconversione) viene elevata per questa fattispecie a 36. Inutile dire che viene ulteriormente sollecitato lo svolgimento di attività di formazione/aggiornamento durante i periodi di fruizione della Cig, valorizzando in questo contesto l’azione dei fondi interprofessionali.

Infine, si riducono i contributi per le imprese che ricorrano alla Cigs dopo un biennio di non utilizzo, e al contempo si prevede anche la possibilità di “sforare” di un anno il tetto massimo di utilizzo nel caso di completa fruizione degli ammortizzatori sociali, però a fronte di un “accordo di transizione occupazionale” da sottoscrivere con i sindacati (e qui si allude a uno dei canali del progetto di revisione delle politiche attive finanziato con i fondi del PNRR che è stato presentato a parte del Ministero del Lavoro previa intesa con le Regioni), e un ulteriore sforamento di 12 mesi per ragioni di oggettiva impossibilità a ricorrere ancora agli ammortizzatori conservativi (quest’ultima fattispecie è finanziata con risorse pubbliche, ripercorrendo sia pure in modo minimale la cassa in deroga).

Il quadro sinteticamente descritto rappresenta un avanzamento verso l’inclusione, non costituisce tuttavia un modello “universale” per il permanere della distinzione tra imprese destinatarie di Cigo, Cigs e Fondi, cui si aggiunge in questo disegno l’opzionalità tra le possibili scelte che è interamente rimessa all’impresa (o alla sua associazione).

Le misure di tutela della disoccupazione

Gli interventi qui previsti sono meno numerosi, ma utili. Si prevede infatti l’ulteriore abbassamento del requisito d’accesso alla NASpI che ormai consiste solo in 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti la domanda. Inoltre, il famigerato décalage del 3% mensile viene fatto slittare dal quarto al sesto mese (all’ottavo per gli ultra-cinquantacinquenni). Contrariamente a una logica di inclusione si mantiene la Dis.Coll per gli iscritti alla gestione separata Inps, finalmente se ne prevede la copertura figurativa entro il limite di €1.400 e – curiosamente – se ne estende la durata a tutti i mesi di contribuzione riferibili all’anno precedente la richiesta, mentre la durata della NASpI rimane ferma alla metà delle settimane oggetti di contribuzione.

Messe così le cose sembra evidente il permanere di una forte esclusione dal sistema di fasce rilevanti dei lavoratori atipici non subordinati fin qui esclusi anche dall’ISCRO, e rimane la diversità delle prestazioni, sia nelle coperture che nelle durate. Con l’evidenza che è meno protetto chi opera già in situazioni maggiormente precarie (ad esempio piccolissime imprese e settori dei servizi). Purtroppo quanto vissuto e stabilito nel corso della pandemia non ha insegnato niente.

In altri termini si è lontani dal disegnare un sistema effettivamente equo e universale! Paradossalmente è invece possibile una qualche difficoltà sul fronte dei costi visto l’incremento delle coperture nonché di qualche deroga. E il bilanciamento ottenuto tramite il ricorso continuo ai fondi di solidarietà – che, ricordiamo, devono operare nel rispetto del pareggio di bilancio – è solo una coperta stretta. Quindi l’insieme rende probabili notevoli difficoltà alla prima crisi seria.

Note

1 Per la spiegazione delle sigle utilizzate rinviamo al nostro precedente articolo: https://centroriformastato.it/di-cosa-si-parla-quando-si-discute-di-ammortizzatori-sociali/

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