Con le votazioni di questi giorni per scegliere i candidati del PD/centro-sinistra in alcuni grandi comuni, si è compiuto un primo passaggio della nuova fase politica apertasi col governo Draghi.
Si tratta di un passaggio sostanzialmente interno al PD, anche se in alcuni casi comune ad altre forze del centrosinistra e che, naturalmente, non ha interessato l’intero corpo elettorale dei comuni interessati. Queste precisazioni per dire che con questi ed altri fattori limitanti, queste primarie non hanno e non possono avere il valore politico che in molti casi si finisce per attribuire loro.
Né, tantomeno, possono avere un valore predittivo sull’evoluzione del processo di ristrutturazione delle forze politiche.
Appaiono, quindi, proprio fuori luogo le dichiarazioni che attribuiscono a questo passaggio un ritrovato rapporto col popolo o che ne fanno un’anticipazione di un processo d’innovazione della politica a sinistra. Questi sono sacrosanti desideri, da coltivare. Ma non di più.
Scartando, perciò, letture e forzature politiche mosse da esigenze di partito o di gruppi, se non addirittura di componenti interne, si può dire che queste votazioni “fotografano” la fase di stand-by che caratterizza l’arco di forze della sinistra italiana.
Ne sono anzi uno specchio abbastanza fedele: tutti animati da una voglia di ripartenza, dopo la pandemia ed i cambiamenti che hanno interessato e stanno coinvolgendo PD e Movimento 5 Stelle, ma tutti sostanzialmente intenti a gestire al meglio l’esistente, a resistere ed a guardare cosa accade intorno, a sinistra ed a destra.
Standby, attesa, appunto.
Questo stato d’animo, evidentemente, coinvolge il corpo elettorale ed il suo rapporto con la politica e con i partiti di centro-sinistra. I partecipanti a questo rito di partecipazione, dopo il dato negativo di Torino, si attestano, a Roma come a Bologna, su livelli non negativi, visti i fattori di contorno – climatici, sportivi e postpandemici – che non stimolavano affluenze di massa. Ma non si tratta certo di livelli all’altezza dell’impegno che la gravità del contesto sociale e il perdurante dominio della destra, sul terreno politico e su quello sociale, richiederebbero.
È come se fossimo di fronte a una sorta di resilienza di massa, per usare un termine di attualità, un riaffermare che ci siamo, siamo in campo, ma non di più. Con dignità, ma senza entusiasmo.
Questa è la tipica situazione in cui alcuni possono cantare vittoria, ma in cui, in verità, non ha vinto nessuno. Può cantare vittoria il Pd lettiano, che molti aspettavano al varco al primo inciampo. Possiamo farlo tutti perché quando la gente fa la fila per partecipare è sempre un fatto positivo. Può dire, dal suo punto di vista, di aver fatto bene chi a sinistra non si è schiacciato su singoli candidati lasciando gli iscritti liberi di scegliere.
Ma, per il resto nessun passo avanti.
E mentre nel centro destra la competizione si accende, si parla di futuri scenari e si mantiene la centralità nella comunicazione, nel variegato universo del lato progressista i movimenti stanno più nelle intenzioni che nei processi concreti attivati.
In questo contesto anche la ricerca con la lente di ingrandimento deve essere tentata, quantomeno per capire cosa fare a breve.
Nel Pd emiliano si sono misurati i rapporti di forza interni, il candidato vincente si rafforza ulteriormente col supporto da sinistra e con una intesa con il M5s, mentre la perdente si dichiara disponibile a collaborare da una posizione di forza che fotografa, appunto, la realtà del partito emiliano. Se il candidato e la sua sinistra sapranno consolidare questo risultato, forse qui si possono cercare i germi di un possibile futuro di una sinistra, sinistra, unita per governare, con una presenza riformista più moderata e consistente, di una relazione col M5s positiva e costruttiva. Un modello? Per adesso parliamo solo di speranza/possibilità.
A Roma era forte l’ambiguità con la quale le primarie sono state convocate: primarie del PD, ma anche aperte ai possibili alleati delle prossime elezioni. Quindi anche, un po’, primarie di coalizione. In questo contesto non deve meravigliare il successo del candidato Gualtieri, né deve illudere su un cammino facile verso le elezioni. C’è in questo risultato sicuramente la valutazione diffusa che quella di Gualtieri è una buona candidatura per la realtà romana, ma anche la consapevolezza che il suo consenso nella città è ancora tutto da costruire. La rispondenza del voto a favore del candidato PD denota che esiste ancora un effetto traino del PD, con tutta la sua eredità su una parte dell’elettorato, una sorta di trascinamento dello zoccolo duro di antica memoria, ma questo non dà nessun affidamento sulle dimensioni del voto nelle prossime elezioni. Quindi alleanze e coalizione sono ancora tutte da costruire nella relazione tra soggetti politici e soprattutto nella credibilità/consenso tra le forze popolari. I risultati per questi motivi dipenderanno dalla capacità di tener conto anche della frammentazione di questo voto. Qui sta il fatto più delicato: la capacità di questo variegato mondo a sinistra del Pd, fatto di una rete ricchissima di esperienze sparse nella città su svariate tematiche con quella abitativa e di sostegno in primo piano. Ma con una tara vecchia che si fa sempre più tragica: la totale incapacità di fare massa critica, di aggregarsi. C’è un lavoro fatto da mesi di confronto, ma si stenta a varare iniziative comuni e a tracciare percorsi da fare insieme.
Anche in questo caso le primarie sono servite quantomeno a fare una foto aggiornata del panorama politico romano.
È da auspicare che questa foto di gruppo senza nome e senza orizzonti comuni svegli coscienze e muova forze.
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