Interventi

La prima domanda si riferisce alle prossime elezioni previste in Spagna. Di fronte al rischio di divisioni interne e dell’insorgenza delle forze conservatrici, anche di estrema destra, che strategie deve porre in atto Podemos, relativamente alle alleanze e alla formazioni di un programma politico?

In questo ultimo anno si è andato configurando qualcosa che già prevedevamo: una politica fatta di blocchi contrapposti, dove non vi è una maggioranza assoluta. Vi è un’aritmetica variabile, dove, per esempio, un partito come Ciudadanos, che si era presentato come rinnovatore, come una risposta conservatrice a Podemos, si è allineato a un blocco di destra. Giungendo tra l’altro al governo dell’Andalusia, dove prima governava con il PSOE (Partito Socialista e Operaio Spagnolo), e ora con un partito di estrema destra come Vox. Ciò a dimostrazione del suo opportunismo. La sua idea è trovare un accordo con chiunque renda possibile che non vi siano grandi cambiamenti socio-politici. Ciudadanos è nato per stabilizzare un sistema che era moribondo. Non gli importano né le idee, né le ideologie e nemmeno la democrazia in senso sostanziale. Ha svolto una sua funzione: aiutare le tradizionali forze politiche ed economiche affinché non si abbiano cambi significativi in Spagna.

Per tanto, ritengo che in linea generale si vadano conformando due campi: uno reazionario con il Partito Popolare, Ciudadanos e Vox; e un altro, che spero si possa formare, più progressista, dove siano presenti fra gli altri il PSOE e Unidos Podemos.

Non è facile fare previsioni, perché ci troviamo in una scenario molto instabile. Gli stessi sondaggi sono poco affidabili. Mi piacerebbe pensare che a Madrid, come in Castilla-La Mancha e in tutte le comunità regionali, si possano formare blocchi progressisti e si continui a governare, per lasciarci alle spalle tutte le politiche portate avanti dal Partito Popolare nel paese e che hanno a che fare con l’austerità, con il taglio dei diritti d’accesso ai servici pubblici, sindacali, civili e politici.

In una sua recente dichiarazione, riportata da El Diario, in occasione della riunione a Toledo dei segretari regionali di Podemos, lei aveva fatto un richiamo “all’uni, alla responsabili e all’allegria”. In particolare, mi aveva sorpreso quest’ultimo riferimento all’allegria, che ho interpretato come invito ad adottare, in forma sostanziale, un linguaggio diverso e in contrasto con quello aggressivo della destra. A cosa si riferiva lei precisamente?

Quando parlo di allegria, in effetti mi riferisco alla costruzione di un progetto politico che si elabori osservando la realtà del presente e sapendo negoziare con essa, però guardando soprattuto a un futuro migliore. Credo che il discorso prevalente della destra non sia solo conservatore e rivolto al passato, ma al contempo un discorso di odio, di risentimento verso la differenza dell’altro e di esclusione. La sinistra deve presentare un progetto per una Spagna, un Europa e un mondo molto più egualitari, più includenti e soprattuto molto più allegri, dove vi sia meno rancore rispetto alla convivenza con persone differenti culturalmente, etnicamente e politicamente. La democrazia è l’unico sistema in cui si possa negoziare sulla base delle differenze e in cui i problemi non si risolvano ricorrendo all’odio e all’esclusione.

Speriamo in un futuro come quello da lei prospettato. Certamente però, ad oggi la situazione è drammatica in tutta Europa, seppur in forma e proporzioni differenti. In Spagna è sicuramente migliore che in Italia, dove la sinistra è divisa in molte piccole fazioni in continuo contrasto tra di loro, che nella maggior parte dei casi non hanno un progetto politico ben strutturato. E quello che era il principale partito di centro-sinistra (definizione ora forse inappropriata e che meriterebbe molte precisazioni), il Partito Democratico, è fortemente disorientato e diviso al suo interno, tra forze più progressiste (poche), liberali e conservatrici, specialmente per quanto riguarda l’ambito economico e l’interpretazione delle dinamiche sociali moderne.

Un problema storico della sinistra è sempre stato e continua ad essere che, in ragione di una legittima difesa delle proprie idee e delle proprie forme d’intendere l’esistenza, si faccia spesso difficile costruire un’unità; ben diversa, si intenda, da un’unicità od omogeneità di pensiero. Così si antepone il “narcisismo delle sfumature” (di pensiero, ndr) rispetto a ciò che ci unisca, compresi gli avversari comuni. A me pare un errore politico sempre e un errore grave oggi, dove vediamo insorgere partiti o regimi escludenti e reazionari in Europa e in tutto il mondo. In questo periodo storico in particolare, dovremmo cooperare intensamente e non competere fra di noi, alla scopo di contrastare le forze reazionarie. 

Chiaramente tutto ciò si fa più difficile quando non vi sia una pensiero profondo a sostegno di un progetto d’unità. Proseguendo, lei ha fatto riferimento alla situazione europea. A maggio ci saranno le elezioni parlamentari europee. Quale è la strategia di Podemos per questo importante appuntamento?

Nel caso di Podemos, credo che primariamente dovremo difendere ciò che abbiamo sempre difeso: un’Europa unita, più forte, molto più sociale ed egualitaria. L’Europa è un continente ricco economicamente e culturalmente, e deve difendere i valori sopra cui ha costruito il proprio progetto politico, democratico e di tolleranza. Rappresentare una politica che non si renda ostile contro gli altri. L’Europa non deve acquisire modelli democratici dove il mercato sia l’unica legge, come è accaduto con il neoliberalismo. L’Europa deve poter dire al mondo che vi sono forme migliori d’intendere la politica e la vita in generale, dove possiamo ritrovarci tutti, senza esclusioni e disuguaglianze tanto eclatanti in ambito economico e sociale.

E circa le alleanze, avete già un progetto ben definito?

Quelli che chiamiamo “processi di confluenza” con altre forze, sono in generale in un stato ben avanzato. Vi sono sicuramenti diversi problemi e situazioni complicate in alcune comunità regionali, però la maggior parte delle persone di sinistra sono d’accordo con questa confluenza. Credo che sia nelle elezioni municipali e regionali, che in quelle nazionale ed europea, possiamo presentarci uniti. Abbiamo visto cosa è accaduto in Andalusia, dove le divisioni di stampo elettorale hanno favorito la destra. La gente vuole unità, che rinforzi i nostri progetti politici.

Abbiamo citato, tra le altre questioni, la situazione internazionale. In questo momento, una delle vicende più rilevanti è quella che riguarda il Venezuela. Qual è la sua opinione in merito, anche in riferimento all’azione del Governo spagnolo e dell’UE?

Il Governo spagnolo ha riconosciuto Guaidó come presidente legittimo. Io ho espresso la mia opinione in merito in alcune interviste. Credo che in Venezuela siano in gioco il concetto e il significato di sovranità nazionale. In un paese che si dica democratico il presidente e il parlamento li eleggono la cittadinanza, non si autoproclamano e non debbono essere imposti da ingerenze di paesi terzi. Un problema ulteriore è che nei media di comunicazione vi sia un dibattito molto caricaturizzato tra le varie posizioni e non si analizzino invece le cause che generino tale circostanza. In Venezuela la situazione non è facile, è ovvio. Però nel mondo vi sono molti paesi con maggiori difficoltà politiche, economiche e sociali, e quasi nessuno dice che si debba intervenire lì. Chiaramente si parla di Venezuela perché vi sono interessi politici ed economici molto precisi. Credo che la vicenda venezuelana debba essere risolta dalla sua popolazione, con gli strumenti democratici che posseggono, senza interventi esterni.

Dunque, lei pensa che l’UE dovrebbe spendersi per favorire il dialogo tra le parti in contesa.

Prima abbiamo parlato di politica del risentimento, caratterizzata da un discorso molto violento. Io credo che la politica debba essere, soprattuto, negoziazione tra posizioni differenti. Così, se vogliamo aiutare a risolvere un conflitto, dobbiamo contribuire ad abbassare le tensione per favorire il dialogo, e non buttare benzina sul fuoco con ultimatum e minacce d’interventi militari. Quindi, se desideriamo migliorare la vita della popolazione del Venezuela o di qualunque altro paese, dobbiamo fornire il nostro aiuto cooperando e rispettando la sovranità dei paesi e dei suoi cittadini.

Un paese che si è posizionato in maniera differente rispetto a USA e UE in merito al Venezuela è stato la Cina. Come si pone Podemos rispetto alla Cina, un paese con molte contraddizioni e molto difficile da comprendere?

La Cina è in effetti un paese molto curioso, che ha una forte differenza fra la sua struttura politica formale e la sua azione economica, avendo in alcuni casi abbracciato una forma di capitalismo e di neoliberalismo molto selvaggi. Sinceramente, non sono solito criticare troppo le dinamiche di altri paesi, fatta eccezione per quando si riscontrino palesi violazioni dei diritti umani. Siamo nel XXI secolo, la geopolitica è cambiata molto rispetto al passato. E’ inevitabile stabilire accordi di collaborazione e rispettare la singolarità di ciascuno Stato, con attenzione, ripeto, alle questioni legate al rispetto dei diritti umani e ai valori democratici. A partire da ciò, in Cina vi sono elementi interessanti, circa cui potremmo collaborare; e altri aspetti relativi alle libertà e ai diritti democratici nei quali credo si debba avanzare molto per giungere a una demcorazia degna di questo nome.

Chiaro. L’ultima domanda si riferisce invece ad una riflessione più teorica, più astratta, e perciò più generale. Nelle ultime elezioni, in particolare in America del Sud, le forze di sinistra, che avevano governato ponendo in essere politiche volte al miglioramento della condizione economica e sociale di larga parte della popolazione, hanno perso l’appoggio delle classi popolari, che con molta facilità sono passate a sostenere la destra neoliberale e persino reazionaria. Questi eventi mettono in risalto una questione che mi pare di natura socio-psicoanalitica. Come pensa che si possano interpretare tali comportamenti?

Questa è una questione molto complessa alla quale bisognerebbe dedicare molte tesi di dottorato. Ho lavorato e continuo a lavorare sul perché alcuni governi, che siano riusciti ad andare al potere attraverso un’operazione egemonica culturale di costruzione di un popolo, non abbiano poi saputo o potuto mantenere il potere. E perdendo tale forza, abbiano lasciato il posto non a una alternativa politica meramente differente, ma proprio al suo antagonista. I casi di Brasile e Argentina sono i più evidenti. Si tratta, chiaramente, di una questione in cui influiscono diversi fattori: economici, sociali e influenze esterne internazionali. Fortunatemente, ed insieme sfortunatamente, non si fa politica solo secondo la logica della nazione. Il che significa la presenza di collaborazioni e di interferenze con altri paesi.

Detto ciò, una questione che deve porsi come fondamentale una forza di governo è come continuare a costruire una relazione con il popolo, come mantenere e aumentare la propria egemonia culturale. Ernesto Laclau, che teorizzò molto circa tale argomento, sosteneva che un popolo si costruisca intorno ad alcune richieste riguardanti maggiori prestazioni o servizi in ambito del lavoro, dell’istruzione, della sanità, delle eseginze abitative… Quando non vengono soddisfatte, tali richieste si egemonizzano in reclami popolari, costruendo un forte antagonismo verso una oligarchia (una casta), che si identifica come responabile del’impedimento ai propri miglioramento e sviluppo. Così, tutta queste differenti richieste si articolano in una sola, che può far sì, che la forza politica che sappia tenerla insieme, possa salire al potere. Però, una volta al governo, sorge un paradosso: se si esaudiscono le richieste si mette fine al reclamo del popolo, e tale popolo, che si era formato come soggetto intorno al reclamo, si smobilizza. Lo abbiamo visto molto bene in Brasile: dove era la tutta la gente che i governi di Lula o di Dilma Rousseff avevano risollevato dalla povertà, quando sono stati cacciati in malo modo dal governo? Dunque, se dai compimento a tali richieste, forse smobiliti il popolo, e se invece non dai loro compimento è ancora peggio, perché le persone non vedono migliorare la propria vita e la scoietà si stanca. Questo paradosso deve essere affrontato approcciando, e chissà risolvendo, il quesito circa le maniere di esercitare il potere governativo mantenendo al contempo la costruzione politica del popolo.

Chiaramente, anche se accanto a tali questioni socio-politiche, vi sono probabilmente aspetti attinenti alla psicologia più profonda e atavica, che ha a che vedere con l’attrazione per il leader, per l’espressione violenta e il rancore.

Durante gli anni ho letto molto sia Freud che Lacan. Perciò penso che, sicuramente, tutte le esperienze umane, compresa la politica, debbano essere esaminate tenendo conto degli insegnamenti della psicoanalisi e della psicologia delle masse; il che è sempre una scelta rischiosa. Tanto nella costruzione del popolo che nella scelta del leader, vi sono in atto identificazioni che non dobbiamo dimenticare.

Ciò che possiamo dedurre è che in fondo il popolo possa costruirsi in differenti modi. Non si può pensare che esso sia sempre buono o progressista. E in questo è molto utile la lettura di Freud e Lacan. Claude Lefort disse che un popolo si possa costruire a favore della democrazia o trovando un altro amo, un Popolo-Uno. Effettivamente, la costruzione di un popolo si può effettuare a partire da certi significanti che possono essere d’eguaglianza, di democrazia, di futuro; o possono essere alla stesso modo di esclusione, di odio, di disuguaglianza.
In questo momento storico ci troviamo in tale scenario. I messaggi, gli immaginari, i significanti prevalenti stanno costruendo il popolo sopra una psicologia delle masse escludente e reazionaria. Credo che il rimedio sia continuare a contrapponere a questa psicologia delle masse una costruzione politica che attenda ai valori democratici, una logica politica di cooperazione e non di feroce competizione, una politica d’inclusione e non d’esclusione. Credo che questo sia il compito più importante di questo periodo.

Non possiamo permettere che il giro di vite autoritario che si sta espantendo in tutto il mondo vinca, discorsivamente e nella pratica, sui progetti progressisti. Diviene necessaria una strategia molto forte ed efficace di comunicazione di altri valori e progetti politici. Dobbiamo essere capaci di comunicare e di dimostrare che un altro mondo sia davvero possibile. Questa è la nostra grande sfida politica in questo momento così complicato. 

Qui il PDF dell’articolo in lingua spagnola

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