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Articolo pubblicato su transform!italia il 26.10.2022.

Metti che una sera torni a casa affamato; durante il viaggio, siccome sei un gourmet, sogni di trovare a casa un’Anatra ripiena al foie gras oppure un cappon magro con un astice in bellavista, o cose di questo genere. I tuoi vagheggiamenti gastronomici rincorrono i più sublimi piatti dell’alta cucina. A casa, quando apri il frigorifero, lo shock è tremendo per lo spettacolo desolante che si presenta ai tuoi occhi. In una scodella ci sono gli ingredienti di ciò che avrebbe dovuto essere una mini-insalata nizzarda, la cui preparazione hai dovuto interrompere perché sei dovuto scappare per una urgenza: una patata bollita – che per l’eccessiva permanenza in frigorifero, e, soprattutto, perché dopo la bollitura non l’hai trattata con l’acqua gelata – comincia ad annerirsi, un pomodoro che mostra anch’esso segni di stanchezza, il contenuto di una scatoletta di tonno rimasto non coperto. In un altro contenitore, una cipolla rossa che comincia a raggrinzirsi, accanto alla quale, non si sa come, è andata a finire una mezza zucchina in cui il verde scuro della buccia mette in risalto il pallore dell’interno.

A questo punto hai tre alternative. La prima: avvilito e scoraggiato, vai a letto saltando la cena. La seconda: provi a proseguire l’opera interrotta dell’insalata nizzarda; ma ti rendi conto che la quantità limitata e lo stato di conservazione degli ingredienti (che così come sono, mal si prestano a un semplice assemblaggio in un’insalata) produrrebbero un risultato ben lontano dalle tue aspirazioni gastronomiche e, alla fine, la frustrazione sarebbe inevitabile. La terza: metti da parte pigrizia, vagheggiamenti e idealismi il cui unico portato è l’inerzia, e ti metti di buona lena a preparare, con gli ingredienti che hai a disposizione, un “piatto” degno di questo nome. Tra le tre alternative, scegli quest’ultima.

Cominci con tagliare a fettine la cipolla, dopo aver eliminato la parte raggrinzita e il germoglio che in modo arrogante era spuntato alla sommità. Le passi, a fuoco lento, in padella con poco olio aggiungendo di tanto in tanto un po’ d’acqua calda, finché non si siano liberate della loro rudezza e soprattutto dell’enzima che brucia gli occhi e ne scoraggia la frequentazione. Nel frattempo, hai tagliato a lamelle la mezza zucchina, le hai disposte in uno scolapasta e spolverate con abbondante sale, in modo che perdano l’amaro, inevitabile nelle zucchine scure, soprattutto se non freschissime. Quando avranno perso abbondantemente il loro poco gradevole succo, le fai bollire in acqua salata. Mentre cipolla e zucchina cuociono, fai una roux con burro fuso e farina, e, aggiungendovi del latte, prepari una besciamella. Alla fine delle rispettive cotture, aggiungi cipolla e zucchina al tonno e alla patata lessa – che avrai schiacciato con la forchetta, dopo aver pazientemente grattato via la patina scura – e a un tuorlo d’uovo. Con il minipimer, fai una bella mousse alla quale aggiungi, mescolando accuratamente, la besciamella, abbondante parmigiano grattugiato, una grattatina di noce moscata e il pomodoro che hai prima lavorato in concassé, eliminandone buccia, semi e, soprattutto, la parte fibrosa che vi hai trovato dentro. L’operazione finale: al tutto incorpori, con una spatola, la chiara d’uovo montata a neve. Non ti resta che imburrare uno stampo versarci dentro il composto e metterlo nel forno che hai preriscaldato a 180°. Con l’illuminazione interna del forno sorvegli che il tuo composto gonfi alla perfezione. Dopo circa 25 minuti, quando una bella crosta dorata si sarà formata, il tuo soufflè sarà pronto e avrai la soddisfazione di “mangiare” e non semplicemente alimentarti; e di farlo con uno dei piatti più importanti della cucina classica. E, soddisfazione supplementare, averlo preparato con gli avanzi del tuo frigorifero.

Il senso dell’apologo è chiaro: costruire oggi il partito della sinistra in Italia (quello che tutti sognano) è un po’ come fare un soufflé con gli ingredienti che hai a disposizione, nonostante i loro limiti. Le analogie sono molte. La prima, ovvia, che nella creazione del piatto gli ingredienti annullano la loro esistenza in quanto tali, perdono la loro identità specifica ma non la loro natura, nè il loro sapore e la loro storia, che si trasfondono nella composizione finale. Un soufflé non si improvvisa; occorre avere alle spalle una solida cultura gastronomica (politica), fare un’attenta analisi dello stato e delle potenzialità degli ingredienti nonché degli strumenti a disposizione (analisi di classe e delle forze in campo); avere chiaro il progetto culinario (visione politica e progetto di società); avere grande competenza nel trasformare in risultato gastronomico (politico) il contributo dei diversi ingredienti (soggetti sociali) – l’incorporazione della panna montata nel composto deve essere fatta con dolcezza e, soprattutto, con un movimento della spatola che deve essere sempre dal basso verso l’alto (inchiesta, ricerca-azione); scontare tempi lunghi e avere molta pazienza sia nella fase di preparazione che in quella di cottura – guai ad aprire il forno prima di essere sicuri che l’operazione sia veramente conclusa – avere assoluta tempestività nella implementazione – se dopo cotto, aspetti anche un solo quarto d’ora per servirlo ai tuoi commensali, il soufflé si è bello e sgonfiato e segna il tuo fallimento, questa volta definitivo.

Non è difficile nella metafora del frigorifero riconoscere, da un lato le componenti principali di Unione Popolare, dall’atro l’Alleanza Verdi e Sinistra. Si potrà obiettare che per fare il soufflé è stato necessario impiegare altri ingredienti: uovo, latte, farina, burro, parmigiano, olio, sale. Sono quelle cose che in cucina ci sono sempre, anche se non fanno grande mostra di sé; sono indispensabili per amalgamare gli ingredienti – altrimenti rimarremo al livello dell’insalata – ma soprattutto sono ciò che dà la spinta propulsiva a piatti come il soufflé, ciò che ne assicura lo sviluppo corporeo. Nella realtà extra-culinaria esse corrispondono alle miriadi di associazioni, movimenti, comitati, gruppi nonché alle grandi organizzazioni della società civile organizzata. La costruzione del “grande” partito della sinistra non può prescindere da questi soggetti.

Si potrebbe ancora dire: già in cucina c’è un cuoco che sa e sa fare, ma nella realtà chi deve svolgere il ruolo dello chef? Semplice: la politica. Una politica autenticamente di sinistra, che, con sapienza e passione, sia in grado di gonfiare le vele di quel veliero chiamato partito.

Per il momento le nostre vele, rabberciate su zattere di salvataggio, sono desolatamente flosce. Ma non disperiamo.

3 commenti a “Politica e gastronomia. Il soufflé della sinistra”

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