“Non per noi ma per tutte e tutti”: centinaia di realtà sociali e sindacali (tra queste il “Centro per la Riforma dello Stato” e i “Giuristi Democratici”) hanno tenuto assemblee territoriali in tutto il paese per organizzarsi contro una legge di bilancio classista, contro i poveri. Il 21 dicembre ci incontreremo in un presidio di massa a Roma per incalzare il Parlamento con le mille voci della protesta e della proposta alternativa. La “Rete dei Numeri Pari” non nasce oggi; ha, alle spalle, tempi di ricerca, mobilitazioni, conflitti, partendo da un intento semplice ma forte: bisogna ritrovare il gusto di mettersi in gioco, costruire iniziative di sinistra diffuse (e anche sommerse), snodi di comunicazione tra movimenti di solidarietà che sfidano l’azzardo dell’autorganizzazione, pur all’interno di un complesso magma sociale e a fronte delle deboli, emarginate soggettività della politica. È la drammatica crisi della rappresentanza. La Rete è uno degli importanti “laboratori” di iniziative sociali, confederazioni di conflitti e mutualismo, che contrastano, come possono, la politica separata, mercificata, borghese. Da un lato il politicismo autoreferenziale, dall’altro tentativi di autogoverno sociale. È la sfida radicale contemporanea, non nostalgica, attenta a non farsi schiacciare e omologare da strutture oligarchiche che ridisegnano in direzione postdemocratica (e, spesso, eversiva) la trama dei moderni poteri globali. I quali stanno penetrando profondamente nelle culture, nell’informazione, nei corpi. I tempi della produzione si separano da quelli biologici, opprimono l’ecosistema, devastano rapporti affettivi, sessuali. Sono diverse le Reti costruite in questi anni che combattono, nei fatti ancor più che nella consapevolezza, alienazioni, mercificazioni, nuove schiavitù. Dietro la fitta trama di centinaia di associazioni, grandi e piccole, vi è un circuito che agisce la costruzione di nessi di coesione in una società di solitudini, frantumazione, spaesamento, dando forma al gramsciano “fare società”. Ovvero, esprime nei fatti un tema teorico e politico fondante: la realizzazione di una formazione sociale e di un modo di produzione imperniati sull’autogestione della produzione, sulla riappropriazione sociale del prodotto, sui valori d’uso. I “nuovi beni”, li chiamava Pietro Ingrao. Porto un solo esempio. Penso che un punto alto di questa ricerca di un’identità anticapitalista sia la “bella” lotta dei lavoratori GKN, capaci di costruire, intorno alla loro aspra vertenza, un’insorgenza dell’intero territorio circostante, facendo da punto di riferimento di movimenti diversi e plurali: la liberazione del lavoro umano dal suo carattere di merce. La Rete dei Numeri Pari propone, per l’appunto, punti di vista “rovesciati”: la società della cura per fuoriuscire dall’economia del profitto. Penso alla scuola, alla formazione; alla retorica governativa del “merito”, a cui contrapporre le virtù perdute dell’eguaglianza, della solidarietà. Alla scuola delle “umiliazioni” contrapponiamo la scuola laica, repubblicana, costituzionale. Alla istituzionalizzazione delle diseguaglianze (la “secessione dei ricchi” di Gianfranco Viesti), ai diritti differenti in base al domicilio, che deriveranno dalla cosiddetta “autonomia regionale differenziata”, contrapponiamo i primi 12 articoli della Costituzione. La Costituzione, infatti, allude, in ogni passaggio, alla giustizia sociale; viceversa l’autonomia secessionistica esalta l’orizzonte competitivo e apre la strada alle pulsioni presidenzialiste. Mentre evaporano ruolo e funzione del Parlamento. La Rete ha elaborato progetti e proposte precise, collettivamente elaborate da “gruppi di contatto”, sulla fiscalità (le risorse vi sono, vanno redistribuite, ha insistito Maria Luisa Boccia), contro “tregue” fiscali e condoni, per gli extraprofitti tassati all’80 per cento; sul salario minimo; sul diritto all’abitare; sulla sanità; sull’antimafia sociale. Un impegno immediato che la Rete ha assunto è la lotta per il reddito di base, universale (anzi, meglio definirlo “indifferenziato”). Non è solo l’espressione del diritto all’assistenza. Il reddito di base contrasta i nuovi processi di accumulazione del capitale che mettono al lavoro la mente e il corpo (e l’anima) di ogni persona ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Le donne di “Non una di meno” ci indicano la strada: reddito di autodeterminazione – antipatriarcale, antirazzista, anticapitalista. Il Governo intende abbattere anche l’attuale, mediocre, confusa misura, che subordina il reddito di cittadinanza alla ricerca del lavoro. Noi ci battiamo affinché il reddito di base indifferenziato sia elemento di una produttività sociale alternativa.
Infine, il tema che sottende ogni impegno, che non possiamo eludere, rimuovere. “Donna, vita, libertà”: in loro nome ragazze, giovani, madre e padri iraniani sfidano il regime teocratico, oscurantista. Non vi è libertà, liberazione dei popoli, non vi è giustizia senza pace. La pace non è solo assenza di guerra. È impegno quotidiano per il disarmo, anche unilaterale; per la diplomazia di base; per la cooperazione da popolo a popolo, per conferenze internazionali che traccino, attraverso tregue belliche, i percorsi di pace. Il ministro Crosetto, protagonista del complesso militare-industriale, così come l’italica Leonardo, vuole disseminare il mondo di armi. Non in nostro nome. Noi ci battiamo per la solidarietà, la convivialità tra i popoli, per la risoluzione diplomatica dei conflitti. Un “principio/ speranza”, scriveva Ernst Bloch.
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