Femminismo, Politica, Temi, Interventi

Mi sono rivolto ad una deputata del Partito Democratico per raccogliere una sua opinione in merito alla questione della presenza femminile ai vertici del partito che è stata sollevata da Enrico Letta non appena eletto segretario. Letta ha ritenuto inammissibile una assenza così smaccata di esponenti femminili tra i ministri, i presidenti di Regione e i presidenti dei gruppi parlamentari eletti dal Partito democratico. Ha chiesto che, intanto e subito, due donne fossero nominate a presiedere i gruppi.

La parlamentare ha accettato di essere da me intervistata a patto che non facessi il suo nome. Un patto che io rispetto. Su suo suggerimento, chiamerò Claudia la mia interlocutrice.

L’appuntamento è a piazza Colonna alle cinque del pomeriggio di giovedì 25 marzo. È una bella giornata di primavera. I caffè sono chiusi. Poche persone in giro, a passo svelto, il volto nascosto dalla mascherina.

Avevo incontrato Claudia una sola volta, alcuni mesi fa. Ricordavo poco il suo viso e ora temevo di non riconoscerla, e con la mascherina poi. Mi sono fatto uno scrupolo d’essere puntuale ed eccomi al bordo della fontana che orna la piazza sul lato di via del Corso. Da cinque minuti osservo due giovani gabbiani intenti alle loro eleganti abluzioni, indifferenti e superbi, le piume immacolate che l’acqua non bagna.

Sono distolto da un «Salve!» detto, mi pare, con una punta di allegria. Mi volto. «Ti interessano i gabbiani?». «Ciao Claudia» le dico, e aggiungo: «mi incanta la bellezza dei loro colori». «I gabbiani io li conosco bene», fa lei. «Anni fa ho lavorato nello staff del Parco Naturale del ***, istituito dalla Regione. La foce del fiume *** e la spiaggia in quel punto erano addirittura infestate dai gabbiani. Non mi piacciono».

Mi chiede dove vogliamo andare per fare la nostra chiacchierata. «Non chiamiamola intervista» si schermisce. E le ridono gli occhi. Propongo di fare una passeggiata fino a piazza Navona. Le pare una buona idea. Imbocchiamo via della Colonna Antonina.

«Dunque hai lavorato in un Parco Naturale. Un lavoro attraente» faccio io. «Successe quasi per caso. Fu una fortuna». «E come andò?». «Dovrei raccontarti un po’ la mia storia. Ma non volevi parlare della presenza di noi donne nel Partito democratico?». «Certo, Claudia. Ma tu sei una deputata e la tua ‘storia’, come dici, può avere un suo interesse proprio considerandola riguardo alle scelte ed all’impegno delle donne nel tuo partito». «Questo, forse, è vero», ammette. E io: «Allora dimmi». «Mi stai chiedendo in realtà il mio incontro con la politica. Cerco di essere breve. Avevo appena conseguito il diploma di maturità in un liceo scientifico sperimentale ad indirizzo sportivo. Mi chiedevo cosa fare. Se iscrivermi all’università e quale facoltà scegliere. Intanto, dopo gli esami, nell’agosto e settembre di quell’anno, era il 2006, ebbi l’incarico di organizzare tornei di beach volley in uno stabilimento balneare. Conobbi i titolari degli altri bagni contigui che, da alcuni anni, avevano costituito un comitato di sostegno ai sindaci dei tre piccoli comuni della costa che da tempo premevano con la Regione perché quel tratto di litorale e l’area boschiva retrostante fossero dichiarati parco naturale. Il torneo di beach volley ebbe un gran successo ed il mio lavoro fu molto apprezzato. A fine stagione, alla premiazione, fu un consigliere regionale eletto nelle liste della Margherita a consegnare il trofeo alla squadra vincitrice.

Finalmente, nel gennaio del 2007, la Regione deliberò l’istituzione del Parco. Nello statuto, tra altre di carattere culturale e artistico, era prevista anche la promozione di attività sportive. In breve. Fu fatto il mio nome ed ebbi così un contratto stagionale nella amministrazione del Parco». «E poi fosti assunta a tempo indeterminato?». «Nemmeno per idea. Una precaria a tempo indeterminato, così potrei definirmi. E così mi sento. Oggi sono in parlamento, ma domani? Non dirmi che questo ti sorprende. La mia è la condizione di tantissimi, femmine e maschi, e il mio è lo stato d’animo di un’intera generazione. Ma non spingermi a parlare di questo, dell’ansia che mi porto dentro». «D’accordo. Dimmi, allora, come hai incontrato il Partito democratico che, in ogni caso, se non mi sbaglio, rappresenta un punto di sicurezza che ti motiva, nel quale ti riconosci, no?».

Camminiamo lentamente e ogni tanto Claudia si ferma, come per trovare meglio le parole giuste. Siamo arrivati a piazza della Rotonda. Non ci sono turisti. Pochi i passanti. Dalla vasca dell’obelisco s’alza in volo un gabbiano e va a raggiungere il frontone del Pantheon. «Non mi piacciono i gabbiani», ripete. Poi mi guarda e aggiunge abbassando il tono della voce già felpata dalla mascherina: «Mi ero preparata per questa, sì chiamiamola intervista. Pensavo tu ti limitassi a chiedermi della faccenda delle donne che andranno nominate a presiedere i nostri gruppi parlamentari e poco più. E ora siamo a dire della mia adesione al partito, una dozzina di anni fa». «Se vuoi veniamo subito al dunque. Non credo di voler pubblicare questa parte della nostra chiacchierata. Te l’ho chiesto, confesso, solo per una mia curiosità».

Capisco che sotto la mascherina sorride. L’abbassa e sorridendo mi dice: «È che ci ho preso gusto. Mi sento lusingata. La mia vicenda, così semplice e per tanti versi banale, grazie alla tua curiosità, come la chiami, prende nelle mie stesse parole un sapore che non conoscevo rivelandosi per certi versi istruttiva. Non dirò esemplare, ma istruttiva sì, ci sta». Torna, sbuffando, a sistemarsi la mascherina. E anch’io me l’aggiusto e sospiro: «Un vero fastidio mia cara Claudia, che possiamo farci. Così è».

Lei prende il via e fa: «Su, avanti! Tema: Claudia e il Partito democratico. Ecco come andò. Ci fu un’occasione inaspettata grazie alla quale ottenni, come si dice, una visibilità che, se ci penso, è all’origine del mio impegno politico. Nel luglio del 2007 scoppia un incendio che attacca una parte della secolare pineta, il pregio maggiore del nostro Parco. Un incendio naturalmente doloso che per fortuna recò danni limitati. Si disse che fosse un avvertimento che chi doveva intendere, in Regione, avrebbe inteso.

Io, con altri impiegati del Parco, ero accorsa tra i primi sul luogo. Nel gran trambusto fui intervistata da un giornalista d’una televisione locale. Risposi a due o tre domande mentre le fiamme ardevano alle mie spalle. Il servizio fu assai efficace e fu ripreso dai telegiornali nazionali. Ne fui sorpresa, quando mi vidi. Sullo schermo c’era una donna giovane, turbata sì, ma determinata, decisa, sicura dell’efficacia dell’intervento della forestale. Una ragazza coraggiosa. Ero io».

«Fammi capire. Dici che tutto parte da qui? Così si seleziona una classe politica dirigente?».

«Questo non lo so. Ma, in un certo senso, a stare alla mia vicenda, è proprio andata così. Alcuni mesi dopo si rinnovava nel mio paese il consiglio comunale. Il sindaco uscente, eletto con la Margherita, aveva aderito al Partito democratico. Come la quasi totalità dei miei colleghi del Parco, avevo partecipato alle riunioni per la costituzione dei Circoli territoriali promossi dal Partito democratico. Siamo ai primi mesi del 2008. La nostra partecipazione era assai gradita. Il Parco valeva difesa dell’ambiente, ecologia eccetera.

Le elezioni comunali si sarebbero svolte il 13 aprile, lo stesso giorno delle politiche, le prime in cui si presentava il Partito democratico. Quando il sindaco uscente mi propose di candidarmi non mi invitò a iscrivermi al partito. Mi spiegò che la candidatura mi veniva offerta perché ero una donna, giovane e che si era distinta, così disse. E secondo la sua valutazione avrei ottenuto maggior consenso se fossi risultata nella lista del Partito democratico come indipendente, espressione, così disse, della società civile. Aveva ragione. Ebbi molti voti. Fui eletta. Compivo in quell’aprile vent’anni».

«Bene Claudia, non voglio costringerti a raccontarmi ancora. Immagino il tuo impegno in consiglio comunale e come tu abbia consolidato i tuoi rapporti con il territorio e, come direbbe il tuo sindaco, con la società civile. E come tu abbia, non ho dubbio alcuno, ben operato per una corretta amministrazione del comune. E, immagino, del Parco. Per questo, nel 2018, vieni eletta al parlamento».

«Pur con i meriti che posso aver acquisito grazie all’esperienza in comune, ti dirò che le motivazioni che hanno reso forte la mia candidatura a deputata sono state, in buona sostanza, le stesse di dieci anni prima: che sono una donna e che sono giovane e, credo sia vero quanto molti dicono di me: che sono corretta. Non mi dispiace affatto, ti dirò. E, secondo me, corretta vuol dire assidua e diligente, quanto più posso informata e attenta alle esigenze del mio collegio. Un ritratto in cui mi piace riconoscermi».

Siamo arrivati a Piazza Navona. Ci sediamo su una panchina di marmo.

«Allora, veniamo alla richiesta di Letta», le dico. «Perfino si è detto, Claudia, che è stato un espediente il suo. Con la scusa del rispetto delle quote rosa, in realtà rende più facile la sostituzione dei due potenti capogruppo, due parlamentari che considera tiepidi sostenitori della sua segreteria. Li vuole indebolire. Delle due donne, della loro personalità e competenza a Letta importa meno, come che sia. Gli interessa ridimensionare il peso nel partito degli attuali presidenti».

«Non mi sembra giusto ridurre la proposta di Letta a una faccenda di equilibri interni al partito».

«Non voglio darti torto. Se ne può riparlare. Quel che intendo sollevare è un punto che mi pare non secondario. Il vincolo delle quote si presta a forti strumentazioni. Anche per questo c’è una discussione. Come sai a molte donne non piace affatto che si pongano meriti e capacità in secondo piano e al primo posto, prioritario e dirimente, il genere. Non è questo il modo di riconoscere la grande mutazione culturale che comporta l’assumere la piena presenza delle donne, sociale e politica, oltre che civile».

«Ammetto che il pericolo è quello che, una volta stabilito che nelle cariche da attribuire si debba tener conto in ogni caso e comunque del genere e in parti uguali, possano essere nominati anche dei poco competenti o dei meno adatti, maschi e femmine, pur di rispettare l’identità anagrafica. Ma è un pericolo che va corso. I vantaggi, in ogni caso, saranno maggiori degli inconvenienti, ed evidenti e sicuri proprio sul piano del riconoscimento delle donne e della loro pari dignità, dopo secoli di discriminazione».

Sembra intuisca qualche mia obiezione, mi previene.

«Figurati se non riconosco l’importanza delle idee femministe. Il femminismo è un atteggiamento culturale, riguarda – non riesco a dirlo meglio – la coscienza di ogni singola donna. Ma io sono impegnata nella mia qualità di politica a stare nella concretezza. Magari realizzo piccole cose, ma, una volta affermate, poi ci sono. Restano. Non ti pare?».

E ora io: «Continua. Non voglio interromperti», le dico. E lei: «Dico che il pensiero è una cosa, l’intervento su un tema determinato, concreto è un’altra. I pensieri possono vivere di parole. Ma come deputata io debbo produrre atti. Fatti e non parole. Parlo per me e per come sento d’essere io una donna e una donna impegnata, ma è con questo spirito che ho svolto sempre, o ho cercato di svolgere, le mansioni che mi sono state affidate. Fin dall’epoca dei tornei di beach volley. In consiglio comunale. E poi quando fui nominata assessore alle pari opportunità.

Capisci cosa voglio dire? I problemi quotidiani delle madri; le risorse e le delibere; l’istituzione d’un nido; una provvidenza assistenziale finalmente approvata. Ecco, politica è questo. Dare risposta a esigenze concrete che si presentano urgenti».

Claudia tace un momento. Mi guarda quasi a cercare la mia approvazione. Io non annuisco. Le risulto perplesso, e allora, con un tono più riflessivo, ma altrettanto infervorato, continua: «Le discussioni, i contributi, le analisi, lasciami dire: tutto bene, legittimo, giusto. Ma una cosa è amministrare bene, stare al pezzo; altra è – la dico così – parlare, leggere e scrivere. Che Letta si sia subito mosso per sanare una situazione clamorosamente dispari, che sfavorisce le donne nei vertici dei gruppi parlamentari, ed abbia chiesto, qualcuno ha detto imposto, l’elezione di due parlamentari di genere femminile è un atto, è un fatto politico che dovrebbe rallegrare ogni donna. Ogni donna, indipendentemente dalla opinione politica che possa avere.

Insomma si tratta di dare risposte ad esigenze ben presenti e di saper adeguatamente correggere difetti ben esistenti. Voglio dire che di questo sono convinta: donne o uomini, dare risposte, non porre domande su temi che, purtroppo assai spesso, non sono affatto profondamente radicati nella società reale, questa nella quale viviamo ogni giorno, ma, al contrario, sono questioni e temi che vagheggiano una società ideale, astratta. Bellissima, magari, non lo nego, ma inesistente e, aggiungo, mai esistita».

Mi cascano le braccia. Non so a partire da quale punto tra quanti ha toccato, io possa motivare a Claudia come, a mio parere, il suo ragionamento non tenga nel giusto conto alcune importanti questioni. Considero che sono proprio quelle che attengono a certi suoi fermi convincimenti e che ne reggono l’impianto. Preferisco non toccare l’argomento del femminismo. Allora rimugino come dirle che non sono affatto d’accordo con lei quando separa parlare, leggere e scrivere da fare e concretamente operare. Censuro come impronunciabili vari termini che affiorano in me: ‘differenza’, ‘autocoscienza’, ‘pratiche’, praxis. Avverto di temere di inoltrarmi in terreni tutti assai complicati.

Tuttavia sto per aprir bocca quando Claudia, ancora una volta, mi precede: «Vedo che stai considerando attentamente quanto ti ho dichiarato. Stai pensando a come stendere l’intervista? Lo capisco. Non hai preso nemmeno un appunto. Se posso, in estrema sintesi (poi vedi tu, naturalmente): diciamo sempre che niente è semplice, ma se il tema è ‘due donne al posto di due uomini alla presidenza dei gruppi della Camera e del Senato per equilibrare nel rispetto delle quote di genere i vertici del Partito democratico’, ti dico, sinceramente, più semplice di così!».

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Un commento a “Più semplice di così!”

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